DAI GIORNALI DI OGGI – Bokertov 22 dicembre 2025
Primo Levi spiegava che «i massacri non cominciano mai con le armi, ma con le parole». Lo ricorda Bernard-Henri Lévy riflettendo, sulle pagine de La Stampa, sulla strage di Chanukkah a Sydney. Per il filosofo francese, l’attentato rappresenta «un segno della Storia», frutto di un clima in cui slogan come «Globalizziamo l’Intifada» e «Onore a Hamas» hanno normalizzato l’odio antiebraico. Sydney, avverte Lévy, non è un caso isolato, ma un evento che potrebbe ripetersi «a New York, Londra, Roma, Madrid o Parigi».
Lo storico Guri Schwarz, intervistato dal Foglio, mette in guardia da quello che definisce «antisemitismo dei buoni sentimenti», una forma nuova e post-nazista di «giudeofobia» che nasce da un antisionismo radicale in cui «Israele diventa l’incarnazione del male assoluto». Secondo Schwarz, molti di coloro che oggi usano retoriche antiebraiche «non si riconoscono come antisemiti», perché identificano l’antisemitismo solo con il razzismo nazista. In realtà siamo di fronte a una «nuova giudeofobia» che si alimenta di empatia morale, visioni cospirazioniste e letture binarie del mondo (oppressori/vittime), fino a quello che la sociologa Eva Illouz chiama «odio virtuoso». Il rischio, avverte Schwarz, è che dalla «doverosa critica a un governo» si scivoli rapidamente «agli anatemi contro tutto il mondo ebraico», segno anche di una crisi della memoria della Shoah, la cui efficacia come argine al razzismo «va oggi seriamente interrogata».
«Non li reputo italiani», «Il bonus olocausto è scaduto», «Ovunque andate avete nemici… fateve ’na domanda e rispondeteve da soli»: sono alcuni dei commenti comparsi sui social sotto un articolo che raccontava l’insicurezza degli ebrei italiani. Centinaia di messaggi che, scrive Daniela Santus sul Foglio, formano «un coro compatto, un’ondata di ostilità», in cui emerge «un antisemitismo classico» che «attribuisce agli ebrei italiani la responsabilità collettiva», li considera «stranieri nella propria terra» e li invita «esplicitamente ad andarsene». È «la maschera dell’antisionismo che cade», conclude Santus, perché «non si parla più di criticare una politica, ma di negare agli ebrei italiani il diritto di sentirsi a casa».
Il governo israeliano ha approvato 19 nuovi insediamenti in Cisgiordania, compresi quattro avamposti evacuati nel 2005 durante il disimpegno voluto dall’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon. La decisione, spiega il Corriere della Sera, è stata fortemente sostenuta dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che parla di «correzione di un’ingiustizia storica» e di un modo per «fermare la costituzione di uno Stato terrorista palestinese». La mossa dell’esecutivo guidato da Benjamin Netanyahu «rischia di aumentare le tensioni in Cisgiordania», avverte il Corriere, e di complicare il fragile equilibrio della tregua a Gaza, proprio mentre Netanyahu, sottolinea il Sole 24 Ore, si prepara ad incontrare a Washington il presidente Usa Donald Trump per discutere del futuro della Striscia e del ruolo dell’Autorità nazionale palestinese.
Israele ha avviato l’iter per istituire una commissione d’inchiesta sul 7 ottobre 2023, ma la scelta di affidarne mandato e composizione all’esecutivo sta suscitando forti polemiche nel paese. Come racconta Repubblica, sarà il primo ministro Benjamin Netanyahu a guidare il comitato che ne definirà i poteri, mentre la maggioranza sarà incaricata di nominare i componenti. L’opposizione ha annunciato il boicottaggio e molte famiglie delle vittime contestano l’impianto: «Non vogliono sapere solo come è stato possibile che gli allarmi della vigilia del 7 ottobre non siano stati raccolti», spiega Repubblica, «ma anche come ha fatto Hamas a rafforzarsi per anni sotto il naso di Israele mentre la leadership politica definiva il movimento sotto controllo».
Sono 7.400 i militari italiani impegnati in missioni di pace, addestramento e sicurezza in 25 paesi, dal Medio Oriente all’Africa, dall’Est Europa ai Balcani. Secondo il Messaggero, sul fronte Gaza «l’Italia opera in modo discreto ma strategico»: un piccolo contingente di ufficiali lavora nel Civil-Military Coordination Center che monitora la tregua, facilita gli aiuti e prepara la “fase due” del piano internazionale. Sul terreno, una missione dei Carabinieri presidia l’area di Rafah per sostenere i flussi umanitari e contrastare il traffico di armi.
Per l’analista israeliano Emmanuel Navon, nel nuovo ordine strategico definito dalla dottrina Trump le alleanze contano solo «in base ai risultati». Per questo, spiega Navon su Libero, Israele è «centrale» nella nuova “Pax Silica”: perché coproduce sicurezza tecnologica e militare con Washington, mentre l’Europa resta «una consumatrice di sicurezza». Collaborare con Gerusalemme, conclude Navon, non è ideologia ma «un adattamento strategico alle nuove regole del gioco».
Israele offre una lezione contro il “suicidio demografico” dell’Occidente, sostiene l’analista politico del Wall Street Journal William McGurn. Nell’analisi, ripresa dal Foglio, McGurn presenta alcuni dati: a fronte di un tasso medio di fertilità Ocse di 1,5 figli per donna, Israele arriva a 2,9, dimostrando che «crescita demografica, libertà economica e sviluppo possono andare insieme».