SPETTACOLO – Da Schindler’s List al monologo su Yigal Amir, addio all’attore Rami Heuberger

C’è chi lo ricorda in uno degli innumerevoli sketch della Hahamishia Hakamerit, dove bastavano pochi gesti e uno sguardo per rubare la scena. C’è chi lo celebra per il ruolo di Krembo, il soldato arrogante e disperato della commedia cult Operazione Nonna. E c’è chi non riesce a dimenticare il suo inquietante monologo nei panni di Yigal Amir, un momento di satira diventato in parte una profezia.
Rami Heuberger, morto di cancro a 61 anni, è stato uno degli attori più intensi e imprevedibili del teatro e della televisione israeliana. Non era un attore accomodante. Non cercava il consenso, né la grazia, ma «aveva una forza che arrivava dritta, anche a costo di urtare», ricorda il critico di ynet Einav Schiff. «Rami era un fenomeno», la definizione data ad Haaretz dal regista Eitan Tzur, che con l’attore aveva condiviso anni di lavoro alla Hahamishia. «Un momento era Rami che rideva e faceva sciocchezze, e un attimo dopo era dentro un personaggio, senza bisogno di immedesimarsi. Aveva un’intuizione speciale, non doveva prepararsi. Entrava nel ruolo come fosse già suo».
Il suo volto, spesso serio fino all’ambiguità, è diventato parte della memoria visiva di una generazione. Nato a Tel Aviv nel 1963, formatosi allo studio Nissan Nativ, Heuberger entrò al Teatro Cameri sul finire degli anni Ottanta e da allora non smise mai di recitare, dirigere, inventare. Aveva una presenza in scena che non poteva essere ignorata. La usava anche per spostare l’asse della narrazione, per piegarla, per farla deragliare, sottolinea Schiff.
Lo si è visto in BeTipul, dove interpretava Michael Neumann, un uomo costretto ad affrontare la frattura del suo matrimonio davanti agli occhi del terapeuta. O in The Prime Minister’s Children, dove vestiva i panni di un capo di governo tormentato, sotto la pressione pubblica e quella privata. Nella serie tv HaBurganim, riapparve con i colleghi della Hahamishia, stavolta in forma più malinconica e disillusa. La sua filmografia include ruoli nel cinema israeliano e internazionale: è stato il sopravvissuto alla Shoah Joseph Bau in Schindler’s List di Steven Spielberg, e, di recente, l’ex generale e ministro della Difesa Moshe Dayan in Golda di Guy Nattiv. Quest’ultimo ruolo, intenso e vulnerabile, lo ha riportato alla ribalta pochi anni prima della morte. «Mi hai detto che sentivi un profondo legame con quel Dayan del ’73, distrutto e a pezzi», ha ricordato Nattiv in un messaggio di cordoglio. «L’hai interpretato senza ego, con onestà».
Heuberger ha fatto parte di una generazione di attori e autori — urbana, laica, post-traumatica — cresciuta nel disincanto dopo la prima guerra del Libano, sottolinea Schiff : «Una generazione che ha prodotto alcuni dei momenti più intelligenti e spietati della satira televisiva israeliana, e che con il tempo ha perso centralità, spinta ai margini da un’opinione pubblica sempre più spostata a destra». Il suo lavoro, però, è rimasto: come eco, come monito, come specchio, rileva Haaretz.
Lui stesso non si è risparmiato. Ha parlato, più di una volta, della depressione, della fatica mentale, del peso della malattia. Durante la pandemia raccontò di essere finito in un «buco nero», e che a tenerlo in vita erano stati solo i suoi figli: «Non potevo permettermi di essere così egoista», disse in un’intervista. Era un uomo difficile anche con sé stesso, e non ne faceva mistero, spiegano gli amici, ma sapeva anche aprirsi. «Ho scoperto in me una tenerezza e una generosità che non sapevo esistessero», ha confidato all’amico e collega Menashe Noy in uno dei loro ultimi incontri in ospedale.Il suo testamento artistico, se ce n’è uno, è forse quel monologo nei panni di Yigal Amir, l’assassino dell’ex primo ministro e Nobel per la Pace Yitzhak Rabin. Era il 1997, due anni dopo l’omicidio di Rabin. Lo sketch fu scritto da Uzi Weil, girato in silenzio, quasi con paura, e trasmesso senza risate. Amir, chiuso in una cella, sorrideva alla telecamera. Diceva che sarebbe stato graziato, che la società, col tempo, avrebbe dimenticato. Che sarebbe uscito e sarebbe stato applaudito. «Tra vent’anni sarò graziato», ripeteva alla telecamera. «Tu lo sai». Quel sorriso inquietante, stampato sul volto di Heuberger, è ancora oggi una delle immagini più disturbanti e potenti della televisione israeliana. «Non cercava di convincere che fosse Amir. Non voleva esserlo. Ma ne catturò l’essenza: la certezza, la freddezza, l’eco di una società spaccata», ricorda Schiff. Per molti, fu uno schiaffo e un oltraggio. Per altri, un’anticipazione di uno scontro sempre più profondo all’interno della società israeliana. Per tutti, una interpretazione di Heuberger da applaudire.
d.r.