LA POLEMICA – Emanuele Calò: Popper e lo sfoggio del (non) sapere

Il 5 gennaio 1971, la radio bavarese mandò in onda due interviste parallele con Karl Popper e Herbert Marcuse (Baldini, Filosofia e Scienza, 1998, p. 406 ss.). Popper (ebreo suo malgrado) spiegò come Socrate accettò di essere qualificato dall’Oracolo di Delfi come il più sapiente degli uomini, in quanto consapevole della propria ignoranza.
A proposito di ignoranza e di sapienza, un testo scolastico così recita: «I palestinesi, appoggiati dalla Lega Araba, di cui facevano parte i quattro Stati confinanti (Egitto, Giordania, Siria e Libano), e gli israeliani si affrontarono armi in pugno dal 15 maggio 1948 al 25 gennaio 1949. Furono gli arabi a soccombere: gli israeliani si impadronirono del 50% in più dei territori concessi dalla Risoluzione ONU del 1947. (..) “Gli israeliani non volevano uno Stato in cui i palestinesi avessero pari diritti, ma uno Stato fondato sulla religione ebraica; gli arabi – palestinesi, dal canto loro, giudicavano gli israeliani degli usurpatori da cacciare da quello che consideravano il proprio territorio nazionale” (…) A soffiare sul fuoco di questa irriducibile rivalità contribuiva la contrapposizione ferale due superpotenze, con l’Unione Sovietica schierata con i palestinesi e gli Stati Uniti con gli israeliani».
Prima di asserire che gli israeliani non volevano uno Stato in cui i palestinesi avessero pari diritti, ma uno Stato fondato sulla religione ebraica, sarebbe stato bene domandarsi se davvero i socialisti che hanno fondato Israele fossero partigiani di una teocrazia: mi pare, ad essere buoni, altamente improbabile. Purtroppo, questo manuale non sarà come tutti gli altri, ma non è nemmeno un’eccezione assoluta: meraviglia che, in tanti anni, ci si sia preoccupati delle fake news e degli stadi, quasi che i manuali che formano le nuove generazioni non assolvessero alcun ruolo.
Ecco, la lezione socratica è sempre attuale: pensate (come avrebbe detto un rimpianto gaffeur televisivo italoamericano) che il filosofo greco circa 2400 anni addietro diede lo spunto per la costruzione teorica della sindrome di Dunning–Kruger (l’ignoranza dell’ignoranza).
Quanto a Popper, trasportato in fasce (idealmente e al di fuori del tempo e dello spazio), dall’ebraismo al luteranesimo, fuggiasco dal nazismo (al quale non importava molto che lui pensasse di essere luterano) ed esule in Nuova Zelanda, si trovò a non saper dove e come pubblicare il suo capolavoro La società aperta e i suoi nemici. Sennonché, si ricordò del correligionario Ernst Gombrich (il padre aveva svolto il tirocinio forense dal padre di Popper e, quando conviene, si trovano delle affinità elettive) il quale riuscì a farlo pubblicare con Routledge. Gombrich era amico dei rifugiati Friedrich Hayek e Max Perutz, Premio Nobel amico del grande napoletano Alfonso Liquori, mancato vincitore del Nobel per shenanigans di palazzo.
In Italia, invece, Popper fu pubblicato con un buon editore romano, buono ma piccolo, quando invece avrebbe meritato una maggiore attenzione; certo che un autore sublime come lui, che strapazza Marx, avrebbe urtato il pensiero dominante.
Popper disse in quella mentovata radio bavarese: «I marxisti credono di sapere molto. Mancano completamente di modestia intellettuale. Amano fare sfoggio del loro sapere e di una roboante terminologia. Il rimprovero non vale per Marx o Engels. Essi erano pensatori grandi e originali, che avevano nuove idee, spesso difficili a formularsi. Chi ha da dire qualcosa di nuovo e di importante, tiene a farsi capire. Farà perciò tutto il possibile per scrivere in modo semplice e comprensibile. Niente è più facile dello scrivere difficile. Ma io accuso i moderni marxisti rivoluzionari di abusare di paroloni, di tentare di impressionarci con poche idee e molte parole. Niente è loro più estraneo della modestia intellettuale».
Karl Popper aveva forse conservato un retaggio, delle vestigia del suo ebraismo? Se ne è discusso. Fatto sta che, altro che retaggio, Popper era un pensatore ebraico senza scarti! La sublime dialettica fra il popolo ebraico e il Creatore non segue le linee rette di Karl Marx, il quale provò a copiare il Pentateuco, ma ci aggiunse un’infelice stagione da profeta, così mesta da portare il povero Francis Fukuyama a decretare (sulla scia di Hegel) la fine della storia, finché non fu la storia a decretare la fine di Fukuyama.

Emanuele Calò