DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 27 ottobre 2025

Il no del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu alla presenza di Qatar e Turchia nella forza internazionale da dispiegare a Gaza domina le analisi dei quotidiani. «Siamo una nazione indipendente, reagiamo senza dover chiedere il permesso», ha dichiarato il premier, rivendicando per Israele il veto sui paesi partecipanti e assicurando che «il controllo totale resterà israeliano», scrive il Corriere della Sera. Per Repubblica il no di Netanyahu è sostenuto dai sondaggi, che danno il suo Likud ancora primo partito: 27 seggi contro 26 del partito guidato da Naftali Bennett.

Intanto la Croce Rossa e una squadra egiziana, con il consenso di Gerusalemme, cercano tra le macerie i corpi degli ostaggi, mentre secondo fonti locali parteciperebbero anche uomini di Hamas. E proprio Hamas, attraverso Khalil al Hayya su Al Jazeera, ribadisce che «le armi resteranno fino a quando non finirà l’occupazione», pur dicendosi pronto a cedere la gestione civile della Striscia a un organismo palestinese locale.

L’ospedale Beilinson di Petah Tikva ha dimesso tre ex ostaggi liberati da Gaza — Evyatar David, Guy Gilboa-Dalal ed Eitan Mor — dopo due settimane di ricovero: inizieranno ora un programma di riabilitazione seguito dalla stessa struttura, riporta il Corriere. Ma, come ricorda Libero, nonostante l’accordo di pace restano introvabili 13 salme di rapiti israeliani: almeno quattro sarebbero stati sequestrati non da Hamas, ma da «civili gazawi» penetrati in Israele il 7 ottobre. «Persone senza una precisa agenda politica ma liete di mettere le mani su qualche israeliano per poi chiedere un riscatto», scrive Libero, spiegando che «lo scoppio della guerra ha fatto fallire i loro piani e ora c’è il timore di una rappresaglia di Hamas, temuta nella Striscia perché capace di fucilare sul posto chi non segue la sua agenda».

«Cambiare tutto perché nulla cambi»: così Repubblica descrive il nuovo piano di Hamas a Gaza. Sostenuto da Qatar e Turchia, il movimento punta a un rebranding – «un nuovo partito con un nuovo nome e un nuovo logo» – che però lascerebbe intatte le strutture di potere, civili e militari. Anna Barsky su Ma’ariv avverte: «Un Hamas mascherato sarà lo stesso Hamas, ma più difficile da combattere».

Dal kibbutz Nir Oz, distrutto all’80% il 7 ottobre 2023, Elena Loewenthal racconta per La Stampa il ritorno difficile alla vita. «La fame non contava. La solitudine sì», afferma Gadi Moses, 81 anni, ostaggio per quindici mesi a Gaza. Ha perso la moglie, ma oggi ripete: «L’odio consuma chi ce l’ha. Qui serve energia per ricostruire». Fra le macerie restano lutto e memoria, racconta Loewenthal, ma anche segni di rinascita: nei campi del Negev fioriscono di nuovo gli anemoni rossi, che prima richiamavano folle di visitatori per il festival “Darom Adom” e oggi, piantati nei luoghi della strage, sono diventati simbolo di vita e memoria. «Tornare qui a raccontare cosa è successo mi aiuta», spiega alla scrittrice una sopravvissuta al Nova festival. Sempre La Stampa intervista Rula Jebreal che invece accusa «Israele di non volere la pace, ma il dominio su Gaza» e per questo «il cessate il fuoco non reggerà».

Per l’avvocato di Tel Aviv Dror David Nahum, «Israele ha vinto la guerra militare, ma ha perso quella dell’informazione». Le accuse di «genocidio» e «carestia intenzionale» hanno alimentato un antisemitismo «mai così forte dal tempo dei nazisti». Il motivo, spiega Nahum al Foglio, è «la mancanza di coordinamento e di risorse» nella comunicazione israeliana, mentre i nemici «eccellono nella narrazione emotiva». Netanyahu, aggiunge l’avvocato, «si è concentrato sul piano militare, lasciando che il mondo fosse inondato di bugie». Il risultato è che la diaspora ebraica «fa le spese di questa leggerezza». E avverte: «Non è una guerra territoriale, ma religiosa: l’Europa rischia di essere conquistata con la demografia».

Secondo l’editorialista del New York Times Bret Stephens, ripreso dal Foglio, i leader di Hamas credevano che il massacro del 7 ottobre avrebbe distrutto Israele, puntando sulle sue divisioni interne e sulla debolezza della democrazia. Sinwar, la mente dell’attacco, aveva letto i difetti del Paese ma non la sua resilienza. Israele invece «non si è sgretolato» e ha risposto «con unità, patriottismo e determinazione», vincendo sul piano militare. Gli israeliani hanno combattuto non solo contro Hamas, ma anche contro «la menzogna esistenziale» che li descrive come un popolo senza radici nella propria terra.

Il prossimo Giorno della Memoria rischia di essere stravolto nelle scuole dal «palestinismo scolastico». Lo denuncia sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, ricordando che già oggi le celebrazioni si svolgono «in un’atmosfera di frigida ufficialità» con studenti annoiati e oratori ripetitivi. Dopo mesi in cui «le piazze italiane sono state coperte da migliaia di bandiere dei nemici d’Israele», il timore è che il 27 gennaio diventi «un’occasione troppo ghiotta» per cortei, interruzioni e occupazioni. Se non si troveranno rimedi, avverte Galli della Loggia, sarà «un autentico stupro della memoria».

Il Giornale segnala la nascita di una nuova piattaforma politica pro-Palestina, promossa da Potere al Popolo con studenti palestinesi, Usb, portuali e movimenti antagonisti. L’obiettivo dichiarato è correre alle politiche del 2027: «Costruire un blocco politico e sociale autonomo e indipendente». Nel comunicato si accusa l’Italia di essere «complice del genocidio palestinese» e si rivendica che «le mobilitazioni non sono state solo solidarietà, ma opposizione al governo Meloni». Secondo il sondaggista Antonio Noto, il consenso potenziale non andrebbe oltre l’1,5%.

Ad accusare Roma di essere «complice di genocidio» è la relatrice speciale Onu Francesca Albanese che, nel report «Genocidio di Gaza: un crimine collettivo», include tra i responsabili anche Stati Uniti e Germania per il loro sostegno a Israele. Il Giornale definisce l’accusa «molto grave» e parla di un’Onu «animata più da finalità politiche che da obiettività». L’esempio sono altri relatori come Michael Fakhri che denuncia la «complicità americana», Ben Saul per cui «Trump dovrebbe essere processato per omicidio», o Obokata Tomoya che ha equiparato Israele a Hamas. Un quadro, sottolinea il quotidiano, rivela «ultrà anti-Occidente travestiti da esperti Onu».

La Fratellanza Musulmana non punta più a «bombe e moschee abusive», ma a «una graduale islamizzazione dal basso», sostiene il Tempo. In Italia i primi segnali, prosegue il quotidiano, sarebbero la lista islamica a Monfalcone e le candidature di Souzan Fatayer – che in un post si rammaricava della «incompleta missione di Hitler» contro gli ebrei – e di Bassem Jarban. Dopo il 7 ottobre 2023, le piazze pro-Pal e pro-Hamas hanno mostrato la capacità di mobilitazione della rete. In Europa la Fratellanza coordina 500 istituzioni, 400 mila membri e un patrimonio di 900 milioni di sterline. In Italia gestisce oltre 80 moschee, 300 sale di preghiera e 120 associazioni, con fondi dal Golfo. Dietro assistenza e dialogo, conclude il quotidiano, si prepara una scalata alle istituzioni.