DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 1 ottobre 2025
Voci contrastanti si rincorrono sulla possibile adesione di Hamas al piano Trump, per il quale il presidente Usa chiede una risposta entro pochi giorni altrimenti nella Striscia «sarà l’inferno». Tutto il Parlamento italiano lo sostenga, chiede la premier Giorgia Meloni in alcune interviste. Intanto la Global Sumud flotilla è sempre più vicina alle coste di Gaza e continua a sfidare le autorità israeliane, che la considerano infiltrata da figure vicine al gruppo terroristico palestinese.
«L’incontro con Trump è molto importante. L’accordo che è stato redatto è altamente complesso e deve essere studiato a fondo», sottolinea al Tempo il ministro israeliano della Diaspora Amichai Chikli. Secondo il ministro, il progetto «contiene elementi cruciali, in primo luogo la restituzione degli ostaggi e la rimozione di Hamas dal potere, ma anche aspetti che assomigliano fin troppo alle fallimentari avventure di Oslo». Si esprime nel merito anche l’Anp. «Incoraggiamo Hamas ad accettare e a lasciare il potere, che è stato preso con la forza con un colpo di Stato», dichiara al Corriere della Sera Ahmed Fattouh, il portavoce di Fatah. Fattouh valuta positivamente il piano, perché «avvia a un percorso di pace e garantisce che i palestinesi non saranno spostati dalle loro terre, impedisce l’annessione dei nostri territori e pone fine alle azioni unilaterali di Israele». A suo dire si tratta di «un primo passo per aprire un processo politico e discutere una risoluzione pacifica della questione palestinese», malgrado il non coinvolgimento nella stesura dell’accordo di esponenti dell’Anp. “Sì al coraggio della pace”, chiede sul Corriere lo scrittore israeliano Eshkol Nevo. «Basta con questa tristezza che ormai impregna l’aria che respiriamo, basta con questo Giorno della memoria lungo due anni, basta allarmi, basta precipitarci di notte nel rifugio, basta con le moto il cui rombo ti ricorda l’allarme e ti fa sobbalzare, basta trauma, basta post-trauma, basta persone che gridano nel sonno, basta persone che piangono in silenzio». E «basta sofferenza» per gli ostaggi e per i civili di Gaza perché «siamo lo stato degli ebrei, abbiamo una responsabilità etica». Il suo collega e connazionale Assaf Gavron, intervistato dalla Stampa, appare scettico su un esito positivo dell’iniziativa: «Penso che Netanyahu non avesse altra scelta se non dire di accettare. Ma ora spera che Hamas dica di no. E se invece dirà di sì, troverà un modo per uscirne».
Per quanto riguarda la flotilla, nel caso in cui Israele dovesse condurre azioni a tutela della propria sicurezza «gli equipaggi violerebbero l’Art. 244 del Codice Penale, riguardante atti ostili verso uno Stato estero che espongono lo Stato italiano al pericolo di guerra o che possano turbare le relazioni con uno Stato estero» e a seconda della gravità delle azioni e delle loro conseguenze, le pene che rischiano «variano da tre anni di reclusione all’ergastolo». A dirlo al Riformista è Luigi Chiapperini, Generale di Corpo d’Armata dei Lagunari in quiescenza. Secondo il Foglio il piano Trump avrebbe messo «in mutande» il pacifismo modello flotilla perché «dopo aver scelto di rimuovere il tema Hamas dalle problematiche del Medio Oriente», oggi i sostenitori di tali istanze scoprono «che il futuro della pace a Gaza passa proprio da lì, anche da lì, dunque dalla volontà da parte dei terroristi di farsi da parte per garantire ai palestinesi un futuro e anche uno stato».
Libero si sofferma sull’antisemitismo “sdoganato”, l’antisemitismo «che non solo ha trovato posto nelle piazze o sta riempiendo le pagine dei nostri giornali, ma che viene pure esibito, mostrato con troppo orgoglio e ostentato con troppa poca vergogna, quasi fosse in corso la gara a chi è più propal degli altri».
Ieri i collettivi propal sono entrati in azione all’Università La Sapienza di Roma «con il consueto inquietante copione», riferisce il Giornale. «Hanno interrotto le lezioni, preso possesso di aule e ammainato la bandiera europea per issare quella palestinese», lanciando poi «vernice e petardi» contro l’ingresso del rettorato dell’ateneo.
«Assistiamo a un clima estremamente pericoloso», denuncia al Riformista la docente universitaria Alessandra Veronese, dell’ateneo di Pisa. «Ormai il termine sionista viene adoperato come una parolaccia, senza sapere neppure che cosa significhi davvero».