ISRAELE – “Un milione di uomini”: la protesta haredi contro la leva

Il progetto di legge di Bismuth scontenta tutti

Un mare di cappelli neri, giacche nere e camicie bianche si è riversato a Gerusalemme per partecipare alla protesta del “Milione di uomini”. Sono centinaia di migliaia i haredi – i “timorati” – arrivati oggi da tutto Israele per bloccare la capitale. Per i leader religiosi è una mobilitazione storica, la risposta a quella che definiscono «persecuzione degli studiosi di Torah». Per la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana, è invece la nuova prova di forza di una comunità accusata di non condividere il peso della difesa nazionale. Non a caso, dietro lo scontro di piazza c’è la battaglia politica sulla coscrizione militare, una questione irrisolta che da anni divide il paese.
Il casus belli della protesta è stato l’arresto di alcuni studenti di yeshiva che avevano ignorato gli ordini di leva. Le immagini dei militari entrati nelle case hanno provocato indignazione nella leadership haredi, che ha parlato di una linea rossa oltrepassata e ha convocato la mobilitazione. Al centro della richiesta c’è la possibilità per i giovani delle yeshivot di proseguire la loro vita religiosa senza dover servire nelle Forze di difesa israeliane: un’esenzione garantita per decenni, ma annullata dalla Corte suprema dopo anni di proroghe e tentativi di riforma falliti.
Ogni anno circa 13.400 giovani haredi raggiungono l’età della coscrizione; secondo le previsioni, nel 2030 saranno quasi 18.000. In totale, si stima che siano circa 100mila i giovani uomini haredi oggi registrati come studenti di yeshiva e quindi formalmente soggetti alla leva, che usufruiscono di rinvii o esenzioni. Un numero importante, tanto più difficile da giustificare agli occhi della maggioranza degli israeliani dopo il 7 ottobre con turni logoranti per i riservisti – e per le loro famiglie – richiamati a più riprese in due anni di guerra.

La bozza Bismuth
Per affrontare la questione, il governo ha incaricato Boaz Bismuth, deputato del Likud e presidente della Commissione Esteri e Difesa, di elaborare un nuovo quadro normativo. La sua proposta, trapelata nei giorni scorsi, segna una netta marcia indietro rispetto ai piani precedenti. Non prevede obiettivi di arruolamento vincolanti per il primo anno e, a partire dal secondo, fissa una quota minima di 4.800 reclute haredi: un traguardo lontano dall’obiettivo indicato dall’ex presidente della commissione, Yuli Edelstein, che puntava ad arruolare il 50% dei timorati entro tre anni. La quota dovrebbe aumentare gradualmente, ma la sua gestione è affidata a un comitato consultivo a maggioranza religiosa, con la facoltà di ridurla ulteriormente in caso di “mancanza di percorsi adeguati” forniti dalle Idf.
Il testo introduce poi la possibilità di sostituire il servizio militare con quello civile. L’età per l’esenzione definitiva viene innalzata da 23 a 26 anni, con l’effetto – sottolineano i critici – che gli studenti resteranno vincolati alle yeshivot fino a quell’età senza potersi inserire pienamente nel mercato del lavoro. Le sanzioni personali contro i renitenti vengono alleggerite: niente carcere o tagli immediati ai fondi, ma restrizioni come il blocco al rilascio della patente di guida o il divieto di espatrio fino ai 23 anni.

«Un piano di resa politica»
Per Yohanan Plesner, presidente dell’Israel Democracy Institute (Idi), la bozza rappresenta «un piano di resa politica». «Le sanzioni significative già in vigore vengono cancellate», scrive Plesner su Israel Hayom, «e al loro posto si prevedono misure irrilevanti che non convinceranno nessun giovane haredi ad arruolarsi». Secondo il presidente dell’Idi, il vero problema è che la proposta non modifica la diseguaglianza già contestata dalla Corte Suprema: centomila giovani continueranno a restare iscritti alle yeshivot, mentre i loro coetanei fuori dalle scuole religiose saranno chiamati a prestare servizio per anni. «L’attacco del 7 ottobre ha dimostrato che quando ignoriamo i problemi, questi non scompaiono, ma ci esplodono in faccia. La legge sull’esenzione danneggerà gravemente la solidarietà, la sicurezza e l’economia. E il conto? Ci verrà presentato prima del previsto», avverte.

L’obiettivo dei haredi
Dal lato haredi, spiega Elyahu Berkovitz su Walla, la manifestazione non riguarda soltanto la legge, ma anche il bisogno di ricompattare una comunità sotto pressione. Dopo due anni di guerra, con un’opinione pubblica sempre più ostile e finanziamenti ridotti, anche i giovani “timorati” hanno iniziato a percepire il peso dell’isolamento. La leadership rabbinica non è riuscita a ottenere nuove esenzioni né a difendere appieno i finanziamenti, sottolinea Berkovitz, ricercatore per l’Idi sul mondo haredi, e le divisioni interne hanno indebolito l’unità. Gli haredi a Gerusalemme dicono di manifestare «contro la persecuzione», scrive il ricercatore, ma in realtà scendono in piazza «per il diritto di rimanere una comunità distinta, in un mondo che chiede integrazione». Il “Milione di uomini” nelle strade della capitale diventa così «un rituale di appartenenza. Il “grido della Torah” che risuona a Gerusalemme può sembrare un appello al governo, ma è in realtà una voce rivolta all’interno: un ultimo tentativo di unire il mondo haredi intorno alla domanda fondamentale – chi siamo? – prima che sia il mondo esterno a rispondere per loro».

d.r.