7 OTTOBRE – Niente fiction, la nuova narrativa per superare il trauma

Il 7 ottobre 2023 ha segnato un punto di svolta per la letteratura ebraica contemporanea, interrompendo un lungo periodo di scrittura memoriale e introducendo una nuova fase narrativa. Nei mesi successivi, la produzione editoriale si è concentrata prevalentemente su testi di testimonianza, saggistica e poesia, mentre la narrativa di finzione è rimasta quasi assente. La Biblioteca Nazionale di Israele – scrive Amy Schwartz su Momentmag – riportava al primo anniversario dell’attacco la pubblicazione di 169 volumi sull’evento, un numero destinato a crescere man mano che autori e lettori cercano di dare forma a un trauma ancora vivo e difficile da comprendere. In queste pagine, la vicinanza al dolore degli altri diventa tangibile, e ogni testimonianza trasmette un frammento di vita sospesa tra paura e resistenza. In ebraico, la fiction sul 7 ottobre è stata quasi inesistente. Reuven Ziegler, direttore editoriale della casa editrice Koren Publishers, osserva che affrontare l’evento attraverso la narrativa appare troppo precoce e troppo doloroso. Oriya Mevorach, coautrice di una narrazione non fiction, sottolinea come la realtà recente superi qualsiasi immaginazione. Altri editori e scrittori confermano la stessa difficoltà: la finzione richiede una distanza che non esiste ancora, un respiro temporale che consenta di trasformare il trauma in racconto. Ciononostante, la necessità di dare voce a ciò che si è vissuto resta viva, e questo senso di urgenza palpita tra le righe dei testi già pubblicati. Alcune voci hanno iniziato a esplorare il trauma attraverso la narrativa, spesso con strumenti indiretti o elementi surreali.
Etgar Keret, noto per il suo stile umoristico e straniante, ha incluso nella raccolta Autocorrect una storia intitolata Intention, scritta subito dopo il 7 ottobre. Racconta di un uomo religioso che tenta di mitigare la catastrofe con la preghiera, trovandosi tuttavia di fronte all’indifferenza dell’universo. La storia mostra una reazione immediata all’evento, ma lascia trasparire anche la fragilità, la tensione di chi cerca di trovare un senso in mezzo all’incomprensibile. Altri autori hanno scelto la fiction speculativa per affrontare il trauma. Marla Braverman, in Questo è come finisce il mondo, narra di una donna che, dopo l’attacco, si prende cura del cane del vicino, un gesto semplice che la costringe a confrontarsi con la realtà della guerra e con la propria capacità di cura. Chavah Chernobelskiy, in L’artista, racconta di un pittore che realizza un murale capace di influenzare profondamente chi lo osserva, mostrando come l’arte diventi ponte tra esperienza vissuta e memoria condivisa. In questa fase, la narrativa di finzione si muove ai margini della letteratura ebraica contemporanea, segnando la tensione tra il bisogno immediato di testimoniare e la necessità di un tempo narrativo che permetta di trasformare l’esperienza in racconto. Lo spazio letterario creato da questi autori riflette la volontà di elaborare il trauma in forma indiretta, di esplorare dolore e perdita senza costringerli in strutture convenzionali. Ogni storia diventa così un piccolo gesto di presenza, un tentativo di comprendere e restituire memoria, di avvicinarsi all’esperienza dell’altro senza annullare la distanza che ancora ci separa dalla realtà di quei giorni.