ROMA – Antisemitismo e antisionismo volti dello stesso odio, il convegno alla Camera

Insulti, aggressioni, demonizzazione di Israele e una retorica che trasforma la vittima in carnefice. In Italia in questi mesi l’antisemitismo ha assunto forme nuove e insieme antiche. Dalle università ai social network, dai cortei pubblici alle aule scolastiche, lo spazio di libertà per cittadini e studenti ebrei si è ristretto sotto la pressione di un clima culturale ostile, alimentato dalla saldatura sempre più stretta tra antisionismo ideologico e odio antiebraico. Un contesto analizzato nei suoi vari aspetti nel corso del convegno “Antisemitismo e antisionismo due facce della stessa medaglia?” organizzato alla Camera dei Deputati. «Siamo qui non per impedire la critica a Israele, che è legittima e necessaria, ma per fermare l’invocazione della sua distruzione, che non può essere considerata un’opinione. È antisemitismo», ha affermato in apertura Daniele Nahum, promotore dell’iniziative. Consigliere comunale di Milano (Azione), Nahum ha ricordato come in troppi ambienti ormai si contesta il diritto stesso all’esistenza dello stato ebraico, delegittimandolo come “regime razzista”.
Per la presidente Ucei Noemi Di Segni, «gli ultimi mesi hanno mostrato che la situazione sta peggiorando rapidamente». Ha chiesto con fermezza «non solo una condanna pubblica delle violenze, ma un impegno concreto a tutti i livelli istituzionali: scuole, università, ministeri». Un appello che include la necessità di azioni normative: «Servono interventi legislativi specifici che riconoscano la gravità dell’antisemitismo e rafforzino gli strumenti di prevenzione e sanzione, perché il quadro attuale non è più sostenibile». Di Segni ha inoltre espresso piena solidarietà alla coordinatrice europea per la lotta all’antisemitismo, Katharina von Schnurbein, oggetto di un attacco politico da parte di una minoranza del Parlamento europeo che ne ha chiesto la rimozione.
Chi ha vissuto sulla proprio pelle il clima ostile nelle università è il presidente dell’Unione dei giovani ebrei, Luca Spizzichino, che ha raccontato quanto accaduto di recente al Campus Einaudi di Torino, dove durante un dibattito sul diritto allo studio, è stato fisicamente aggredito insieme ad altri giovani ebrei. «Volevamo parlare anche di antisemitismo. Ci hanno impedito di farlo con minacce, spintoni, urla. Mi sono state strappate due spille, una per la liberazione degli ostaggi e l’altra contro l’antisemitismo. La violenza è avvenuta nel silenzio di chi avrebbe dovuto garantire libertà di parola».
I dati e le strategie
Un quadro sulla situazione in Italia è stato tratteggiato dal direttore della Fondazione Cdec di Milano, Gadi Luzzatto Voghera, che ha presentato l’ultimo Report dell’Osservatorio antisemitismo. L’incremento delle minacce dopo il 7 ottobre 2023 è stato drammatico: più 400% in un anno, con un picco di attacchi online, intimidazioni, aggressioni fisiche e verbali nelle città italiane. «Colpisce soprattutto il livello di ostilità che si è normalizzato negli spazi pubblici: non è più un fenomeno marginale o sommerso, ma visibile, esplicito e spesso legittimato», ha osservato Luzzatto Voghera. «L’antisemitismo oggi non ha bisogno di simboli estremi per emergere: si diffonde nella retorica quotidiana, nelle parole usate con leggerezza, nei social, nelle università».
Contro questa tendenza si muove la Strategia nazionale contro l’antisemitismo, presentata dal generale Pasquale Angelosanto, coordinatore per l’Italia della lotta contro l’antisemitismo. Il documento, trasmesso ai ministeri lo scorso febbraio, prevede 22 obiettivi e 68 azioni concrete divise su cinque linee direttrici: dalla raccolta dati alla formazione scolastica, dalla tutela della memoria alla protezione delle comunità, fino alla comunicazione digitale. «L’antisemitismo non è una minaccia solo per gli ebrei», ha ribadito Angelosanto, «ma per la coesione democratica del paese».
Una prospettiva condivisa anche da Milena Santerini, vicepresidente del Memoriale della Shoah di Milano, già coordinatrice nazionale contro l’antisemitismo. Santerini ha analizzato i diversi volti del pregiudizio oggi, tra la persistenza di stereotipi razzisti e il ritorno dell’antisemitismo “di sinistra”, travestito da antisionismo. «Dal 7 ottobre assistiamo a una pericolosa inversione: Israele non è più percepito come lo stato degli ebrei ma come un simbolo da abbattere. E molti giovani vedono negli ebrei non una minoranza, ma una potenza da combattere». Santerini ha espresso forte preoccupazione per il drastico calo delle visite al Memoriale della Shoah di Milano, di cui è vicepresidente: da 56mila a poco più di 30mila in un solo anno. Un segnale, ha spiegato, che indica una perdita di attenzione pubblica e scolastica verso la memoria della Shoah. «La banalizzazione e l’istituzionalizzazione della memoria – ha sottolineato – rischiano di svuotarla di significato, trasformandola in un rito formale anziché in uno strumento vivo di consapevolezza. E questo indebolisce le difese della società contro ogni forma di intolleranza».
deUn quadro tra passato e presente
Storica della Shoah, per anni punto di riferimento dello Yad Vashem, Dina Porat ha offerto una lettura del nesso tra l’antisionismo contemporaneo e alcune derive ideologiche internazionali. Al centro del suo intervento, la Conferenza ONU di Durban del 2001, «punto di svolta nell’equiparazione tra sionismo e razzismo», un passaggio che, ha spiegato la storica, «ha innescato una narrazione tossica destinata a influenzare in profondità l’immaginario politico e mediatico globale». Lì si è strutturata una forma di ostilità verso Israele che trascende la critica politica per assumere i tratti di una demonizzazione sistematica. «L’equazione tra Israele e apartheid ha radici in quella conferenza, che fu un momento di frattura nella percezione internazionale del popolo ebraico». Porat ha concluso citando Martin Luther King: «Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente ‘antisionista’. E io dico: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei».
Proseguendo idealmente da quelle parole, David Meghnagi ha ricostruito il percorso storico e culturale che ha trasformato Israele nell’“ebreo collettivo”, bersaglio di una proiezione ideologica radicata. «Quando l’antisemitismo è diventato socialmente inaccettabile, ha trovato sfogo nell’odio verso Israele», ha spiegato. Un processo favorito, secondo Meghnagi, dalla propaganda sovietica post-1967, che ha codificato un antisionismo di Stato presentato come solidarietà terzomondista. «Israele è stato ridotto a simbolo mitico del male geopolitico: colonialismo, imperialismo, razzismo», ha aggiunto.
Ha ricordato che nello statuto di Hamas compaiono ancora oggi i Protocolli dei Savi di Sion, presentati come un testo autentico. «È un antisemitismo ideologico, che attacca la possibilità stessa di pensare. Una guerra al pensiero».
Tutti i relatori hanno sottolineato come l’antisemitismo odierno non possa essere compreso se separato dal contesto culturale e politico che lo alimenta. L’odio verso Israele non è una deviazione casuale ma il risultato di una lunga elaborazione ideologica e al contempo dell’indifferenza. Ma, ha avvertito Porat: «L’antisemitismo non è un problema degli ebrei, ma della società che lo produce e lo tollera. È l’incapacità di guardarsi allo specchio e dire: siamo noi i responsabili».
Daniel Reichel