ROMA – Rav Colombo: Stefano Gaj Taché, un ricordo che cammina con noi

Parole di Torah e riflessioni alte sull’identità ebraica sono state la “risposta” degli ebrei romani all’atto vandalico che ha colpito il Tempio Beth Michael nella notte tra domenica e lunedì e in particolare la targa collocata in memoria del piccolo Stefano Gaj Taché, il bambino di due anni ucciso da terroristi palestinesi nell’attentato al Tempio Maggiore del 9 ottobre 1982. E se l’occasione d’incontro era prevista da tempo, cioè la presentazione del volume Esodo: il libro della redenzione di rav Jonathan Sacks in libreria in questi giorni con Giuntina, inevitabilmente l’evento si è caricato di significati ulteriori alla luce dell’oltraggio antisemita.
Significati ai quali si è riferito tra gli altri il rabbino Roberto Colombo, anima religiosa del Beth Michael: «Gaj Taché fu ucciso da persone indegne e pochi giorni fa è stato offeso da persone anch’esse indegne». Il suo è però un messaggio vivo, ha proseguito il rav, evocando in questo senso il capitolo conclusivo del libro dell’Esodo (Shemot) in cui si legge che «le nubi avvolgevano il Tabernacolo nel momento del cammino». Un’immagine apparentemente in contrasto con la precedente descrizione sempre dal testo biblico di nubi «che lo avvolgevano nel momento in cui era fermo». Per rav Sacks ciò significa che «una persona, anche nel momento in cui si ferma, continua a camminare; perché una persona non cammina solo con le gambe, ma anche con la mente, il cuore, l’anima, i propositi», ha spiegato Colombo. «Questa è la storia di Israele e se questo bambino è stato ucciso, fermato nel suo cammino e nel suo diritto a costruire la sua identità, noi continueremo a camminare nel suo ricordo», tanto che «grazie a lui e alla sua anima abbiamo costruito un Tempio in cui preghiamo». E quel tempio è proprio il Beth Michael, fondato in suo onore perché Michael era il nome ebraico di Stefano. All’iniziativa, moderata dall’editore Shulim Vogelmann, sono intervenuti anche il maskil Eitan Della Rocca, il presidente uscente Ugei Luca Spizzichino e l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica romana, Giacomo Moscati.
Tutte le riflessioni sono state dedicate alla memoria di Gaj Taché, sottolinea Colombo, la cui lezione si è aperta con l’analisi di alcune interpretazioni di rav Sacks sulla figura di Mosè e i suoi dialoghi con Dio. «La prima volta si presenta come Elochim, nome che evoca un senso di durezza. Mosè però si volta dall’altra parte, perché non riesce a vedere il dolore del popolo ebraico in Egitto», ha spiegato Colombo. «Come premio, apprendiamo in seguito, Dio gli regalerà una visione della sua identità. Cosa è cambiato nel frattempo? La seconda volta Dio si presenta come Hashem, nome che evoca misericordia e bontà. Sacks interpretava il tutto così: quando una persona non riesce a vedere il dolore del popolo ebraico, come premio vedrà la bellezza della storia di Israele».

a.s.