L’APPELLO – Anna Segre: Discutere, non condannare
Gli intellettuali ebrei che sentono la necessità di esprimere le proprie opinioni critiche all’esterno del mondo ebraico hanno fatto veramente tutto ciò che era in loro potere per parlare all’interno? E coloro che si scandalizzano per le voci che parlano troppo all’esterno hanno fatto veramente tutto ciò che era loro potere per permettere loro di parlare all’interno?
In questo periodo di crescente antisemitismo appare a tutti evidente la necessità di mostrarci uniti, ma appare altrettanto evidente che non ne siamo capaci: già fatichiamo a condividere una chat con chi ha opinioni troppo diverse dalle nostre. Siamo uniti nella lotta all’antisemitismo ma non siamo concordi nel definire ciò che è o non è antisemitismo. Siamo uniti nella difesa di Israele ma abbiamo opinioni molto diverse su quale sia il bene di Israele. E come si mostra solidarietà a un Paese lacerato? Solidarietà al governo o a chi protesta contro il governo? Persino quando parliamo di unità forse intendiamo cose diverse: essere uniti significa non fare emergere le differenze di opinione oppure significa mostrare che siamo capaci di far convivere e dialogare opinioni diverse?
Domande difficili a cui è difficile rispondere. Personalmente non credo che si possa mostrare unità ignorando la complessità. Israele non è un blocco unico così come non sono un blocco unico le Comunità ebraiche. Sbaglia chi parla (bene o male) di Israele come se fosse un’entità monolitica, così come sbaglia chi presenta le Comunità ebraiche italiane come un’entità monolitica: nella loro solidarietà a un Paese lacerato gli ebrei italiani sono inevitabilmente lacerati, confusi, tutt’altro che concordi. E se le differenze di opinione esistono in qualche modo devono essere gestite. Invece ci ripetiamo in continuazione che vogliamo una Comunità unita, ma persino nelle chat private spesso fatichiamo a confrontarci e a dialogare: mi è capitato più volte negli ultimi mesi di vedere persone attaccate in modo violento o addirittura invitate a uscire. E chi non può intervenire nemmeno in una chat privata cosa farà? Sicuramente non smetterà di esistere, difficilmente cambierà idea, e neppure starà zitto, ma cercherà altri contesti in cui esprimersi.
Chi fatica a prendere la parola all’interno del mondo ebraico finirà inevitabilmente per parlare all’esterno.
Anna Segre