LIBRI – Psicologia ed ebraismo, l’intreccio spiegato
In Psicologia e Tradizione Ebraica, Aharon Mirco Ferrari mette in relazione l’elaborazione clinica della sofferenza con le strutture di pensiero della tradizione ebraica. Il testo, nato all’interno di un gruppo di studio interdisciplinare, si struttura attorno alla sua voce, che intreccia competenza terapeutica e familiarità con i testi, e la riflessione si concentra su una domanda centrale: come si trasforma un essere umano? Spiega l’autore: «Si tratta di un lavoro nato dall’incontro tra il mio lavoro clinico di psicologo e la mia identità ebraica. Per me, come professionista con un background ebraico, è stato quasi naturale ritrovare gli aspetti spirituali dell’ebraismo nel mio lavoro clinico, soprattutto quando si tratta di cura e di percorsi di guarigione destinati al benessere della persona». Il paradigma psicologico e quello ebraico affrontano la questione da angolazioni diverse ma convergenti, il concetto di teshuvah, in questa lettura, non riguarda solo il pentimento, ma una dinamica trasformativa che coinvolge parola, ascolto, corpo, storia. La cura non è riparazione, ma ritorno: a sé, all’altro, al patto interrotto. I riferimenti clinici, psicoanalitici e sistemici, dialogano con fonti rabbiniche, midrashiche, liturgiche. La Torah è letta non come repertorio simbolico, ma come dispositivo narrativo capace di strutturare l’esperienza. I racconti biblici funzionano come modelli di elaborazione del trauma e della colpa, aprendo la possibilità di una responsabilità non distruttiva. L’essere umano, nella visione ebraica, non è mai isolato: è parte di una rete di obbligazioni, linguistiche, etiche, storiche. Aggiunge Ferrari: «Scrivere questo testo per me è stato un viaggio professionale ma anche profondamente personale che mi ha permesso di intrecciare due dimensioni, che, sono convinto, possono arricchirsi a vicenda». Perché la trasformazione non riguarda solo il soggetto, ma il suo posto nel mondo. L’identità non è un dato, ma un processo. La psicologia, posta in questa prospettiva, non perde rigore ma assume profondità. Il lavoro terapeutico viene riletto come un attraversamento di parole, silenzi, genealogie. Il volume non cerca sintesi concilianti né armonie artificiali: esplora un territorio di scambio, lasciando che tensioni e asimmetrie generino pensiero.