GERMANIA – «Una normalità opprimente»

Due anni dopo, il 7 ottobre è sia ferita aperta che lente sul mondo che ne è seguito. L’attacco terroristico di Hamas in Israele è stato sì una strage ma ha anche liberato nel discorso pubblico un odio che molti fingevano di non vedere. In Germania, dove la storia dovrebbe rendere l’antisemitismo un tabù, le cifre parlano da sole: dal giorno dell’attacco fino a dicembre 2024, la Rias – la Bundesverband der Recherche-und Informationsstellen Antisemitismus (Associazione federale per la ricerca e i centri informativi sull’antisemitismo) – ha contato 2.225 manifestazioni con contenuti antisemiti. Prima del 7 ottobre 2023 se ne registrava in media una al giorno; dopo quella data sono diventate cinque. È un clima in cui certe parole tornano a circolare con leggerezza: mascherate da attivismo politico o solidarietà con i civili di Gaza sono intrise di pregiudizio. Una manifestante a Francoforte ha urlato a un uomo con la kippà, di passaggio in bicicletta: «Hai appena ucciso un bambino, sionista!». A Berlino, giornalisti sono stati apostrofati come «Stampa ebraica», secondo uno schema di sospetti che scivolano facilmente dal pregiudizio verso Israele al complotto sui media. Il rapporto Rias non si limita a elencare episodi: traccia le linee di un antisemitismo politico che attraversa gli schieramenti unendo l’attivismo antisraeliano (80 per cento dei casi) al linguaggio dell’antiimperialismo di sinistra, fino alle derive islamiste. Come ha osservato il direttore della Rias, Benjamin Steinitz, «l’ostilità verso Israele è il legame che mobilita attori di spettro molto diverso». L’odio verso Israele, che dovrebbe dividere, diventa un punto di convergenza; la Germania, il cui governo resta immune dalla critica senza fine di Israele, registra piazze in cui si invoca apertamente la distruzione di Israele, si relativizza la Shoah e si giustifica il terrorismo come atto di resistenza. Steinitz parla di «bedrückende Normalität», una normalità opprimente, in cui l’oltraggio non scandalizza più. Il linguaggio dell’odio si è fatto più comune, la diffamazione contro gli ebrei è una scorciatoia espressiva per atteggiamenti politici o emotivi più ampi. Due anni dopo il 7 ottobre, il dato più preoccupante non è l’odio che è stato registrato ma la sua accettazione e la capacità di conviverci come se fosse parte del paesaggio politico. In questa assuefazione si misura la distanza tra la lezione della storia e il presente, che non pare averne tratto insegnamenti.