DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 17 dicembre 2025

Continua a essere un caso la liberazione di Mohamed Shahin, l’imam di Torino noto per le sue posizioni “comprensive” dei massacri del 7 ottobre. Il Corriere della Sera segnala l’intenzione del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di “fare valere” le ragioni del Viminale, che ha individuato in Shahin un «pericolo reale». Nei suoi confronti, ha spiegato Piantedosi, sono stati riscontrati «segnali di vicinanza a soggetti pericolosi», addirittura a chi «ha vissuto una forma di radicalizzazione che si è concretizzata nell’andare a combattere in scenari di guerra come quelli della Siria».
Repubblica intervista Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione per l’Ecumenismo della Cei, tra quanti si sono esposti pubblicamente per la liberazione del religioso islamico dal Cpr di Caltanissetta. «La frase sulla strage del 7 ottobre come una semplice risposta ad anni di violenze patite è irricevibile, oltre che inaccettabile. Il 7 ottobre è stato un vile atto terroristico, non si discute», afferma Olivero. «Ma se si dovessero incarcerare tutti coloro che esprimono opinioni diverse dalle nostre, dovremmo costruire nuove prigioni. Le parole improprie e pericolose vanno però sempre condannate». Il Riformista sintetizza così la questione: «L’odio contro gli ebrei è lecito (se viene dall’imam di Torino)».

«La liberazione dell’imam Shahin non è una decisione giudiziaria come le altre», sostiene il Giornale, perché «per la prima volta i musulmani organizzati in Italia si presentano come una forza capace di fare pressione, muovere consenso e ottenere risultati». In tema Libero racconta chi sono gli imam «più pericolosi» attivi sul territorio italiano. «Uno stato che rinuncia a interrogarsi sul nesso tra parole, radicalizzazione e violenza sta difendendo la libertà o sta rinunciando alla prevenzione?», si interroga Claudio Cerasa, il direttore del Foglio.

Il massacro antisemita di Sidney resta in primo piano tra cronaca, riflessioni e approfondimento. «Se un tempo tutti gli ebrei furono considerati colpevoli del “deicidio”, oggi tutti gli ebrei sono considerati colpevoli del “genocidio”», scrive Antonio Polito in un editoriale sulla prima pagina del Corriere. «Li si può dunque a buon ragione cacciare dai ristoranti o aggredire per strada, anche se sono cittadini italiani, francesi o tedeschi. Oppure ucciderli su una spiaggia, se sono cittadini australiani», chiosa il giornalista. «In Europa ci aspettiamo un massacro come a Bondi Beach», dichiara al Foglio il rabbino Menachem Margolin, presidente dell’Associazione ebraica europea. «Ci sono molte persone qui che hanno i mezzi e la volontà di farlo e i governi non sono forti abbastanza per impedirlo. Stanno invece assimilando dentro le proprie mura l’antisemitismo».

La relatrice speciale per i palestinesi Francesca Albanese continua il suo “tour” nelle scuole di tutta Italia, con l’appoggio di una rete diffusa di docenti. Lo scrive il Giornale, segnalando come «la madrina dei propal» e «frequentatrice dei convegni di Hamas» sia comparsa in videocall in un liceo di Pesaro «per istruire i ragazzi sul “genocidio” dei palestinesi, il diritto alla resistenza e la complicità dei governi europei».

Il Corriere si sofferma sul lungo confronto avvenuto ieri tra i senatori del Pd «per cercare di far rientrare le tensioni sul ddl Delrio per il contrasto all’antisemitismo e, soprattutto, a trovare un punto di caduta interno».

Sul alcuni giornali si parla delle elezioni Ucei della scorsa domenica. «Netto il divario dell’affluenza tra Milano e Roma», sottolinea il Tempo soffermandosi sui dati della partecipazione al voto. Per il Manifesto, «vince la destra, ma a sinistra c’è vita».

Corrado Augias, affrontando su Repubblica la figura di Baruch Spinoza, racconta: «Nel 1927, lo storico Joseph Klausner tenne una conferenza all’Università di Gerusalemme sul “carattere ebraico” della filosofia di Spinoza. Annunciò, quasi gridando, la sua intenzione di riportare Spinoza nel seno d’Israele». Per Augias, quello di Klausner fu «un appello motivato e accorato», ma destinato a non avere «alcun esito».