LA POLEMICA – Emanuele Calò: A chi dare il microfono
Una rock star domestica scrive che i giusti fra gli ebrei che si oppongono a Israele vengono dileggiati e minacciati; temo che sia un refuso e che la frase fosse «i giusti fra gli ebrei che difendono Israele sono dileggiati e minacciati». È ormai un topos dire che chi si oppone a Israele è coraggioso, lo ha detto un noto editore che privilegia il dialogo, soprattutto fra persone che sono già d’accordo. Da ultimo, due giornalisti di vaglia hanno detto che i viaggiatori al termine della notte erano (rectius: sono) assai coraggiosi. Sennonché, chi rischia sono solo gli ebrei, e ne sanno qualcosa i parenti degli uccisi, nell’ultimo Kippur, alla Heaton Park Congregation Synagogue di Manchester.
Leggo anche un articolo di una pitonessa, per cui la morte annunciata dei palestinesi può diventare anche la fine del mondo ebraico, degli ebrei della diaspora come di quelli di Israele. Non vien detto come dovrebbe palesarsi questa fine: a) del mondo ebraico, b) degli ebrei della diaspora e c) di Israele, quale seguito della morte dei palestinesi. Una self-fulfilling prophecy? L’eminente sociologo ebreo Robert King Merton, nato Meyer Robert Schkolnick, scrisse che «la profezia che si autoavvera, per cui le paure si traducono in realtà, opera solo in assenza di controlli istituzionali deliberati. Ed è solo con il rifiuto del fatalismo sociale implicito nella nozione di natura umana immutabile che il tragico circolo di paura, disastro sociale e paura rafforzata può essere spezzato». Poiché siffatti controlli non esistono, sarebbe più igienico evitare di fare la Cassandra, non per motivi apotropaici, ma di mero buon gusto.
Dopo tali profezie, non ha fatto in tempo ad asciugare l’inchiostro virtuale di cotanto necrologio di tutti gli ebrei del mondo, che quei due additati come mostri, Donald Trump e Benjamin Netanyahu, hanno presentato un ottimo piano di pace. Agli esperti di psicologia sociale, non dovrebbe sfuggire che la concreta possibilità di una pace vera, non ha impedito lo scatenarsi di agitazioni che scuotono il Paese, e questi scossoni non finiscono di meravigliare perché palesano che non è la pace ad essere una priorità, non è la salvezza di palestinesi ed ebrei ad essere una priorità, ma l’inconscia priorità è tenere in vita l’odio.
La funzione sociale dell’odio risiede nella possibilità di fornire certezze: come dire, ora sappiamo qual è la ragione delle nostre sventure: Israele, quale ebreo fra le nazioni. Se vi fosse la pace, dove andrebbero a finire le nostre consolidate convinzioni circa Trump e Netanyahu quali demoni di Dostoevskij, non a caso collegati, ora come allora, ad un funereo nichilismo?
Gaza è anche diventata uno strumento di lotta politica interna, e lo si è visto anche nel c.d. Treno per Gaza, delle elezioni marchigiane. Salire su quel treno, costa poco o nulla; peccato che le sofferenze di arabi ed ebrei siano diventate uno strumento interno anziché una disgrazia da superare.
Non è un buon segno quello di manifestare non per la pace, ma contro l’odiatissimo Stato ebraico, rimuovendo sempre Hamas dalle proteste. Ciò che ora deve incutere timore non è il Medio Oriente, ma un Occidente così gonfio d’odio da fornire la certezza ad Hamas, il sette ottobre 2023, di avere le spalle coperte. Non pensate più all’odio mediorientale, che ormai può pure essere deplorato ma purtroppo va capito. Preoccupatevi dell’odio a casa nostra, un odio che ha consentito di scoprire quella botola sotto la quale scorreva l’antisemitismo. Siamo noi, occidentali, l’ostacolo alla pace.
Bisogna che noi si dia il microfono ai nostri intellettuali, certamente non ai narcisisti e ai fenomeni in carriera, ma alle persone mature e disinteressate, affinché riferiscano in modo obiettivo ed imparziale i termini della questione, sfrondandola dalle leggende metropolitane, onde spiegare che arrivare alla pace è quasi un miracolo e che se continueremo a distillare pozioni venefiche per tornaconto personale, la storia non parlerà bene di noi. Se veramente abbiamo a cuore la sopravvivenza degli israeliani e dei palestinesi, riponiamo gli odi in un cassetto virtuale, evitiamo di fare i Leopoldo Pisanello della guerra, evitate che di voi si dica Leopoldo Pisanello c’est moi, come Gustave Flaubert con Madame Bovary.
Emanuele Calò