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IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO ITALIANO AD AVNER SHALEV 

"Ho guidato per 27 anni Yad Vashem,
la ricerca sulla Shoah ha ancora molto da dire"

“Capisco la paura dei sopravvissuti alla Shoah che il mondo dimentichi il passato e metta da parte la Memoria. La mia esperienza allo Yad Vashem mi permette però di essere fiducioso. Ho visto in questi anni crescere l'attenzione per la ricerca e lo studio della Shoah e non il contrario. Questo perché è una tragedia che mette in discussione l'intera nostra idea di società e di umanità. Ci pone davanti a quesiti ancora profondamente attuali, a cui continueremo, anche in futuro, a cercare di dare risposta”. Per 27 anni presidente dello Yad Vashem, l’ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, Avner Shalev spiega così a Pagine Ebraiche perché non teme che in futuro la Shoah possa diventare solo una pagina tra le tante della storia umana. Seppur sia una preoccupazione comprensibile, afferma a Pagine Ebraiche, il lavoro di Yad Vashem, l'attenzione crescente di storici e studiosi, di enti di ricerca, la collaborazione con vari paesi, tra cui l'Italia, lo porta ad essere fiducioso. E in quest'ottica interpreta anche il riconoscimento appena ricevuto dallo Stato italiano: la nomina a “Grande Ufficiale” conferitagli dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. “È un onore che mi commuove. - commenta Shalev, proprio a margine della cerimonia tenutasi presso l'ambasciata italiana - È un riconoscimento per il mio operato, ma soprattutto per lo Yad Vashem, che ho guidato fino allo scorso anno. Ho incontrato il Presidente della Repubblica Mattarella almeno due volte, e sono rimasto profondamente colpito dal suo impegno per favorire la ricerca della Shoah e la didattica diretta sia agli insegnanti sia ai giovani”. 
Parlando dell'Italia, Shalev evidenzia come siano molte le collaborazioni avviate nel corso di questi anni con le istituzioni nazionali e locali del paese. Un dato sottolineato anche dall'ambasciatore italiano in Israele Gianluigi Benedetti nel conferirgli l'onorificenza. Il diplomatico ha ringraziato Shalev per il ruolo di ponte tra Italia e Israele e richiamato, tra le altre, le relazioni costruite tra il Memoriale di Gerusalemme “con il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, il Memoriale della Shoah di Milano, la Fondazione Museo della Shoah di Roma e naturalmente con la Fondazione CDEC di Milano”.
“Sono anche orgoglioso di raccontare – ha aggiunto Benedetti - dello straordinario lavoro della Scuola Internazionale di Yad Vashem che, sotto la sua presidenza, è culminato nella firma di numerosi Protocolli d'intesa tra lo Yad Vashem e il Ministero dell'Istruzione italiano".
"Grazie a questi accordi - il suo messaggio - migliaia e migliaia di insegnanti italiani, ispirati dai metodi pedagogici e dalla grande esperienza della Scuola dello Yad Vashem, hanno imparato a insegnare la Shoah alle giovani generazioni. Una missione così cruciale nei tempi attuali”.

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IL FORUM INTERNAZIONALE LEGATO AL G20

"L'odio che uccide nei luoghi di culto:
ricordiamo, nel nome di Gaj Tachè"

Dal 12 al 14 settembre Bologna ospiterà un Interfaith Forum in tre giornate collegato al G20 con presidenza italiana. Dagli stravolgimenti in atto nell’area mediorientale alla sfida ecologica, dal terrorismo fondamentalista alle buone pratiche che fanno la differenza. Molteplici i temi al centro, con significativi ospiti sia italiani che internazionali e una particolare attenzione al mondo ebraico. La grande conferenza prenderà infatti avvio al sabato sera, con la preghiera dell’havdalah che segna la fine dello Shabbat. Il primo Shabbat del nuovo anno ebraico 5782 alle porte. Tra i molti ospiti annunciati nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sede dell’Associazione della Stampa Estera il presidente del Parlamento europeo David Sassoli e il presidente del Consiglio Mario Draghi. Numerosi anche gli esponenti ebraici coinvolti: rappresentanti istituzionali, rabbini, intellettuali.
Ad illustrare i punti salienti del programma il professor Alberto Melloni, segretario della Fondazione per le scienze religiose di Bologna, con al fianco il rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, e Marina Sereni, viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. In collegamento W. Cole Durham, presidente del G20 Interfaith Forum Association e Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita del capoluogo emiliano-romagnolo. A condurre l’evento il giornalista olandese Maarten Van Alderen, presidente della Stampa Estera.
Un momento di commemorazione e riflessione in ricordo di tutte le vittime di attentati avvenuti nei luoghi di culto caratterizzerà la serata inaugurale. Eloquente, spiega Melloni a Pagine Ebraiche, la scelta della data in cui questa riflessione prenderà avvio: l’attentato al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982 in cui perse la vita il piccolo Stefano Gaj Tachè. “Una storia italiana, che ci riguarda tutti”, sottolinea il professore. L’Interfaith Forum sarà l’occasione per un primo annuncio sul lavoro di ricognizione avviato da quella drammatica giornata ad oggi: “Abbiamo censito finora 2900 attentati. Il mio obiettivo – spiega – è di arrivare a una sorta di Yad Vashem delle vittime, facendo memoria di tutti i nomi”. In questo senso la tre giorni bolognese darà avvio a un progetto di studio e catalogazione che si concluderà per l’ottobre del 2022, nel 40esimo anniversario dell’attentato. Un modo per confrontarsi consapevolmente con quella che da alcuni, Melloni compreso, è stata definita una vera e propria “pandemia dell’odio”

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L'INTERVENTO DEL RABBINO CAPO DI ROMA RAV RICCARDO DI SEGNI

La Torah e il rispetto che è mancato

“Riproporre in termini semplificati le contrapposizioni antiche comporta il rischio di confermare stereotipi ostili, nel caso particolare quello dell’ebraismo come religione abrogata e formalistica, tutta doveri, senza spirito, o semplice preparazione, ‘pedagogia’ alla nuova fede”.
È quanto scrive, in un intervento che appare oggi sul quotidiano La Repubblica, il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. Considerazioni che arrivano a pochi giorni da un commento improprio di Bergoglio alla lettera ai Galati di Paolo in cui si parlava del ruolo della Legge rispetto alla fede. Nell’occasione il papa aveva lasciato intendere di ritenere la Torah qualcosa di obsoleto e non più in grado di “dare vita”, suscitando una forte reazione nel rabbinato israeliano.
“La religione ebraica – sottolinea rav Di Segni – è fatta di regole da osservare, insieme a un sistema di credenze. Dalle lontane origini fino a oggi, si discute nell’ebraismo sul valore che possa avere l’osservanza dei precetti senza un’adeguata partecipazione spirituale, senza credere. I Maestri che prima e dopo il Baal Shem Tov hanno sottolineato l’assoluta importanza della fede sono tanti. Ma nessuno di questi si è mai sognato di dire che se non c’è fede non bisogna osservare, e che l’osservanza serva solo a preparare a una nuova fede”.

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QUI ROMA - L'EMOZIONE DEL SOLDATO ADLER IN SINAGOGA

"Qui pregai per la pace: mi sento come a casa”

“Cara mamma, questo è il Tempio di Roma. Sono stato all’interno e, ragazzi miei, era meraviglioso! Con amore Martin”. Nel giugno di 77 anni il soldato americano Martin Adler scriveva questa cartolina, direttamente da Roma e poche ore dopo aver visitato la grande sinagoga. Giorni frenetici, di emozione e ripartenza dopo la fine dell’incubo nazifascista. Adler aveva allora vent’anni. Oggi ne ha 97. Stamane, in compagnia del suo biografo Matteo Incerti, ha realizzato un sogno cullato da tempo: visitare di nuovo il Tempio.
 

Al suo interno, in quel fatidico ’44, si raccolse in preghiera auspicando, come ha raccontato a Pagine Ebraiche negli scorsi giorni, “la fine della guerra, la pace e l’amore”. Ad accoglierlo la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, l’assessore alla Memoria Massimo Finzi, la direttrice del Museo ebraico Olga Melasecchi. Un momento gioioso caratterizzato anche dagli auguri per l’imminente Rosh haShanah, il Capodanno ebraico. Oltre che da un atto simbolico: Adler ha infatti donato quella cartolina per lui così evocativa alla Comunità e al Museo.


(Nell'immagine in alto Martin Adler in sinagoga, in basso un dettaglio della cartolina donata) 

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IL VOLUME RIPUBBLICATO DA GARZANTI A UN ANNO DALLA SCOMPARSA

Ebrei ed Europa, un dialogo aperto:
il saggio di Luzzatto torna nelle librerie

“L’identità di un gruppo umano è fatta di molte storie, di mille sfaccettature. La storia degli ebrei ne è un esempio cruciale. Imprescindibile, per immaginare un nuovo continente europeo e un Occidente diverso”. È una delle riflessioni lasciateci in eredità da Amos Luzzatto, medico, scrittore e grande leader ebraico italiano scomparso il 9 settembre scorso all’età di 92 anni. Molti impegni hanno caratterizzato la vita di questa straordinaria e poliedrica figura, presidente UCEI dal 1998 al 2006 oltre che, in altri momenti, presidente degli ebrei veneziani e uscito inizialmente con Einaudi e oggi riproposto da Garzanti – segna questo primo anniversario nel segno della consapevolezza. Da oggi in libreria con l’inedita prefazione di Milena Santerini, coordinatrice nazionale nella lotta contro l’antisemitismo, il volume affronta in modo stimolante un tema decisivo quale il ruolo degli ebrei nella società europea.
Ebrei ed Europa, due entità intrinsecamente connesse. Un rapporto che resta vivo e vivace in entrambi i sensi. Lo ricordava su questi notiziari il figlio Gadi, direttore della Fondazione CDEC, evidenziando come una lunga storia “fatta di pacifiche convivenze e amichevoli relazioni come di persecuzioni, espulsioni, roghi e spaventevoli massacri” abbia dato vita a “identità complesse e forme culturali di inestimabile valore”.
Il posto degli ebrei, fa capire Santerini, non poteva avere miglior autore di Luzzatto. Anche nel segno della “grande mappa geografica, culturale e sociale dell’ebraismo, da Gerusalemme a Roma, dall’Europa dell’Est all’America” che si dipana, pagina dopo pagina, davanti agli occhi del lettore.

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SUA LA STORIA EVOCATA IN UN RECENTE INTERVENTO DA LILIANA SEGRE

Il dramma di Kabul e il ricordo della Shoah, 
la testimonianza di Rossella Tedeschi

Il destino dei profughi afghani è al centro dell'attenzione dei governi europei. Mentre le notizie dal paese iniziano a scivolare via dalle prime pagine dei quotidiani italiani, rimangono aperte le riflessioni sul destino delle migliaia di persone in fuga da un Afghanistan tornato in mano ai talebani. Tra gli altri a scriverne è stata, in un contributo pubblicato su La Stampa, la senatrice a vita Liliana Segre. Riferendosi alle immagini delle donne che affidavano all'aeroporto di Kabul i propri figli ai soldati, Segre si chiedeva: “Cosa c'è di più tremendo di una scelta del genere? Cosa c'è di più incerto, doloroso, dilaniante, che mettere la vita di un figlio o di una figlia nelle mani di uno sconosciuto pur di salvarlo?”. Un'immagine che aveva riportato alla mente della Testimone della Shoah, “un fatto simile accaduto durante le deportazioni degli ebrei in Italia. La storia di Giuliana Tedeschi, torinese, ormai defunta, donna colta e molto in gamba che al momento dell'arresto nella sua bella casa torinese, mise le sue due figlie nelle mani della domestica, affidandogliele. Lei poi, miracolosamente, si salvò, riuscì a tornare dal campo di sterminio e ritrovò le sue bambine ormai cresciute e che stentavano a riconoscerla. La donna a cui le aveva affidate, le aveva effettivamente salvate”. E una delle due bambine di allora, Rossella Tedeschi Fubini, racconta oggi la sua esperienza di scampata alla tragedia: “io non ho ricordi diretti di quella notte dell'aprile del 1943, quando mia mamma e mio papà sono stati prelevati dalla nostra casa torinese per essere deportati nei campi di concentramento - racconta a La Stampa Tedeschi Fubini -. Quella notte la nostra domestica ha salvato me e mia sorella, e successivamente ci ha nascoste in diversi luoghi, tra cui un convento, fino alla fine della guerra. È stata una donna straordinaria che ci ha salvato la vita mettendo a rischio la sua”.

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E sceglierai la vita!
Il dibattito sull’eutanasia è recentemente ripreso in Italia a seguito della proposta di referendum presentata sul tema. David Sorani è intervenuto sollecitando una presa di posizione del Rabbinato sulla delicata questione. Lo ringrazio di questa opportuna richiesta, cui rispondo brevemente a titolo personale, lasciando all’Assemblea Rabbinica lo spazio per un parere ufficiale più circostanziato. 
Rav Alberto Moshe Somekh
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Libertà ed eversione
Le aggressioni contro l’infettivologo Matteo Bassetti e il giornalista Francesco Giovannetti hanno messo in evidenza, se ce n’era ancora bisogno, la natura eversiva con forti componenti delinquenziali del movimento no vax. Ma bisogna anche dire che l’espansione di questo movimento eversivo è aiutata da una errata concezione della libertà che sembra aver coinvolto gran parte, se non tutte, delle forze politiche italiane. 
Valentino Baldacci
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Machshevet Israel - Ripensare Wayqrà
Se e quanto i maestri di Israele debbano tener conto dei risultati (sempre provvisori, spesso aleatori e non di rado condizionati da precomprensioni) dell’approccio storico-critico, e in generale delle scienze umane, alle Scritture sacre è questione che, dai tempi del Azariah de’ Rossi e del Maharal di Praga, non cessa di sollevare vivaci dibattiti in seno al mondo ebraico pensante. Tuttavia è innegabile che la riflessione scientifica, con i caveat menzionati e pur avanzata da non ebrei, sia di grande stimolo anche a chi intenda restare nello stretto alveo della tradizione rabbinica.
Massimo Giuliani
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