ISRAELE – Stallo con Hamas, dialogo inedito con la Siria

Il destino dei negoziati tra Israele e Hamas per una tregua non è chiaro. Dopo aver rifiutato la proposta di intesa e aver portato Gerusalemme e Washington a un passo indietro, il gruppo terroristico palestinese afferma di voler trattare. Una tattica per prendere tempo, scrivono alcuni analisti. Intanto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riprende le parole dell’inviato Usa in Medio Oriente, Steve Witkoff, e parla di «opzioni alternative per riportare a casa i nostri ostaggi, porre fine al regime terroristico di Hamas e garantire una pace duratura per Israele e la nostra regione». Non ci sono però dettagli su queste «opzioni alternative» e le famiglie degli ostaggi esprimono tutta la loro ansia mentre i loro cari da 658 giorni sono nelle mani di Hamas.
In favore dei rapiti, dopo la notizia del fallimento dei negoziati, si sono mobilitate Daniela Gilboa, Liri Elbag, Naama Levy e Karina Ariyev: le quattro soldatesse israeliane rapite il 7 ottobre 2025 e rilasciate sei mesi fa nel secondo accordo tra Israele e i terroristi palestinesi. «Abbiamo bisogno che facciate tutto il possibile per riportarli a casa», afferma Gilboa rivolgendosi alla leadership israeliana e americana. «Preghiamo ogni giorno per le loro anime, per i loro corpi, perché sopravvivano a ciò che stanno vivendo. Vi supplichiamo: fate tutto, lottate. Noi rapite non potremo tornare davvero alla normalità finché anche l’ultima persona non sarà tornata», aggiunge Elbag. Gerusalemme è ancora interessata a un accordo, scrive l’emittente Kan, e molte analisti interpretano le dichiarazioni pubbliche di Netanyahu e Witkoff come parte di una strategia di pressione per spingere Hamas ad accettare la proposta sul tavolo.
E mentre con i terroristi palestinesi tutto è fermo, con il nemico siriano qualcosa si muove. Dopo anni di silenzio ufficiale, Israele e Siria sono tornati a parlarsi apertamente. L’incontro di Parigi, facilitato dagli Stati Uniti, è stato il primo tra rappresentanti di alto livello dei due paesi dal fallimento dei negoziati di pace del 2000. A rappresentare Israele c’era il ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, stretto consigliere di Netanyahu. Dall’altra parte, il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani, figura controversa: ex combattente jihadista oggi al centro della diplomazia del governo guidato da Ahmed al-Sharaa. «Il nostro obiettivo era il dialogo e la de-escalation, e questo è esattamente ciò che abbiamo ottenuto», ha dichiarato l’inviato Usa Tom Barrack, che ha mediato il colloquio. Secondo fonti siriane, l’intesa prevede il ritiro delle milizie beduine e delle forze governative dalle aree druse, la creazione di consigli locali sotto monitoraggio americano, e la smilitarizzazione delle province di Daraa e Quneitra, al confine con Israele. A Gerusalemme il premier Netanyahu, riporta Maariv, ha ribadito allo sceicco Muwaffaq Tarif, che Israele proteggerà la popolazione drusa oltre confine.
Nella capitale israeliana, intanto, le forze di sicurezza hanno brevemente fermato il gran muftì, Sheikh Mohammad Hussein, all’interno della Spianata delle Moschee. Poco dopo aver pronunciato il sermone del venerdì, in cui ha accusato Israele di voler affamare la popolazione di Gaza, Hussein è stato prelevato dagli agenti e gli è stata consegnata una convocazione per un interrogatorio, previsto per domenica.