Negba – Bari, il cortocircuito della Memoria

Zakhor: ricorda, non dimenticare. E’ uno degli imperativi centrali della cultura ebraica che nella trasmissione di generazione in generazione di valori, contenuti e significati vede uno dei suoi cardini. In questa visione ricordare non è dunque esercizio tutto rivolto al passato. Ma chiama direttamente in causa la costruzione del futuro e dello stesso presente in un corto circuito costante. Proprio questa complessa dinamica è stata in modo emblematico, al centro dell’incontro conclusivo di Negba, il Festival della cultura ebraica che in questi giorni ha attraversato la Puglia con una fitta serie d’appuntamenti. A Bari, nella spettacolare sala Murat a pochi passi dall’antico porto, si è parlato dei modi in cui oggi si può costruire memorie in un convegno, moderato da Cristiana Colli e introdotto da Victor Magiar, con Daria Bonfietti, tra gli artefici del Museo per la Memoria di Ustica allestito a Bologna; Helena Njiric, architetto del museo croato di Jasenovac dedicato alle vittime delle guerre balcaniche e il critico d’arte e architetto Pippo Ciorra. A partire dal concetto ebraico di memoria ripreso da Cristiana Colli (“La cultura ebraica rifugge dalla musealizzazione e dalla cristallizzazione della memoria e non propone quella santificazione degli spazi presente in altre cultura”) sono sfilate, in una carrellata di grande suggestione, le realizzazioni più significative dedicate in questi ultimi anni alla memoria. Dalla carcassa dell’aereo Itavia abbattuto trent’anni fa a Ustica e oggi, nell’installazione di Christian Boltanski, al centro del museo voluto dai famigliari all’allestimento del campo di Jasenovac dove l’unica fonte di luce sono i nomi delle vittime. Dai progetti che ricordano i caduti della Resistenza in tante piazze italiane al Museo dell’Olocausto di Berlino disegnato da Daniel Liebeskind.
“Ad accomunare tutte queste esperienze- ha sottolineato Pippo Ciorra – è lo sforzo di tenere viva la memoria individuale nella tragedia collettiva”. La grande scommessa, insomma, è di non soffocare la vita sotto il peso della memoria per tenere acceso il . E in questo senso una delle esperienze più belle è forse l’installazione di luce realizzata a Ground zero: due fasci di luce purissima là dove un tempo svettavano le Twin towers a ricordare quelle morti nel fascino di uno sfolgorio.

Daniela Gross