LIBRI – Venti donne nella Shoah, i liceali torinesi ricordano
Torino, quartiere Barriera di Milano. In un angolo che oggi ospita una sede dell’ASL, nel 1943 sorgeva un ricovero municipale chiamato “Casa dell’ospitalità fascista Arnaldo Mussolini”. Un nome sinistramente ironico, considerando il destino riservato a molti dei suoi ospiti. Dopo i bombardamenti del 13 agosto, che avevano distrutto l’Ospizio israelitico di piazza Santa Giulia, quaranta ebrei torinesi – per lo più anziani, poveri e soli – furono trasferiti in via Como 140, l’attuale via Ghedini 6. Il 3 dicembre, venti donne tra i 65 e gli 85 anni vennero arrestate dalla polizia fascista, in attuazione delle nuove misure antiebraiche della Repubblica di Salò. Sei di loro furono deportate ad Auschwitz. Nessuna tornò.
Per decenni, questa vicenda è rimasta invisibile nella memoria pubblica. Lo storico Giuseppe Mayda l’ha definita «il più grave episodio della deportazione a Torino ». A riscoprirla, 80 anni dopo, sono stati gli studenti della III A, III ES e III DL del Liceo Albert Einstein.
Tutto è cominciato con un viaggio sul Treno della Memoria. Affiancati dal professore Alessandro Maurini, gli studenti hanno deciso di approfondire un fatto accaduto proprio nel loro quartiere. È nato così Nel vostro nome (a cura di Alessandro Maurini e Silvia Fraboni, pubblicato da Impremix Edizioni), un libro che è insieme un’indagine storica, un progetto educativo e un atto di impegno civile. Il cuore del volume sono le biografie delle venti donne.
Storie come quella di Vittoria Bianchi, raccontata da Andrea Biusi e Philip Melis: casalinga veneziana, sopravvissuta ai bombardamenti ma non alla solitudine. O quella di Ester Levi, ricostruita da Fang Rui Chen e Stella Wu Chen Yu, sarta di origine saviglianese, morta nel 1944 in un ricovero torinese.
E ancora Eugenia Treves, deportata e uccisa ad Auschwitz, di cui hanno scritto Amal Ben Amor e Yasmin Yasser Khedr. “Siamo rimaste sconvolte dalla facilità con cui una vita può essere dimenticata”, sottolineano alcune studentesse nel volume. Con i compagni, hanno svolto un lavoro rigoroso: hanno consultato archivi, scritto a comunità ebraiche, incrociato fonti e affrontato il vuoto lasciato da chi non ha avuto voce.
Nel vostro nome non è solo un libro. È, come scrive nell’introduzione il giornalista Claudio Mercandino, una forma di rammendo della memoria. Un gesto paziente e artigianale, come quelli a cui era abituata Sara Aida Montagnana, una delle venti donne arrestate nel ricovero di via Como e poi deportate ad Auschwitz, dove morì il giorno stesso dell’arrivo. Prima della Shoah, Sara lavorava come rammendatrice: ricuciva strappi in modo così preciso che la cucitura risultava invisibile, riconoscibile solo da lei, che la segnava con un tratto di gesso.
Nel libro, ogni biografia è una riparazione discreta ma necessaria. Un tentativo di riportare alla luce storie rimaste troppo a lungo in ombra.