Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     5 Maggio 2021 - 23 Iyar 5781

SYLVAN ADAMS A PAGINE EBRAICHE

“Israel Start-Up Nation, mai così competitivi:
al Giro d'Italia anche per fare classifica"

“Il 2020 è stato il nostro primo anno nel World Tour. Ma il bello, mi sento di dire, inizia adesso. Non siamo mai stati così competitivi”. Sylvan Adams, il mecenate israeliano a capo della Israel Start-Up Nation, è in Ruanda. Non una destinazione classica per chi opera, ad alti livelli, nel ciclismo. Ma non solo di agonismo vive questo team speciale, ancorato sin dalla nascita a progetti e valori forti. La missione in Africa, dedicata allo sviluppo di alcune iniziative tra sport e sociale, non ha fatto eccezione.
“Adesso si torna in Israele”, dice Adams. Ma riprenderà presto un altro aereo, stavolta con destinazione Italia. A breve infatti la Israel Start-Up Nation sarà di nuovo protagonista al Giro, il quarto della sua giovane storia. Per la prima volta dal debutto, avvenuto nel 2018 a Gerusalemme, con significative ambizioni di classifica. Fa ben sperare la gamba del suo capitano, l’irlandese Dan Martin, quarto lo scorso anno alla Vuelta (dove ha anche vinto una delle più importanti tappe di montagne). Con il Giro ha un conto in sospeso: nel 2014 cadde nella cronometro inaugurale, nella sua Belfast, e fu costretto al ritiro. L’obiettivo, sette anni dopo, è di arrivare sul podio. “Dan è forte e attorno a sé ha una squadra solida, ben assortita. Vogliamo portarlo il più in alto possibile. Ma cercheremo anche qualche successo di tappa. D’altronde – ricorda Adams a Pagine Ebraiche – già lo scorso anno ci siamo tolti lo sfizio”. 
L’eroe della scorsa edizione fu il britannico Alex Dowsett, già primatista mondiale dell’ora, che vinse in solitaria sul traguardo di Vieste. Una vittoria rivestita di molti significati: Dowsett è infatti affetto da emofilia e da anni si batte per una maggiore sensibilizzazione su questo disagio. “Impossibile dimenticare quella giornata, la nostra prima vittoria di tappa in una grande corsa”, si emoziona Adams.
L’esperto ciclista inglese sarà al Giro. Una delle principali frecce nell’arco della Israel Start-Up Nation, che in rosa avrà anche gli italiani Davide Cimolai e Alessandro De Marchi, l’israeliano Guy Niv, il lettone Krists Neilands, l’austriaco Matthias Brändle, il neozelandese Patrick Bevin. “Tutti molto bravi, adatti a diversi scenari. La squadra mi sembra ben assortita. Un bel mix tra ciclisti di lungo corso e giovani emergenti che cercano spazio”, sottolinea Adams.


Il Giro sarà il primo grande test della stagione. Il secondo, il più atteso, sarà il Tour de France. La squadra israeliana vuole lasciare il segno. Una speranza che ha soprattutto un nome e cognome: Chris Froome. La storia è nota: il campione britannico, vincitore in carriera di quattro Tour e un Giro, ha sposato questo progetto per rilanciarsi. Per trovare, negli ultimi anni da professionista, nuove motivazioni. Con l’obiettivo dichiarato di una vittoria a Parigi. 
È lo stesso sogno di Adams quando ha scelto di investire su di lui. Un’operazione di ciclomercato davvero clamorosa, che ha fatto parlare per settimane. 
Nei primi impegni del 2021 Froome è apparso però in difficoltà, debilitato anche da alcuni problemi di salute. “Non voglio nascondermi: Chris – dice Adams – è molto lontano dalla condizione migliore. Per fortuna mancano ancora due mesi alla partenza del Tour, il gap può essere colmato. Anche se è difficile fare delle previsioni”. 
 


L’Israel Start-Up Nation è stata costruita intorno a lui. Un Froome non al top sarebbe un grosso problema. Adams, in ogni caso, è pronto a cambiare il programma in corsa: “Puntiamo al Tour. E vogliamo giocarcelo con Chris. Ma se non sarà possibile, se la condizione non sarà all’altezza, abbiamo altre carte da giocarci”. 
Tra gli altri fa i nomi di Dan Martin, che potrebbe quindi fare sia Giro che Tour da capitano. Ma anche del canadese Michael Woods, terzo ai Mondiali di Innsbruck del 2018, che ha ben figurato all’ultimo Giro di Romandia (dove ha vinto la tappa più impegnativa); e del norvegese Carl Fredrik Hagen, ottavo alla Vuelta del 2019. Sia Woods che Hagen sono nuovi innesti. Mentre Martin è alla seconda stagione con i colori di Israele. “Sono per natura un ottimista. E quest’anno mi sembra di avere motivi ancora più fondati per esserlo”, commenta Adams. 
Negli occhi il ricordo di giornate indimenticabili: “Questa visita in Ruanda resterà nel cuore. Siamo andati nei villaggi; abbiamo donato biciclette; patrocinato una squadra unica nel suo genere, interamente al femminile. È stata anche l’occasione per implementare altri progetti che sto portando avanti attraverso la fondazione Save a Child’s Heart, che da quasi trent’anni si occupa di aiutare bambini con disfunzioni cardiache. Gli ospedali d'Israele, per molti di loro, sono la salvezza". 

Adam Smulevich

(Nelle immagini: Sylvan Adams durante una sua visita a Firenze; Chris Froome con la maglia della Israel Start-Up Nation; un momento della recente missione in Ruanda)

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LA SERATA DI STUDIO E TESTIMONIANZE NEL TRENTESIMO DALLA SCOMPARSA

“Rav Richetti, il suo esempio resterà indelebile"

Nel trentesimo dalla scomparsa molte voci e testimonianze hanno caratterizzato una intensa serata di studio organizzata da Assemblea Rabbinica Italiana e UCEI in ricordo del rav Elia Richetti. 
Gioia, ottimismo, risolutezza: tre caratteristiche che definivano questo grande rabbino e Maestro, evidenziate nel suo saluto introduttivo dalla Presidente UCEI Noemi Di Segni. “Non ci sono parole – ha riconosciuto – per definire il vuoto che lascia. Un vuoto non solo per la famiglia, ma per tutto l’ebraismo italiano”. Ad essere evidenziate la qualità, la forza e l’autorevolezza del suo impegno. Il suo essere stato un modello di saggezza, ma anche di umanità.
Il primo Davar Torah è stato del rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova e membro della Giunta UCEI. Citando un commento di Rashì, il rav si è soffermato sui modi “in cui è possibile onorare il Signore, con i beni di cui ci ha fatto dono”. Tra questi la propria voce. Quella del rav Richetti, il chazan per eccellenza dell’Italia ebraica, resterà indimenticabile. “La voce della tefillah e della Torah. Attraverso essa – le sue parole – ha ridato vita a tante melodie di comunità scomparse che grazie a lui hanno continuato ad esistere”. 
Per rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e presidente dell’Ari, rav Richetti era “un rabbino che ti faceva ‘sentire’ la Torah”. Rav Arbib ha aperto il proprio intervento soffermandosi sull’importanza della chazanut e del canto nel mondo ebraico. “La Torah non è solo canto, ma non la si può ridurre neanche a solo intelletto: altrimenti il rischio è di trasformare qualcosa di vivo in qualcosa di morto. Rav Richetti aveva questa capacità: sapeva coniugare le emozioni con le idee”. 
Rav David Sciunnach, presidente del tribunale rabbinico del Centro Nord-Italia, ha esordito con una battuta: “Scherzando in tevah, lo chiamavo juke box. Mi chiedeva: questa chiamata come la vuoi? In rito triestino, veneziano, romano?”. Per ricordarlo rav Sciunnach ha attinto dal Pirkei Avot, in particolare da una Mishnah in cui si introduce il tema del rispetto: “Di solito chi è più ‘grande’ in saggezza è abituato a relazionarsi con gli altri con distacco e superiorità. Ma rav Richetti – ha osservato – ha sempre trattato tutti allo stesso modo”. 
Rav Roberto Della Rocca, direttore dell’area Cultura e Formazione UCEI, ha elogiato il suo prezioso contributo nei diversi eventi aggregativi organizzati per conto dell’Unione. “C’era sempre, con grande entusiasmo ed empatia. Non c’era Tefillah o Birkat Hamazon – ha affermato – in cui non si offrisse di fare il volontario”. Per rav Richetti, il pensiero del rav Della Rocca, “fare il rabbino non era una professione, ma una cosa ben diversa; aveva inteso alla lettera un concetto tratto dal libro dei Re: ‘Io me ne sto in mezzo al mio popolo, sempre e dovunque”. 

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NUOVO GOVERNO, FALLITO IL TENTATIVO DI NETANYAHU

Il futuro politico d'Israele nelle mani di Lapid e Bennett

Entrambi da tempo puntano a sostituire Benjamin Netanyahu, il Primo ministro più longevo della storia d’Israele. E dopo le ultime 24 ore, con il fallito tentativo proprio di Netanyahu di formare un governo, avranno la possibilità di realizzare l’agognato obiettivo. Il centrista Yair Lapid e il rappresentante della destra nazionalreligiosa Naftali Bennett hanno infatti davanti a loro una prima vera opportunità di ottenere l’incarico di Primo ministro d’Israele. Per farlo dovranno però arrivare a un’intesa reciproca, spegnere eventuali dissensi interni e così dare un esecutivo a un paese stanco di tornare ogni sei mesi alle urne. “Faremo di tutto per formare un governo di unità nazionale” ha annunciato Lapid, uscendo in queste ore dall’incontro con il Presidente d’Israele Reuven Rivlin e presentandosi come il candidato più forte per ottenere il mandato di formare una coalizione di governo.

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IL DOSSIER "DANTE E GLI EBREI" SU PAGINE EBRAICHE DI MAGGIO

Quando Jabotinskj tradusse (in carcere) l'Inferno

Durante il Mandato britannico la di Acri servì come prigione principale per il nord di Israele. Centinaia di membri delle organizzazioni clandestine Haganah, Etzel e Lehi furono imprigionati qui nel corso della loro lotta nel nome della creazione dello Stato ebraico. Tra i primi prigionieri che i britannici rinchiusero ad Acri ci fu Zeev Jabotinsky, condannato al carcere per eventi legati alle violenze arabe del 1920. Intellettuale e letterato, Jabotinsky, leader del sionismo revisionista, usò il suo tempo in prigione per scrivere e tradurre. E di tempo, stando alla severa sentenza del giudice, ne avrebbe avuto parecchio: la condanna iniziale prevedeva infatti quindici anni di detenzione. Poi le proteste del mondo ebraico e della stampa britannica portarono ad un ampio sconto di pena, con la riduzione della prigionia a un anno. In questo periodo, nella sua cella, Jabotinsky riprese in mano una delle sue passioni letterarie: la Divina Commedia.


Canto dopo canto, iniziò a tradurre diverse parti dell’opera dantesca, in particolare dell’Inferno. Una traduzione non fedele, ma dal grande valore letterario. La pensa così Ariel Rathaus, considerato uno dei più autorevoli traduttori da italiano ed ebraico. Rathaus sostiene che siamo in presenza di un capolavoro, seppur infedele rispetto al testo originale.

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QUI FIRENZE - COLLOCATE 24 NUOVE PIETRE DI INCIAMPO

"Ricordare insieme ci rende più forti"

È il 24 maggio del 1944 quando un camion di militi nazisti si ferma davanti all’ingresso dell’ospizio israelitico Settimio Saadun. Nella retata vengono catturate ventun persone anziane, dieci uomini e undici donne. Con loro anche una giovane madre d’origine francese con i suoi due figli: Renée, di due anni, e il suo fratellino Sergio di uno. Ventiquattro vite spezzate, ricordate in queste ore, nel luogo del loro arresto, con la posa di altrettante pietre d’inciampo. Questi i loro nomi: Amedeo Bemporad, Gemma Bemporad, Raffaello Blanes, Elena Calò, Ester Calò, Claudio Caro, Diamante Coen, Renato Coen, Ester Della Pergola, Regina Schaller, Renée Frieder, Sergio Frieder, Giacomo Luisada, Marietta Massa, Magenta Nissim, Elisa Orvieto, Alberto Pacifici, Guido Passigli, Corinna Piperno, Aldo Racah, Arturo Servi, Giovacchino Servi, Ester Sessi, Enrichetta Sornaga.
“Viviamo oggi uno di quei momenti in cui la città deve essere presente” ha sottolineato il sindaco Dario Nardella, intervenendo alla cerimonia. Un’occasione per richiamare tutti i fiorentini all’impegno contro l’indifferenza. E cioè, nelle sue parole, “quel virus che scatena la discriminazione”.

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Messaggio dall'Isola di Pasqua
Qui sull’Isola di Pasqua oggi il tempo è buono. Noi scrutiamo l’orizzonte, con le nostre grandi teste pietrificate piantate nel terreno e rivolte sempre verso l’interno dell’Isola, mai verso il mare o verso il cielo. Il nostro sguardo fisso scruta l’orizzonte cercando di capire da dove e quando verrà la risposta alle molte domande che ci poniamo. Chi e quando vorrà e saprà formare un governo maggioritario e stabile che sia disposto a lavorare a beneficio degli isolani e dei loro problemi. Chi e quando vorrà assumersi la responabilità per le molte cose che non funzionano, mentre tutti sanno assumersi il merito delle cose che funzionano. Chi vorrà e saprà prendersi responsabilità per il benessere e la sicurezza di questa piccola isola che sta andando alla deriva nell’oceano, spinta dal capriccio degli elisei e dall’umore delle onde dell’oceano. Chi vorrà capire che un paese che non dispone di un bilancio dal 2018 non può competere con le mille sfide interne e esterne. Che quando muoiono 45 persone nella ressa dell’antico rito semi-pagano dell’accensione del fuoco sulla vetta del Monte, non è per suprema volontà celestiale ma perché l’ingegnere aveva firmato il permesso per 3mila persone ma ce n’erano 20mila. Aveva preteso quattro uscite di emergenza, ma agibile ce n’era una sola. Attraverso uno stretto corridoio, in discesa, scivoloso, e con al termine un angolo retto e una ripida scalinata. Ma con in mezzo una transenna per evitare contatti fra uomini e donne.
Dall’Isola di Pasqua, nella grande saga del settarismo, dell’odio reciproco fomentato fra le fazioni, ma anche della competizione per i fondi pubblici che permettono di meglio raggiungere questi scopi, sentiamo tuttavia la solidarietà verso coloro che non ci sono più. Gli abitanti della piccola Isola di Pasqua sono stremati dalle privazioni e il nostro sguardo fisso sull’orizzonte cerca di capire da dove e da chi verrà la guida. O la salvezza. Scrutiamo verso l’interno della nostra piccola Isola perché la soluzione non verrà dal mare o dal cielo, su un cavallo o tappeto volante o da una nuvola. La soluzione verrà dall’interno, da uno di noi stessi, o da più di uno, o da molti, se vorranno unire le loro forze per il bene comune.
 
Sergio Della Pergola
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Ticketless - Cinque maggio
Cade oggi il bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte. La cosa non deve passare sotto silenzio per chi, almeno in terra sabauda, ha avuto legami diretti con i dieci e cento Barbapartìn delle proprie genealogie famigliari. In Piemonte il fenomeno è stato più vistoso perché l’eroe eponimo sbucò proprio dalle Alpi Maritime all’inizio della sua gloriosa campagna d’Italia, ma la sua fama non fu minore nel resto della penisola.
Tuttavia, non soltanto nella scelta dei nomi per i figli, gli ebrei italiani dal 1821 in poi hanno celebrato una lunga cerimonia di addio che oggi sarebbe bene – sia pure brevemente- rievocare. Una secolare elaborazione del lutto, senza pentimenti. Cento anni fa, nei festeggiamenti per il primo centenario, c’era stata, a cura di Immanuel Sofer, alias Emilio Schreiber, la traduzione ebraica dell’ode manzoniana “Cinque maggio”. Nell’immaginario degli ebrei italiani Bonaparte rappresenta un vero e proprio mito. Il suo ricordo si porta dietro simbologie importanti, che costeggiano la memoria ebraica: l’Albero della Libertà, l’onore di avere un membro della propria famiglia invitato a Parigi a sedere ai lavori del Sinedrio (ricordo la serietà con cui ne parlava una persona come Cesare Cases, poco disposta per altro a celebrare i fasti famigliari). Se ne vede traccia anche nel vocabolario poetico connesso al ritratto dell’Imperatore.
Alberto Cavaglion
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America is back
C’è poco da fare, Sleepy Joe, questo il nomignolo imprudentemente affibbiatogli in campagna elettorale dal rivale Donald Trump, sta dimostrando che la politica non è cosa che si improvvisa. Dopo il successo della campagna vaccinale che va avanti a suon di record di iniezioni e la chiamata a raccolta delle democrazie occidentali chiamate a risolvere ogni ambiguità nel rapporto con la Cina, ora il grande piano di rilancio dell’economia in perfetto stile keynesiano.
Davide Assael
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Periscopio - Dante e gli ebrei
Recentemente ho avuto l’onore di essere invitato dall’Associazione Italia-Israele di Siena a svolgere una conferenza (ovviamente da remoto) sull’affascinate tema “Dante e gli ebrei”. Ringrazio vivamente l’Associazione – a cominciare dalla sua Presidente, Antonella Castelnuovo – per la stima riservatami, così come tutte le numerose persone intervenute, molte delle quali hanno animato il dibattito con delle domande di particolare interesse.
 
Francesco Lucrezi
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Il fuoco di Cocteau
Il 21 giugno 1941 l’Ungheria entrò in guerra a fianco dei Paesi dell’Asse ma nel 1943 si disimpegnò dallo sforzo bellico ritirando le truppe dal fronte sovietico e rinunciando ad abbattere aerei nemici che sorvolassero il proprio territorio; il 19 marzo 1944 le truppe tedesche entrarono in Ungheria.
Il 15 ottobre 1944 la radio ungherese trasmise un proclama del reggente Miklós Horthy nel quale si dichiarava la cessazione dell’alleanza militare con il Reich e l’avvio di trattative armistiziali, il Reich reagì contando sull’appoggio delle milizie paramilitari ungheresi e del movimento politico filonazista e antisemita Nyilaskeresztes Párt-Hungarista Mozgalom guidato da Ferenc Szálasi. 
Francesco Lotoro
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