DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 27 novembre 2025

Israele ha lanciato una vasta operazione in Cisgiordania, soprattutto a Tubas, con almeno 60 arresti e 10 feriti, in quella che le Idf definiscono una risposta a «tentativi di stabilire roccaforti terroristiche». «Non ci sarà alcun porto sicuro per i terroristi in Giudea e Samaria» ha affermato il portavoce del governo israeliano, Shosh Bedrosian. Si tratta della più grande operazione dall’ultima tregua, scrive il Guardian ripreso dal Sole, che racconta l’ingresso a Tubas di centinaia di soldati israeliani accompagnati da veicoli blindati. Secondo Reuters i soldati hanno circondato la città, occupato i tetti e intimato ai residenti di abbandonare le case con divieto di rientro fino alla fine dell’operazione.

In Cisgiordania, scrive il Sole 24 Ore, la tensione è alta anche per gli attacchi di estremisti israeliani: l’ambasciatore Usa Mike Huckabee li ha definiti «terroristi», ma il ministro della Difesa Israel Katz ha contestato l’appellativo, parlando solo di «disturbo dell’ordine pubblico». Davanti alla commissione Esteri e Difesa della Knesset, Katz, contrario alla detenzione amministrativa degli estremisti violenti, ha ribadito la distinzione tra «disturbo alla sicurezza» e «disturbo pubblico», classificando, scrive il Sole, «le aggressioni dei coloni in Cisgiordania nella seconda categoria».

Hamas starebbe valutando il disarmo e la trasformazione in un partito politico, persino entrando nell’Olp, riporta il Riformista. In un documento interno del gruppo, si parlerebbe di «riconciliazione palestinese globale» e di una nuova strategia che superi «razzi, tunnel e altro», riconoscendo che la guerra ha eroso la sua base sociale. Il tema del disarmo è oggetto di colloqui con Egitto, Qatar, Turchia e indirettamente gli Usa, mentre Israele resta escluso dal negoziato. Per gli analisti israeliani serve cautela, ma, secondo il quotidiano, a Gerusalemme cresce un moderato ottimismo: Hamas appare spaccato, con alcune brigate irriducibili nei tunnel e una corrente dominante favorevole alla transizione politica, sul modello dell’Ira.

Secondo Boaz Bismuth, deputato del Likud e presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset, «il 7 ottobre è stato un evento biblico», uno shock persino maggiore dello Yom Kippur. Nell’intervista al Riformista, denuncia il «doppio standard» mediatico che «scambia Israele per genocida» e difende la scelta di limitare l’accesso dei giornalisti a Gaza per ragioni di sicurezza. Per Bismuth Hamas non ha alcun «braccio politico», è «un’inganno utile ad alcuni governi europei. E danneggia l’onestà dell’informazione sul Medio Oriente». Sul conflitto, il termine proporzionalità per il deputato israeliano si traduce nell’impedire «a Hamas di governare ancora Gaza». Sul fronte internazionale elogia Donald Trump, «uno dei migliori amici d’Israele», e invita a una strategia di lungo periodo che unisca deterrenza e cicli più lunghi di stabilità.

«Nel proclamare che va riconosciuto uno Stato palestinese, i sostenitori della sua nascita evitano di porsi un problema cruciale: chi lo governerà?», scrive Maurizio Caprara sul Corriere della Sera. Con elezioni ferme dal 2006 e il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas «in carica da vent’anni», non c’è alcuna garanzia che a prendere il comando non sia Hamas. Per Caprara, in riferimento all’influenza sulla politica palestinese, «l’assenza di iniziativa europea e italiana è strabiliante». La firma del Corriere cita la proposta dell’ex negoziatore israeliano Yossi Beilin di una «confederazione israeliano-palestinese» per superare l’impasse degli insediamenti; poi ricorda l’idea del palestinese Samieh el Abed di «una legge che permetta la nascita di veri partiti» in Cisgiordania. «Coloro che da noi si dicono amici del popolo palestinese credono di poter contare nella politica internazionale promuovendo sit-in e Flottiglie?» si chiede Caprara in conclusione.

In un Libano logorato da crisi economica, pandemia, l’esplosione del porto e un anno di scontri tra Israele e Hezbollah, i giovani imprenditori vivono tra paura e ostinata speranza, racconta Domani. «Siamo sempre costretti a ricominciare da capo», spiega un agricoltore al quotidiano. Il ritiro di Unifil nel 2026 alimenta timori di nuove escalation e molti giovani continuano a emigrare. C’è attesa per la visita del papa tra il 30 novembre e il 2 dicembre, spiega il quotidiano, ma l’interrogativo è sul dopo: «Chiedi in giro: tutti si aspettano la guerra. Tutti dicono che succederà qualcosa di grosso. Non prima della visita del papa, ma dopo, se non cambia niente, probabilmente ci sarà una nuova guerra», prevede Fadi Bejani, dipendente di una ong cattolica.

Intervistato dal Corriere della Sera, Andrea Pennacchi racconta il nuovo romanzo Una foresta di scimmie, in cui il giovane Shakespeare torna nell’Italia del Cinquecento e incontra l’ebreo Shylock nel ghetto veneziano. «Il mio Will si trova davanti l’ebreo che non ha mai visto in Inghilterra» e scopre che il presunto “mostro” usuraio è in realtà «un essere umano, con paure e motivazioni: è come me». Il titolo nasce dal passo in cui Shylock afferma che l’anello della moglie non l’avrebbe dato via «nemmeno per una foresta di scimmie». Sul rischio di fraintendimenti, Pennacchi afferma: «Questo libro magari non sarà per grandi intellettuali però di sicuro non è scritto per i cretini perciò se un cretino che ci vede antisemitismo, razzismo o chissà che altro non lo prende, per me va bene». Poi aggiunge che «le ingiustizie del presente non cancellano quelle del passato: non è negando ghetti e olocausto che si fa giustizia dei problemi contemporanei».