L’OPINIONE – Emanuele Viterbo: Ventura sulla richiesta di grazia di Bibi

Riporto, in sintesi, alcune delle considerazioni espresse ieri sera, in occasione della conferenza Zoom organizzata dall’Associazione Italia-Israele di Milano, seguita da oltre 180 collegamenti, dall’avvocato penalista Renzo Ventura in merito alla richiesta di grazia presentata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Ventura ha letto pubblicamente parte dell’istanza presentata da Netanyahu, nella quale il primo ministro evidenzia che il procedimento giudiziario nei suoi confronti – le cui indagini sono iniziate oltre dieci anni fa – è destinato verosimilmente a protrarsi ancora a lungo. Sempre secondo Netanyahu, molte delle prove emerse a suo carico avrebbero già incrinato l’impianto accusatorio, mettendo in discussione la solidità della ricostruzione iniziale dei fatti e lasciando intendere che egli verrebbe assolto.
Con oltre quarant’anni di esperienza nel diritto penale, Ventura ha ribadito un principio fondamentale: nei processi non esistono certezze anticipate. «I procedimenti – ha osservato – non si vincono né si perdono a tavolino, ma sui fatti e sulle prove».
Il punto più critico riguarda però la richiesta di grazia in sé. Ventura ha definito la decisione «una ferita profonda allo Stato di diritto»: Netanyahu chiede la grazia continuando a proclamarsi innocente, trasformando così un istituto giuridico in un atto politico. La grazia, per sua natura, riguarda i condannati e presuppone una responsabilità riconosciuta; non può essere utilizzata come strumento di gestione di una crisi politica o istituzionale.
Particolarmente grave, secondo Ventura, è l’argomento secondo cui la grazia sarebbe richiesta «per il bene del Paese». L’istituto non è una terapia nazionale, ma un atto individuale di clemenza. Utilizzarlo come strumento di pacificazione politica equivale a snaturarlo e a minare le basi della legalità. In sostanza, ha osservato Ventura, il Primo Ministro chiede che i processi vengano semplicemente «gettati nella spazzatura».
Altro nodo centrale è quello delle dimissioni: in qualunque ordinamento democratico – ha sottolineato Ventura – chi chiede una grazia si ritira dalla vita pubblica. Nel caso di Netanyahu ciò non avviene, e questo apre un ulteriore squilibrio tra diritto, politica e potere.
Ventura ha infine messo in guardia sulle conseguenze sistemiche di un’eventuale concessione della grazia: il rischio è che si affermi una giustizia «a doppio binario», con regole diverse per i potenti e per i cittadini comuni.
«A essere in gioco – ha concluso – non è solo il destino di un uomo politico, ma la credibilità dello Stato di Israele come Stato di diritto. E chi ama Israele non può non vivere con inquietudine questa vicenda.»

Emanuele Viterbo