L’OPINIONE – Alberto Heimler: Una risoluzione troppo ampia
Ogni intervento pubblico, inclusa naturalmente la decisione di far scoppiare una guerra, deve essere analizzato come uno strumento per il raggiungimento di un obiettivo. Di conseguenza ci sono due aspetti da considerare per verificarne la correttezza: innanzitutto si discutono gli obiettivi (si sta perseguendo un obiettivo valido e nell’interesse generale?); poi si discute lo strumento prescelto (è adeguato allo scopo sia in sé che nelle specifiche modalità con cui viene utilizzato?).
La guerra di Gaza, come più volte dichiarato dal governo israeliano, persegue l’obiettivo della liberazione degli ostaggi, del disarmo di Hamas e del suo allontanamento dal governo della Striscia. In generale, a parte le frange più estreme, sembra che ci sia un diffuso consenso che l’obiettivo sia condiviso. Il contrasto maggiore è se la guerra sia lo strumento più indicato per raggiungerlo e, soprattutto, se continui a esserlo.
Peraltro, anche coloro che ritengono che la guerra sia uno strumento non solo legittimo ma anche tuttora valido sanno che esistono delle alternative. Finora le alternative non si sono intraviste, solo richieste continue a Israele di cessare il fuoco accompagnate, e solo talvolta, da sommessi inviti a Hamas a liberare gli ostaggi e quasi mai da chiare indicazioni a Hamas di consegnare le armi e lasciare il governo della Striscia di Gaza. Se Israele avesse accettato, l’obiettivo perseguito sarebbe stato ben lontano dall’essere raggiunto. Era pertanto facile per Israele ignorare tali sollecitazioni.
Adesso con la recente risoluzione delle Nazioni Unite del 12 settembre 2025 presentata dalla Francia e dall’Arabia Saudita, due Stati saldamente nel fronte occidentale, le cose sono mutate. Le Nazioni Unite con un voto a larghissima maggioranza ricercano la fine del conflitto a Gaza, invitando Hamas a: 1) liberare gli ostaggi a fronte della liberazione di un imprecisato numero di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane, 2) consegnare le armi all’Autorità nazionale palestinese (Anp). In cambio Israele si dovrebbe ritirare dalla Striscia che a sua volta verrebbe amministrata dall’Anp affiancata temporaneamente da una coalizione di Stati membri dell’Onu al fine di garantire il disarmo di Hamas, l’ordine e la sicurezza dell’area.
Hanno votato a favore di questa risoluzione 124 paesi membri dell’Onu eccetto Stati Uniti, Israele, Argentina, Paraguay e Ungheria che hanno votato contro (insieme a 5 altri micro paesi) e Albania, Cameroon, la Repubblica Ceca, l’Ecuador, l’Etiopia, il Guatemala e la Moldavia (oltre a cinque altri Stati minori) che si sono astenuti. La risoluzione è stata considerata da tutti i commentatori come bilanciata, equa e ben strutturata. I pochi paesi che l’hanno opposta sono stati visti come nemici della pace.
Poiché il documento conferma la validità degli obiettivi della guerra perseguitati di Israele (la liberazione degli ostaggi, il disarmo di Hamas e la sua uscita da Gaza) perché opporvisi? La ragione principale è che gli Stati Uniti e Israele ritengono che la risoluzione non tenga in sufficiente considerazione le garanzie di sicurezza che Israele richiede per accettare l’eventuale costituzione di uno Stato palestinese e che rischi di limitare la flessibilità negoziale di Israele, portando Hamas a ricercare un compromesso partendo proprio dalla soluzione proposta dall’Onu che invece rappresenta già un risultato molto favorevole alla Palestina.
Purtroppo non è possibile un’accettazione parziale del testo della risoluzione ed è possibile solo votare a favore, contro o astenersi. E l’essere obbligati a una scelta del tipo sì/no ha messo Israele, più che gli Stati Uniti, in una posizione scomoda, isolata e politicamente difficile.
Per evitarlo Israele e Stati Uniti avrebbero potuto presentare un testo alternativo, più limitato di quello poi adottato e che prevedesse la liberazione degli ostaggi, l’abbandono da parte di Hamas del governo di Gaza, il successivo ritiro di Israele e la cessione del potere a Gaza a una coalizione internazionale sotto la responsabilità delle Nazioni Unite. Sarebbe stata questa una soluzione, peraltro indicata numerose volte dallo stesso Netanyahu, che avrebbe messo in evidenza le differenze tra la posizione israeliana e quella di tutti gli altri. Nell’ipotetica risoluzione americo-israeliana sarebbe stata omessa la partecipazione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) al governo di Gaza e la successiva creazione dello Stato palestinese in quanto mancano ancora accordi precisi sulla sua estensione precisa (il riferimento ai confini del 1967 contenuto nella risoluzione approvata non è certo sufficiente) e Israele e Stati Uniti non si fidano della determinazione alla coesistenza dell’Anp (nella risoluzione approvata è implicito che i due Stati vivranno in pace l’uno a fianco dell’altro, ma non c’è niente che possa garantirlo).
L’isolamento di Israele all’Onu, che è molto più grave di quello degli Stati Uniti che comunque restano la potenza mondiale di riferimento per l’Occidente e non solo, viene purtroppo interpretato come originato da posizioni estremistiche che non accettano le aspirazioni di indipendenza dei palestinesi. Forse ancora di più. L’opposizione di Israele a una risoluzione votata da quasi tutti gli Stati del mondo è vista come un contrasto di fondo a tutto quello che la risoluzione sostiene, confermando così il pregiudizio diffuso che Israele voglia conquistare territori palestinesi illegittimamente e massacrare (o deportare) la popolazione palestinese. E invece il voto contrario, come emerge dalle dichiarazioni che l’hanno preceduto, aveva una portata molto più limitata ed era volto a evitare di irrigidire i negoziati e di individuare anticipatamente una soluzione precisa per Gaza e la Cisgiordania, sottraendola alle future determinazioni delle parti in causa.
Se gli Stati Uniti e Israele avessero presentato una risoluzione alternativa (che accettasse la prima parte di quanto contenuto nella risoluzione poi approvata) e che omettesse di assegnare un ruolo di guida all’Anp e non prevedesse la costituzione dello Stato palestinese, se non alla conclusione di un processo di pacificazione che ancora deve iniziare, le posizioni di tutti sarebbero state meglio comprese, anche dall’opinione pubblica mondiale che, riconoscendo qualche ragione alle posizioni di Israele, sarebbe alla fine diventata meno ostile di quanto lo sia attualmente.
Qualcosa comunque potrebbe essere ancora fatto. Il Consiglio di Sicurezza, dando attuazione alla prima parte della risoluzione adottata dall’Assemblea Generale, potrebbe prendere una decisione più incisiva nella direzione qua indicata, magari su iniziativa americana.
Alberto Heimler