NEW YORK – Se uno Zohran fa primavera
Nell’estate del 2020, i Democratic Socialists of the United States – un’organizzazione politica ai margini del Partito democratico – inviarono un questionario ai potenziali candidati per le imminenti elezioni locali di New York. La sezione “politica estera”, subito successiva ai quesiti sui diritti dei lavoratori, conteneva due domande. La prima: «Ti impegnerai a non recarti mai in Israele?». La seconda: «Se eletto, sosterrai il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (Bds)?».
Nonostante sia un’organizzazione relativamente piccola – 70mila aderenti negli Stati Uniti e 5mila a New York City – uno dei suoi membri, il 34enne Zohran Mamdani, è ora il favorito alle elezioni del 4 novembre per scegliere il sindaco di New York dopo aver vinto a sorpresa le primarie democratiche contro Andrew Cuomo. Mamdani è nato in Uganda da una famiglia musulmana di origini indiane, si è trasferito negli Usa da ragazzo acquistandone la cittadinanza nel 2018. Il candidato sindaco è il prodotto della “classe intellettuale”: sua madre è un’affermata regista cinematografica e suo padre è professore alla Columbia di studi postcoloniali, sulle orme di Edward Said: la critica antioccidentale in occidente vende sempre. È una classe che si sta distinguendo per il suo feroce antisemitismo, con una religione “palestinista” e le sue litanie («Free, Free Palestine»); il suo satana (il sionista, ossia l’ebreo che si difende, in contrapposizione all’ebreo-dhimmi che è ancora accettabile) nemico della redenzione umana; e il suo messia (il “palestinese” collettivo, non un popolo in carne e ossa), sacrificato sull’altare della salvezza globale. Mamdani, che prima di essere eletto deputato all’Assemblea dello Stato di New York non ha mai lavorato, si rifiuta di condannare l’espressione «Globalize the Intifada » e ha fatto del palestinismo parte della sua identità, avendo fondato al Bowdoin College la sezione degli Students for Justice in Palestine (SJP), un’organizzazione estremista attiva nei campus universitari.
Retorica antisionista a parte, la sua proposta politica è considerata estrema. Sotto lo slogan «Zohran Mamdani: New York è troppo cara. Zohran abbasserà i costi e renderà la vita più facile» si celano una serie di politiche populiste di dubbia fattibilità o che in passato hanno fallito miseramente.
Dopo la sua vittoria alle primarie, sono emerse almeno tre domande che stanno lasciando tutti con il fiato sospeso. Innanzitutto, se l’esito delle elezioni sia già segnato. È noto che New York ha una forte maggioranza democratica e il vincitore delle primarie del partito mette un’ipoteca sul mandato a sindaco. In passato, però, la città ha anche votato sindaci repubblicani come Rudy Giuliani nel 1994 e indipendenti come Michael Bloomberg nel 2002. Tra gli avversari di Mamdani c’è Cuomo, che, perse le primarie, corre come indipendente con un 23% di consensi (secondo un sondaggio di inizio settembre), seguito dal sindaco democratico uscente Eric Adams, anche lui oggi candidato indipendente con un 12% di consensi; a chiudere Curtis Sliwa, repubblicano, con un 15% di consensi e poca possibilità di farcela. Finché Cuomo e Adams, che attingono allo stesso bacino, saranno entrambi in gara, Mamdani vincerà facilmente. Se uno dei due dovesse ritirarsi, la competizione potrebbe farsi più serrata. Il timore che Mamdani vinca ha alimentato il dibattito su come far ritirare dalla corsa Cuomo o Adams: uno scenario in cui alcuni elettori repubblicani potrebbero optare per un indipendente in funzione anti-Mamdani.
La seconda domanda è cosa ne sarà del Partito democratico a livello nazionale dopo la vittoria di Mamdani alle primarie. Da un lato, è difficile non riconoscere che l’energia nel partito dell’Asinello è saldamente ancorata al suo elettorato più estremista. I moderati hanno rappresentato una solida maggioranza nel partito, in passato, ma stanno invecchiando mentre i giovani con idee di estrema sinistra sono in ascesa. Però ciò che ti fa eleggere a Brooklyn, in genere aliena gli elettori moderati nel resto del paese. Molti credono che i Democratici abbiano perso le elezioni presidenziali del 2024 nonostante Trump, non a causa di Trump, il che significa che molti eccessi della sinistra hanno allontanato un numero sufficiente di elettori indipendenti, consegnando la vittoria ai Repubblicani. Questo potrebbe significare che un Partito Democratico più di sinistra sarà ancora più debole nel 2028. L’ultima domanda è sulle conseguenze per gli ebrei di New York, oggi l’11% della città. L’Algemeiner, una pubblicazione ebraica, ha riportato un sondaggio del Siena College secondo cui il 75% degli ebrei disapprova Mamdani. Il New York Times, che cerca – non troppo sottilmente – di creare una spaccatura nella comunità ebraica sulla questione del sionismo, stima che l’approvazione ebraica di Mamdani sia molto più alta.
Mentre in un’elezione a sindaco la posizione di un candidato sul sionismo e su Israele è puramente performativa – i sindaci non fanno politica estera – molti ebrei intervistati dal New York Solidarity Group hanno affermato di ritenere che il loro futuro sia in pericolo: il 58% ritiene che la città sarà meno sicura per gli ebrei sotto la guida di Mamdani.
C’è seria preoccupazione che, sotto Mamdani, le molestie contro gli ebrei (in particolare contro gli ebrei ortodossi da parte di altre minoranze) non faranno che intensificarsi, e che le autorità cittadine chiuderanno un occhio. Questi eventi sono stati sottovalutati per molti anni dai media, in quanto non si adattano alla narrativa progressista e gli attacchi contro gli ebrei fanno notizia solo quando i colpevoli sono bianchi.
Il sentimento antiebraico nelle scuole pubbliche, promosso dai sindacati degli insegnanti e radicato nel curriculum scolastico, è un altro motivo di preoccupazione. Ancora una volta, molti temono che la situazione non farà che peggiorare sotto Mamdani, con un atteso esodo di studenti ebrei dalle scuole pubbliche.
Sebbene sia inconcepibile pensare a New York, la città più ebraica al mondo al di fuori di Israele, con molti meno ebrei in un futuro non troppo lontano, i pessimisti ricordano che la presenza ebraica a Baghdad è passata dal 30% a zero nell’arco di una generazione. E nel frattempo, i meme degli agenti immobiliari della Florida che aspettano l’afflusso dei newyorkesi iniziano ad abbondare sui social media.
Paolo Curiel
Washington D.C.