L’ANALISI – David Sorani: L’antisemitismo non è esploso per caso
L’ultimo grave episodio di antisemitismo, la vicenda di un papà e un bambino francesi aggrediti con parole spintoni e minacce perché indossavano la kippah, ci allarma particolarmente perché avvenuto in Italia, in una situazione quotidiana come quella di un autogrill sull’autostrada. Ma anche altri fatti di questi ultimi giorni, altrettanto e talora più inquietanti perché più violenti (l’attentato alla sinagoga di Melbourne, l’incendio alla casa del rabbino di Grenoble, la cacciata dei turisti israeliani dalle isole greche) ci pongono davanti con urgenza drammatica non semplicemente il rischio di una espansione del fenomeno antisemita ma la vera e propria esplosione di un antisemitismo diffuso, popolare, tendenzialmente di massa, in corso in questi mesi come effetto perverso della crisi e del dramma di Gaza. Su quel dramma, davvero difficile da valutare nei suoi aspetti molteplici e contraddittori, tornerò in altra occasione. Di fronte al moltiplicarsi continuo di fiammate antisemite emergenti dalla base sociale mi pare invece opportuno e urgente provare a riflettere in più direzioni.
1. Il fenomeno e le sue cause immediate
Come si manifestano questi scoppi improvvisi ma non tanto (dato il clima attuale)? Che cosa rivelano? Quali ne sono le cause dirette e indirette? Sono innanzitutto esplosioni di collera incontrollata propensa a passare facilmente dalle parole offensive e rabbiose ai fatti, alle violenze fisiche che spesso rendono necessario l’intervento della forza pubblica. Mettono in luce una carica aggressiva generica e indifferenziata, diretta contro tutto ciò che è israeliano ma anche semplicemente ebraico, come evidenziano le accuse “assassini assassini!” lanciate contro un padre e un figlio francesi colpevoli solo di avere il capo coperto da una kippah’. Basta cogliere questa intercambiabilità tra condizione israeliana e condizione ebraica dei bersagli per capire la natura squisitamente e radicalmente antisemita (e non solo antisionista) della rabbia popolare pro-palestinese: ti definisco “assassino” perché ti vesti come un ebreo e poi, per chiarire il concetto, ti grido contro “Palestina libera”; più evidente di così…! Al di là dell’analisi fenomenologica dei singoli episodi e anche a monte del peso di sofferenza interiore prodotto dalla loro becera intolleranza, resta aperta la domanda sulle cause di questi sfoghi irrazionali e tumultuosi. Causa immediata: il bisogno ingenuo e superficiale di solidarizzare in qualche modo con le vittime reali o presunte dell’attuale vicenda mediorientale, identificate coralmente nel mondo palestinese, a prescindere dalle reali vicende storiche e dalle effettive responsabilità passate e presenti. Dalla solidarietà viscerale e di pelle deriva un senso di aggregazione pronto a trasformarsi in protesta o azione violenta contro i presunti responsabili delle sofferenze palestinesi, identificati genericamente nello Stato e nella società israeliana cioè anche – immediatamente – ebraica, tanto in Israele quanto nella diaspora. E inevitabilmente, quasi per un riflesso condizionato, il moto aggressivo assume i tratti, il linguaggio, gli stereotipi dell’antisemitismo classico. Gravi, irrecuperabili carenze fondate in gran parte su una abissale ignoranza e su una totale incapacità di analisi. Ma, al di là e prima di questo, le cause e le responsabilità vere stanno altrove.
2. Le cause prime e i corresponsabili
È infatti il tiro incrociato di accuse e calunnie infamanti in corso da tempo contro Israele a costituire la prima spinta e la motivazione di fondo della crescita esponenziale dell’antisemitismo e della sua impressionante esplosione a livello sociale tra la “gente comune”. Responsabili sono un’informazione non equilibrata ma settaria e spesso preda inconsapevole (o consapevole?) di fake news o di notizie legate a una sola ed esclusiva fonte e una politica che non è più palestra di confronto e di approfondimento volta a raggiungere soluzioni utili per risolvere i conflitti ma è ormai ridotta a pura militanza di parte schierata e barricadera, tesa a denunciare e maledire piuttosto che a cercare strade di incontro. Per limitarci all’ Italia, larga parte della sinistra e vaste zone del mondo cattolico convergono nel dipingere Israele, dal suo governo alla sua struttura istituzionale alla sua intera società, come uno Stato usurpatore e coloniale indirizzato ormai verso una inevitabile deriva fascista e para-nazista. Addossando a Tel Aviv (non a Gerusalemme, per carità!) l’intera responsabilità per la drammatica e spesso tragica situazione di Gaza, la cui popolazione è stata ed è perennemente sotto il tallone oppressivo di Hamas, un coro malevolo e crescente lancia l’anatema della pulizia etnica e del genocidio, accuse ultime definitive irredimibili, tese a trasformare Israele nello Stato nazista di cui proprio gli ebrei erano la vittima designata. Queste sono le immagini terribili e multiformi (politiche, sociali, culturali, pseudo-religiose e pseudo-bibliche) che si danno di Israele oggi e che forse inevitabilmente producono gli effetti antisemiti che esplodono quasi ogni giorno. Francesca Albanese, Nathalie Tocci, Mario Capanna, Rula Jebreal nell’ambito della politica e della politologia; giornali come “Il Fatto quotidiano”, “l’Unità”, “Il manifesto”; Vito Mancuso e Raniero La Valle tra i teologi del mondo cattolico alla ricerca delle radici inestirpabili della violenza ebraica: nei loro rispettivi ruoi usano toni fortemente anti-israeliani che, volenti o nolenti, finiscono per incrementare l’animosità antiebraica.
3. Le fatali conseguenze
È paradossale e quasi surreale (ma psicoanaliticamente rivelatrice) l’insistenza con cui l’establishment condanna ogni forma di antisemitismo e si dice preoccupato per l’evidente crescita del fenomeno. Sono dichiarazioni formali e del tutto innocue, perché fanno parte dell’indispensabile politically correct senza minimamente incidere nell’ effettivo contrasto al pregiudizio. Fanno da pendant all’universale-bellissimo-ma oggi irrealizzabile obiettivo dei “due Popoli – due Stati” da tutti invocato per risolvere la questione israelo-palestinese. Attualmente serve altro.
A fronte del comune schieramento contro il pericolo dell’antisemitismo, da tante voci diverse provengono oggi descrizioni aberranti di Israele, degli ebrei e dell’ebraismo; narrazioni (più giusto dire maledizioni) che mescolano arbitrariamente passato e presente, piano politico religioso filosofico, tutte improntate a una totale ignoranza della storia multiforme del sionismo, dell’Yishuv, dello Stato. Solo poche personalità, poche apprezzabili testate giornalistiche si mantengono legate alla verità dei fatti e delle situazioni. Ci stupiamo poi che esploda anche da noi questo antisemitismo diffuso e virulento? Il fenomeno, rebus sic stantibus, è destinato a crescere e ad aggravarsi nelle sue manifestazioni violente.
C’è invece da stupirsi e da preoccuparsi non poco che il sonno della ragione ottenebri tanti intellettuali, impedendo loro di cogliere i forti rischi sociali e politici d’assieme collegati all’attuale dirompente incremento dell’antisemitismo. Ancora una volta, la storia non è magistra vitae.
David Sorani