LINGUE PERDUTE – Quando la malattia aiuta la riscoperta
In molte comunità ebraiche dell’Iran le lingue locali parlate un tempo – dal giudeo-Kashani (noto anche come Kashi) al giudeo-Tuyserkani (Tuyserkan) – sono oggi al limite dell’oblio ma forse c’è una possibilità di recuperarle. Quando la demenza erode le memorie più recenti, ciò che resta spesso sono i ricordi più antichi, più radicati, e tra questi c’è la lingua appresa nell’infanzia, quella legata ai primi affetti. Per il Forward, Lauren Hakimi ha raccolto due testimonianze di persone che hanno imparato le due antiche lingue giudeo-iraniane per comunicare con i propri cari colpiti dalla demenza. Una necessità pratica trasformatasi, per Sabrina Hakim, in impegno culturale: dal tentativo di imparare il giudeo-Kashani per comunicare con il padre ammalato all’annotare parole e frasi fino a comporre una sorta di glossario, pagine di conversazioni che sono servite a costruire un dizionario. Ashton invece è la nipote di una donna nata probabilmente nel 1939 a Tuyserkan nella provincia di Hamadan che quando è confusa utilizza si esprime in giudeo-Tuyserkani. Una lingua ancora più a rischio. Di sua nonna racconta: «Penso che le piaccia tornare indietro nel tempo, quando tutto andava bene, quando suo padre era vivo e aveva sua madre accanto a sé. Penso che si senta più serena quando ripensa a quei tempi». In ambedue i casi non si tratta solo di una riscoperta affettiva: con l’aiuto di studiosi che forniscono strumenti e guidano il percorso si passa a registrare vocaboli specifici, si crea una memoria condivisa grazie proprio a chi una parte della propria memoria la sta perdendo.
La lingua non è soltanto uno strumento di comunicazione: è dimora dell’identità, deposito di storia, traccia di appartenenza, e quando un idioma rischia di sparire, non spariscono solo parole: si perde un modo di vedere il mondo, e la tonalità affettiva che lega il singolo al suo passato. La demenza, grande portatrice di sofferenze, in questi esempi ha aperto uno spiraglio inatteso: nella fragilità della memoria recente riaffiorano le fondamenta invisibili e spesso ignorate dell’esperienza linguistica. Alcuni neuroscienziati suggeriscono che le lingue apprese per prime sono quelle che restano più saldamente impresse nel cervello, resistendo maggiormente alla perdita cognitiva. Le migrazioni interne, lo spostamento verso città più grandi (e il trasferimento a Teheran) hanno però fatto sì che il giudeo-Kashani e il giudeo-Tuyserkani venissero usate sempre meno, confinandole all’uso familiare, privato, che spesso si è interrotto con le nuove generazioni. Il valore di questi “salvataggi” è enorme, e non si tratta solo di un recupero nostalgico. È un imperativo etico: ogni lingua che scompare impoverisce l’umanità intera, non solo chi la parlava. Nel caso delle lingue giudaico-iraniane il legame con la storia ebraica – con gli spostamenti, con la diaspora, con le relazioni con l’ebraismo del Medio Oriente – è doppio. Conservarle significa anche mantenere vive sfumature di ritualità, testi orali, liturgia familiare e memoria di un quotidiano che altrimenti andrebbe perduta.