5786 – «Lo shofar sta suonando, è l’ora di agire»

Il suono dello shofar accompagna da millenni l’inizio dell’anno ebraico con una vibrazione che emoziona attraversando corpo e coscienza. Non è un suono sommesso, assomiglia più a un grido che squarcia l’aria, scrive Yuval David, attore e regista newyorkese, sul JNS. La tradizione rabbinica non descrive mai lo shofar come un oggetto liturgico, bensì come un appello che non deve lasciare indifferenti: qualcosa che scuote, che costringe a prendere posizione, che interrompe l’abitudine. In tempi come quelli attuali, segnati da una crescente ostilità verso il popolo ebraico e verso Israele, il significato del suono diventa ancora più nitido. Non è un invito a contemplare passivamente, ma un comando a uscire dall’immobilità. Restare in silenzio, o attendere che altri sostengano il peso, equivale a rinunciare a un compito che la storia e la memoria collettiva hanno consegnato. Lo shofar non accetta esitazioni. In una comunità che rappresenta una percentuale minima dell’umanità si cela una responsabilità che va oltre il calcolo numerico: nei secoli l’apporto ebraico ha contribuito a formare categorie morali, a fondare visioni teologiche, a stimolare la ricerca scientifica e artistica, a difendere l’idea stessa della dignità umana. Il gruppo piccolo ma in grado di incidere perché non si è arreso mai, perché ha interpretato la propria presenza come testimonianza attiva e non come mera sopravvivenza. I nemici di Israele e dell’ebraismo non si ritirano nell’ombra: parlano, scrivono, diffondono, organizzano saperi distorti e narrazioni falsificate che penetrano negli spazi pubblici, nei campus, nelle istituzioni, nelle piazze virtuali e reali. Le antiche forme dell’odio si travestono di linguaggi nuovi, trovano alleanze insospettabili, uniscono estremi politici apparentemente inconciliabili. E in questo scenario l’indignazione non basta, il lamento non protegge e l’invocazione sterile non costruisce. Scrive Yuval David che allora il suono dello shofar allora diventa paradigma: non un’emozione da consumare nell’istante, ma un mandato, un atto che richiama alla responsabilità, un imperativo che oltrepassa la dimensione individuale e investe l’intera collettività. Nella durezza del suo timbro si avverte la voce della storia, la tenacia di chi ha resistito, la forza di chi ha rifiutato la sconfitta: «Am Israel Chai non è solo uno slogan. È un impegno, una carica, un modo di vivere. Quest’anno, mentre entriamo nel 5786, la domanda che ci attende è semplice: ci siederemo e speriamo che gli altri portino la lotta, o faremo un passo avanti e prenderemo il nostro giusto posto come leader del nostro popolo e difensori del nostro futuro? Lo shofar sta suonando. Non è solo un campanello d’allarme. È un grido di battaglia. Unitevi a me».