Moked 5774 – Leader, dibattito, condivisione. Quali sfide per le Comunità

commissioni moked 5774Quali rabbini e quali leader. Come assicurare la sostenibilità economica della vita ebraica in Italia. Come valorizzare le differenze e invece ciò che accomuna, in un mondo diversificato. Quali soluzioni per un problema complesso, quello della kasherut, così fondamentale nella quotidianità delle famiglie, e allo stesso tempo così ricco di ramificazioni istituzionali, economiche e politiche. Entrano nel vivo i lavori del Moked 5774, il grande ritrovo dell’ebraismo italiano che si svolge in questi giorni a Milano Marittima. Quattro workshop coordinati da Consiglieri dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane insieme a presidenti di Comunità e rabbini hanno affrontato alcune delle questioni più attuali nell’ebraismo contemporaneo, italiano e non.
Il Maestro e la sua Comunità, la Comunità e il suo Maestro. Tante le sfide che il Consigliere UCEI e vicepresidente della Comunità ebraica di Napoli Sandro Temin, il presidente della Comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli e il coordinatore del Collegio rabbinico italiano rav Gianfranco Di Segni hanno messo in evidenza nella sessione dedicata a “Quale modello di rabbino per le comunità oggi?” che è stata teatro anche di un partecipato dibattito tra addetti ai lavori, leader di istituzioni, rabbanim, iscritti alle Comunità.
Perché se tanto le Comunità si aspettano dalle loro guide spirituali, è stato messo in evidenza anche come anche il rav si trovi in difficoltà di fronte a kehillot poco inclini a condividere le sfide di portare avanti la vita ebraica nella sua pienezza quotidiana. Ma tra i problemi esposti, grave preoccupazione è stata espressa anche rispetto alla fatica di trovare rabbini di formazione italiana disposti a portare avanti incarichi comunitari, specialmente nei nuclei più piccoli. E se rav Di Segni ha spiegato come nell’ultimo decennio sia aumentato il numero di coloro che hanno conseguito il titolo di primo livello di maskil e di secondo livello di hacham dopo gli studi al Collegio rabbinico, la risposta, è stato messo in evidenza, va cercata altrove secondo il coordinatore, nella mancanza di attrattiva nel tipo di lavoro, nel sempre più frequente desiderio dei giovani di spostarsi all’estero, nella mancanza di un orientamento culturale che valorizzi la carriera rabbinica per le nuove generazioni. Tra le proposte concrete emerse, quella di inserire nel piano di studi per laurearsi rabbini un periodo di stage obbligatorio in una piccola Comunità.
Garantire a tutti la possibilità di rispettare la kasherut. Questo l’obiettivo primario al centro della discussione del gruppo di lavoro guidato da rav Amedeo Spagnoletto e dal presidente della Comunità ebraica di Livorno Vittorio Mosseri. A coordinare il workshop, il consigliere UCEI Marco Ascoli Marchetti. Organizzare a livello nazionale, attraverso un coordinamento con la rabbanut italiana, e mettere ordine nel settore della Kasherut, l’esigenza messa in rilievo nell’arco dei lavori della commissione. La necessità è quella di abbattere i costi dei cibi kasher e, vista la difficoltà di molte Comunità ebraiche, garantirne la reperibilità. Tanti i suggerimenti emersi, con alcune peculiarità rispetto alle diverse situazioni territoriali, specchio delle preoccupazioni legate a ciascuna vita comunitaria ebraica, con una diffusa richiesta di agire in modo concreto per superare le problematiche evidenziate. In questo senso, è stata riportata dalla consigliera UCEI Jacqueline Fellus, alla guida della Commissione UCEI per la Kasherut, l’iniziativa – già raccontata su queste pagine – legata alla creazione di un marchio di kasherut nazionale (con la collaborazione del ministero dello Sviluppo economico), il cui proposito è articolato: in primo luogo raggiungere quell’abbassamento dei costi che potrà garantire il rispetto della mitzvah della Kasherut, in secondo luogo – ma strettamente connesso – la promozione di un marchio, quello kasher, come sinonimo di garanzia di qualità e sicurezza anche nel mercato generale. Una proposta parallela a quella posta dal presidente della Comunità ebraica di Parma Giorgio Yehuda Giavarini, legata alla realizzazione di un sistema di accreditamento a un marchio kasher.
La commissione, “Le risorse per costruire il futuro, comunicazione e fundraising”, è stata coordinata da Rossella Bottini Treves, presidente della Comunità ebraica di Vercelli. Al tavolo con lei il presidente di Bologna, Daniele De Paz, e rav Igal Hazan, direttore della scuola del Merkos a Milano. Per la presidente di Vercelli i cambiamenti e le trasformazioni della società e dei mezzi di comunicazione impongono un ripensamento anche di ruoli e competenze di coloro che guidano le comunità: ci sono nuovi strumenti a disposizione, che possono diventare risorse importanti per la minoranza ebraica italiana, a patto di imparare a utilizzarli al meglio. Rav Hazan è risalito alle radici bibliche del fundraising, ricordando ai presenti come già in Shemot, subito dopo l’uscita dall’Egitto e il dono della Torah, si parli di raccolta fondi. Ribaltando il punto di vista: a guidare chi si occupa di fundraising non deve essere la necessità, bensì la volontà di coinvolgere coloro che sono disposti a donare, che vengono così coinvolti nei progetti di crescita e sviluppo delle comunità. La discussione è stata stimolata dall’intervento di Daniele De Paz, che ha sottolineato come dai dati ufficiali sia evidente che la raccolta dell’otto per mille è strettamente legata alla storia ebraica delle città e alla consapevolezza di quale sia il valore del patrimonio artistico, storico e culturale ebraico.
Guido Vitale, coordinatore dei dipartimenti Informazione e Cultura dell’Unione, è stato invitato dall’assessore alle finanze Noemi Di Segni a presentare i contenuti di alcuni rapporti commissionati dall’UCEI alla SWG, l’istituto triestino che realizza ricerche istituzionali, sondaggi d’opinione e studi sul cambiamento sociale e sulla comunicazione. È notevole – ha spiegato – come una parte importante della società dichiari un grande interesse a sapere, capire a conoscere la realtà dell’ebraismo italiano. La cultura ebraica, la sua maniera di vedere la vita e l’approccio ai problemi etici e sociali, riscuotono un grandissimo interesse a fronte di una scarsa organicità delle conoscenze reali. Dalla capacità di comunicare e di raccontarsi potrebbe derivare uno spostamento anche importante delle quote della raccolta otto per mille, perché, ha spiegato, “l’immagine dell’ebraismo italiano è l’unico patrimonio reale che abbiamo a disposizione”.
Come far convivere l’esigenza di una Comunità plurale e accogliente e al tempo stesso conservare quei valori fondanti che giustificano l’esistenza della Comunità stessa? Questa una delle domande che ha animato il workshop “Stare insieme tra diversi. Ma come?” coordinato dal consigliere UCEI Guido Osimo e con interventi del direttore dell’ufficio rabbinico di Roma rav Ariel Di Porto e del presidente della Comunità ebraica di Venezia Paolo Gnignati. Tre i modelli a confronto (Roma, Milano, Venezia). Ad aprire l’incontro la proiezione di alcune slide, realizzate dal Consigliere Osimo, con al centro le dicotomie più forti e avvertite all’interno delle diverse Comunità. Dicotomie di tipo culturale, religioso, generazionale, caratteriale. Una vasta gamma di sfumature approfondite con riferimento all’esperienza concreta dei tre relatori e dei molti che sono intervenuti in occasione del dibattito apertosi a seguito delle relazioni.

(2 maggio 2014)