DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 5 agosto 2025

La possibilità di una occupazione totale di Gaza da parte dell’esercito israeliano, annunciata nella scorse ore, è il tema di apertura di molti quotidiani.

Repubblica interpella al riguardo Yair Golan, il leader dei Democratici israeliani, che afferma: «A Gaza le sofferenze sono inaccettabili, dobbiamo mettere fine a tutto questo. L’annessione della Striscia e della Cisgiordania sarebbe una follia, la distruzione di Israele». Secondo Golan, «abbiamo un governo guidato da visione messianica estremista che non ha alcun collegamento con la realtà» e «ne fanno parte ministri che non hanno mai servito un giorno in vita loro, che anelano al ripristino degli insediamenti a Gaza a costo del sangue dei nostri figli». Per Golan, l’annessione della Striscia «equivarrebbe alla distruzione di Israele».

La Stampa intervista l’ex capo dello Shin Bet israeliano Ami Ayalon, tra i promotori dell’appello di ex capi di Mossad e Shin Bet per chiedere la fine della guerra a Gaza e il rilascio degli ostaggi. «Non siamo più davanti a una guerra tra israeliani e Hamas. Non si distinguono i terroristi perché non indossano le uniformi. Così ogni palestinese diventa una minaccia», sostiene Ayalon. «Il conflitto sta cambiando di giorno in giorno. Dopo il 7 ottobre, la guerra era giusta perché difensiva. Ma dopo circa un anno gli obiettivi militari, cioè smantellare Hamas e la sua leadership, sono stati raggiunti. Ecco perché abbiamo deciso di fare questo appello».

«In Israele si è aperto il nono fronte e questa volta è una parte della società israeliana che lotta con un’altra parte della società israeliana», racconta il Foglio, spiegando che «non è facile per Israele rivoltarsi contro se stesso, e non è stato con leggerezza che ex alti funzionari della sicurezza israeliana, tra capi di Tsahal e della agenzie di intelligence, hanno girato un video in cui chiedono di porre fine alla guerra prima che diventi una sconfitta».

Alessandro Sallusti firma sul Giornale un editoriale dal titolo “L’unica scelta possibile”, spiegando di comprendere l’eventuale occupazione israeliana di Gaza. «Fuori di retorica una guerra finisce solo quando c’è un vinto e un vincitore, l’unica alternativa è una situazione di stallo tale delle operazioni sul campo che a nessuno dei due contendenti convenga andare avanti», sottolinea Sallusti. «Bello o brutto che sia, ovviamente più brutto che bello, nella guerra dichiarata da Hamas contro Israele, le cose stanno proprio così: Israele quella guerra può vincerla e quindi continuerà fino al raggiungimento dell’obiettivo».

«Stiamo vivendo un momento storico in cui la democrazia ha smesso di funzionare», dichiara al Corriere della Sera lo scrittore israeliano Etgar Keret. «La stragrande maggioranza degli israeliani vuole fermare la guerra e liberare gli ostaggi. Solo un 20% è favorevole a continuare con la violenza, magari anche spianare Gaza e approfittare del momento per vessare i palestinesi in Cisgiordania. Sono all’incirca due milioni di persone, estremisti come ce ne sono in tanti paesi: razzisti, messianici, fanatici. Ma sono una frangia, come i neonazisti in Germania. Solo che qui sono al governo. Purtroppo per noi e i palestinesi fanno i ministri».

Avvenire riporta i dati di uno studio del Lior Tsfaty Center for Suicide & Mental Pain Studies del Ruppin Academic Center, dal quale si apprende che «il 76% degli israeliani è turbato, quotidianamente, dal pensiero costante sul destino degli ostaggi» e «questa preoccupazione si riflette in gravi sintomi psicologici: depressione, ansia, disturbi post-traumatici e persino i casi di suicidio, che non fanno che aumentare, non solo tra i soldati».

«Bisognerebbe esporre la bandiera palestinese e accanto quella israeliana se si è a favore della soluzione due popoli, due Stati», dice alla Stampa la scrittrice Edith Bruck, contestando le porte in faccia a Israele del mondo propal e dei rappresentanti istituzionali che seguono questa corrente. Bruck definisce la situazione a Gaza «un massacro spaventoso», ma a suo dire «parlare di genocidio significa sminuire il valore di questa parola e di quello che era accaduto con i nazisti».

Sul Corriere della Sera, Antonio Polito riprende le considerazioni di Liliana Segre sul termine genocidio riferito a Gaza. Quell’accusa, scrive il giornalista, «è molto spesso frutto di antisemitismo» e in ogni caso «produce sempre antisemitismo, anche oltre l’intenzione di chi la sostiene».

«La mia è una totale, glaciale, indifferenza verso Francesca Albanese. In-dif-fe-ren-za», racconta al Foglio il pianista Francesco Lotoro, esponente dell’ebraismo pugliese, commentando la cerimonia di consegna delle chiavi della città di Bari a Francesca Albanese. «Sono nato nel 1964, il clima è da 1938», sostiene l’artista. «Non ci sarà però un 1943. Non ci sarà una débâcle dell’ebraismo, Israele non lo permetterà».

«Nel conflitto in corso, come in ogni angolo di mondo dove vi è una guerra, ci sono una serie di problemi come la scarsità di cibo, di igiene e una qualità della vita ai limiti della sopportazione umana e questo è innegabile», scrive Ruben Della Rocca sul Riformista. «Ma le immagini dei rapiti e i metodi di Hamas confermano la colpevolezza senza attenuanti dei nazi islamisti di Gaza».

Mosè e Giuseppe sono vissuti “sul serio”. O comunque «sono vissute persone dal cui nucleo storico sono nati questi personaggi biblici». È la tesi del ricercatore indipendente israeliano Michael-Shelomo Bar-Ron, archeologo presso la Ariel University, che ha studiato alcuni testi ritrovati nella penisola del Sinai. Ne scrive Libero, segnalando come la sua ricerca abbia generato «un intenso dibattito nella comunità accademica internazionale».