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L'OMAGGIO DI ROMA A UNA GRANDE PROTAGONISTA DEL NOVECENTO

Attraverso lo specchio, arte e identità in mostra:
il nostro viaggio nel mondo di Antonietta Raphaël

La Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma inaugura mercoledì la sua nuova mostra, "Antonietta Raphaël. Attraverso lo specchio". L'omaggio a una delle più grandi artiste del Novecento in un viaggio incentrato anche sulla sua identità ebraica. Le due curatrici, Giorgia Calò e Alessandra Troncone, tracciano il percorso di questo intrigante allestimento. 

La mostra intende presentare al pubblico un’accurata selezione di opere di Antonietta Raphaël (Kaunas 1895 – Roma 1975), artista di origini lituane ed esponente di spicco della Scuola romana, utilizzando lo specchio come metafora e filo conduttore. Partendo dal “narcisismo della Raphaël” ricordato da Alberto Moravia, che sottolinea come ogni suo dipinto sia “uno specchio sul quale la pittrice si china per vederci riflessa la propria immagine”, la mostra esplora in senso più esteso i tanti aspetti speculari che si incontrano nella vita e nella produzione di questa artista straordinaria, per offrirne un ritratto sfaccettato che ne evidenzia l’originalità e l’attualità in particolare in relazione alla (auto)rappresentazione femminile.
Nata in uno shtetl a Kovno (oggi Kaunas) nel 1895, dopo la morte del padre, il rabbino Simon, nel 1905 Antonietta Raphaël si trasferisce insieme alla madre Chaja Horowitz a Londra, destinazione comune degli ebrei d’oriente che scappavano dai pogrom zaristi. Ha inizio così per Antonietta Raphaël un’esistenza nomadica, un percorso diasporico costellato da viaggi e fughe che troverà massima espressione nella grande scultura Fuga da Sodoma (1939) e che la porterà a conoscere le grandi capitali europee: Londra, Parigi e Roma, dove si trasferisce nel 1925 e dove incontra Mario Mafai con cui darà vita insieme a Scipione a quella che Roberto Longhi definì nel 1929 la Scuola di Via Cavour.
Donna indipendente e anticonformista, una “straniera di passaggio” (come la presenta Mafai a Longhi nel 1929) capace di coniugare le sue radici ebraiche e lituane con gli stimoli provenienti dall’ambiente romano, approdando così ad esiti originali per l’epoca sia nella pittura che nella scultura, Antonietta Raphaël è un’artista che offre oggi molteplici occasioni di approfondimento. La mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma raccoglie dipinti, sculture e opere su carta provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, che coprono tutto l’arco della sua produzione, accompagnati da documenti quali fotografie di famiglia, lettere e pagine dei suoi diari. Il percorso espositivo, anziché privilegiare un andamento cronologico, si sviluppa per sezioni impostate su specifici temi: l’introduzione alla mostra si focalizza sulle origini lituane ed ebraiche dell’artista che trovano espressione negli intensi ritratti dei genitori, Mio padre e Mia madre (1932-1958) e nel dipinto Mia madre benedice le candele (1932).


 

L’arrivo a Roma nel 1925 è segnato dall’incontro con Mario Mafai, compagno di vita ma anche imprescindibile interlocutore per il costante confronto tra i due artisti: sin dai primi anni della loro relazione, i due si osservano e si rispecchiano nelle opere e nei rispettivi sguardi, mettendo in scena un dialogo affascinante che vive nei loro scambi epistolari e nei reciproci ritratti, quali ad esempio Ritratto di Mario (1928), nel quale Raphaël dipinge Mafai intento a disegnare un suo ritratto, o Lezione di piano di Mafai (1934) che evidenzia l’importante ruolo della musica nella vita di Antonietta. Il confronto si gioca anche nei rispettivi studi d’artista: Mario Mafai dipinge Antonietta in abito da sera nel suo studio di scultura (Antonietta nello studio di scultura, 1934) mentre Raphaël, all’indomani della sua morte, gli dedicherà un ultimo omaggio che ritrae il pittore nel suo studio occupato a dipingere una natura morta (Mafai nello studio, 1966).
È invece attraverso i numerosi autoritratti che segnano tutta la sua produzione che Antonietta si autorappresenta come donna, madre e artista, mettendo al centro della propria opera il tema dell’identità proprio attraverso il racconto di se stessa. Lo scambio epistolare con Mario, spazio di confronto segnato da dichiarazioni d’amore, litigi e consigli professionali, è evocato in Autoritratto scrivendo una lettera a Mario (1942), mentre il suo lavoro di artista è ben rimarcato negli autoritratti che la vedono all’opera come Autoritratto con tuta blu degli anni Quaranta che, attraverso la raffigurazione di strumenti da lavoro, sottolinea il suo essere scultrice contro ogni pregiudizio legato alla ‘mascolinità’ di questa disciplina per la forza fisica che essa richiede. L’abilità e caparbietà di Raphaël, che si dedica alla scultura dai primi anni Trenta, non sfugge ai suoi contemporanei: celebri in questo senso le affermazioni di Libero de Libero, che la definisce “l’unica donna al mondo da considerare come un geniale scultore” e di Cesare Brandi che la battezza “l’unica vera scultrice italiana”.

Partendo dalla celebre affermazione di Raphaël nel suo diario che recita: “Due cose mi tormentavano da piccola: la religione e il sogno”, opere quali La sognatrice (1942-45), Poltrona verde: l’incubo (1950) e Io e i miei fantasmi (1961), insistono su un immaginario onirico che ancora una volta vede protagonista la figura femminile. Questa è soggetto anche delle numerose rappresentazioni “allo specchio” che, attraverso il riflesso, si pongono come momenti di riflessione sullo sdoppiamento riservato alla donna in quanto creatrice e creatura, come nella scultura Riflesso nello specchio (1945-61). Femminilità e maternità ricorrono come concetti-chiave nell’opera dell’artista, che più volte nei suoi scritti accomuna la donna a Dio per il privilegio di “creare qualcosa dal nulla”: proprio il momento della procreazione è al centro del dipinto Il parto (1968), mentre ritorna in chiave più autobiografica e personale nei numerosi ritratti dedicati alle figlie Miriam, Simona e Giulia, Le tre sorelle a cui è intitolata la scultura in cemento del 1936 già parte della collezione del museo.
La religione è invece il soggetto di numerose opere tra dipinti e sculture che, riagganciandosi alle sue origini ebraiche, offrono nuovi spunti sulla rappresentazione del femminile in particolare attraverso le figure di Giuditta e Tamar, eroine bibliche che si presentano come donne indipendenti e volitive, in grado di declinare la loro grazia e bellezza in forza e combattimento e di sovvertire con le loro azioni un contesto dominato da logiche patriarcali. Sono presenti in questa sezione dipinti quali Yom Kippur nella sinagoga (1931), Il quarto giorno della creazione (1963), Il trionfo di Giuditta (1960-61), Er e Tamar (1967), insieme alle sculture Re David piange la morte di Assalonne (1947-69) e Salomè (1969).
Infine, l’ultima sezione della mostra raccoglie ritratti di compagne e compagni di strada di Raphaël: Scipione, Renato Guttuso, Giacomo Manzù, Katy Castellucci, Helenita Olivares, ma anche mecenati e collezionisti che hanno sostenuto la sua pratica artistica, dal Ritratto della signora Della Ragione (1939) al Ritratto di Giuseppe Berti (1961), immortalato sulla stessa poltrona verde dell’omonimo dipinto del 1950.
A partire da quest’ultimo nucleo di opere che evocano l’entourage artistico di Antonietta Raphaël, la mostra costruisce un filo diretto con la collezione permanente della Galleria Nazionale, dipanandosi nelle sue sale e suggerendo un percorso esteso alla ricerca delle opere di quegli artisti che hanno condiviso con lei il suo cammino creativo o ne hanno influenzato l’opera, tra i quali Mario Mafai, Scipione, Ettore Colla, Renato Guttuso, Giacomo Manzù e Amedeo Modigliani.


Giorgia Calò e Alessandra Troncone

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LA CONFERENZA INTERNAZIONALE IN PROGRAMMA A ROMA

Ebrei di Libia: traumi, identità, resilienza
Una settimana di incontri e testimonianze

La coincidenza con Chanukkah, la festa delle luci, non è casuale. Un momento di luce, ma anche di riflessione su identità e futuro. Cosa ha significato quell’esodo forzato? Quali restano i traumi da elaborare? Come preservare riti e minhagim di una storia antichissima?
“Storie di rinascita: gli ebrei di Libia”: è il tema attorno cui ruoterà un grande convegno internazionale ideato dallo psicoanalista David Gerbi, presidente dell’associazione ASTREL di recente istituzione che ha tra i suoi obiettivi la ricostruzione virtuale dei cimiteri ebraici distrutti dal 1967 in poi.
Appuntamento al Roma Scout Center, dal 28 novembre al 5 dicembre, per una densa settimana d’incontri e testimonianze ad abbracciare idealmente la data del 30 novembre scelta dal Parlamento d’Israele per ricordare i profughi ebrei espulsi dai Paesi arabi.
“Attraverso le storie personali raccontiamo la nostra Storia”, l’invito esteso e raccolto da svariate decine di oratori che giungeranno da molte città d’Italia, ma anche dall’estero (Israele in primis). Voci in parte già familiari ai nostri lettori grazie alla rubrica “Storie di Libia” che ogni lunedì Gerbi cura su queste pagine.
“L’obiettivo della conferenza – spiega – è di trasmettere le testimonianze degli ebrei nati in Libia e delle successive generazioni nate in Italia”. Un passaggio di testimone segnato dalla presenza e partecipazione attiva delle scuole ebraiche di Roma “per far comprendere agli studenti non solo le tragedie del passato ma anche la capacità di resilienza di un gruppo straordinario che è stato ‘profugo’ per poco tempo, ha saputo rialzarsi e diventare protagonista della storia recente di Roma e della sua Comunità ebraica”.

(Nell’immagine: la sinagoga Dar Bishi di Tripoli in una foto d’epoca)

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LA POPOLARE SITCOM SBARCA SU NETFLIX 

Il grande ritorno di Seinfeld

L'autunno si è aperto con un’operazione che ha fatto felici gli appassionati di Seinfeld. I 180 episodi della celebre sitcom che incarna un certo humor ebraico-americano sono sbarcati su Netflix e promettono di emulare il successo di Friends e The Office – due serie rivelatesi capaci di superare le mode e accompagnare più di una generazione.
Il costo della manovra non è risibile, visto che per assicurarsi i diritti Netflix avrebbe pagato due anni fa quasi 500 milioni. L’espansione enorme del colosso dello streaming e la potenza del suo algoritmo possono però schiudere alla sitcom un pubblico nuovo, diverso e assai più ampio. Sempre che la mutata atmosfera culturale e il gusto degli spettatori non si mettano di traverso.
La serie ideata da Larry David e Jerry Seinfeld è andata in onda fra il 1989 e il 1998, quando molti degli abbonati erano in fasce o dovevano ancora nascere. I riferimenti sono quindi datati oltre che talvolta difficili da cogliere per chi non è nato e cresciuto in America. Soprattutto, la New York che fa da sfondo al racconto, ambientato in un appartamento nell’Upper West Side a Manhattan, è una città essenzialmente bianca, dove i personaggi di colore sono di contorno se non talvolta oggetto di satira. Nel clima di esasperate sensibilità identitarie che stiamo attraversando sarà un’angolatura considerata accettabile o scatteranno le censure e i boicottaggi della cancel culture e del politically correct? Interrogativi analoghi riguardano i protagonisti. Seinfeld che interpreta se stesso e i suoi tre amici George Costanza (Jason Alexander), l’ex fidanzata Elaine (Julia Louis-Dreyfus) e il vicino Cosmo Kramer (Michael Richards) non solo sono sui trenta, più vecchi degli eroi di Friends e di tante serie oggi in voga, ma sono strutturalmente diversi.

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L'INGHILTERRA PREMIA RENATO CAVIGLIA, GIÀ VICEPRESIDENTE DELL'AME ROMA

“Fare il medico, un lavoro ma anche una missione"

Specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva con un interesse scientifico per le malattie autoimmuni dell’apparato digerente e già vicepresidente della sezione romana dell’Associazione medica ebraica (Ame), Renato Caviglia è stato insignito del titolo di Senior Consultant presso il Barts Health NHS Trust, uno dei più antichi ospedali d’Europa che comprende il prestigioso Royal London Hospital e il St Bartholomew Hospital, e ha ricevuto l’NHS Award for Clinical Excellence per il suo lavoro durante le tre ondate della pandemia.
Ricevendo l’alto riconoscimento, Caviglia ha sottolineato il duro lavoro, le lunghe ore di straordinari e spesso di volontariato per coprire i colleghi malati o in convalescenza senza chiedere alcun compenso né per sé né per i membri del suo team. Per Caviglia il lavoro del medico “non è solo una professione ma anche una missione”. Tale impegno è stato riconosciuto dalle principali istituzioni sanitarie locali.

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I LAVORI DEL CONGRESSO NAZIONALE DI ITALIA-ISRAELE

“Napoli-Gerusalemme, cooperazione importante"

Molti progetti e sfide al centro dei lavori del Congresso nazionale della Federazione delle Associazioni Italia Israele svoltosi nelle scorse ore a Napoli. Una città sempre più strategica anche per via della conferenza internazionale sull’agritech che proprio qui, su impulso di Israele, si svolgerà a breve.
“Ci sarà un forte impegno della comunità napoletana e della città che rappresento per far si che i rapporti di amicizia siano ulteriormente stimolati e rafforzati” le parole del sindaco Gaetano Manfredi, ospite ieri del Congresso. Ad essere evidenziato “il legame storico, profondo e solido che c’è tra la comunità ebraica e la nostra città dal punto di vista culturale, sociale ed economico”. Napoli, ha poi aggiunto Manfredi, “può rappresentare un luogo dove la cooperazione italo-israeliana può essere rafforzata dal punto di vista della crescita, della cultura, della ricerca per lo sviluppo”.

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L'INCONTRO A CASALE MONFERRATO

Primo Levi, un poliedro di significati

Ci vuole un grande narratore per raccontarne un altro e la figura di Primo Levi che esce dalle parole di Ernesto Ferrero non solo è reale e contemporanea, ma diventa estremamente godibile in tutte le sue accezioni che sono molto più vaste di quanto non si immagini. Tocca a Elio Carmi, il presidente della Comunità ebraica di Casale Monferrato, spiegare il titolo dell’incontro svoltosi ieri in Comunità: Il Poliedro Primo Levi. “Poliedro perché ovviamente aveva tanti interessi che però si univano tra di loro proprio come un oggetto solido, unico ma formato da superfici contigue”.
Spetta invece a Roberto Gabei, presidente della Fondazione Arte Storia e Cultura Ebraica a Casale Monferrato e nel Piemonte Orientale – Onlus, il compito di ricordarci che il protagonista di questo incontro è immerso nello stesso flusso letterario di Levi. 

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SEGNALIBRO

La famiglia di piazza Stamira


 

La storia di una famiglia ebraica anconetana, i Sacerdoti, alla dura prova del Novecento. Quattro diverse prospettive, ma un comune intreccio di vite, sogni, speranze. C’è tutto questo al centro del nuovo libro di Marco Cavallarin, studioso di ebraismo e documentarista. "La famiglia di piazza Stamira"  (ed. Affinità Elettive) è un libro affascinante, corredato anche da numerose immagini. Memoria viva, lungo i decenni del “secolo breve” e le sue scelte complesse.

I principali protagonisti di questa storia, in ordine di anzianità, sono: Sara Sacerdoti, Ashkelon; Enzo Sacerdoti, Ancona; Vittorio Emanuele Sacerdoti, Roma; Cesarina Sacerdoti, Milano.
Sara Sacerdoti Castelbolognesi, nata ad Ancona nel 1909, la prima figlia. Gentile, accogliente, radiosa, fa aliyah per amore di Nello, emigrata in Israele per amore del sogno sionista coltivato sì, ma vissuto e condiviso contraddittoriamente. Nulla è stato facile per lei da quando ha lasciato Ancona, eppure ha conservato sempre ottimismo e energia per la vita. La più longeva, salda nella conservazione del ricordo, al festeggiamento del suo centesimo compleanno, a Ashkelon, ci ha intrattenuto cantando Bella ciao.
Enzo Sacerdoti, nato a Ferrara nel 1912, fu uno scavezzacollo, pieno di vitalità, di forza fisica e mentale, sempre giocoso, il più burlone di tutti, amici e parenti. Seppe però essere la guida e il riferimento della famiglia nei momenti più difficili, come quando il pericolo della persecuzione antiebraica era massimo; come quando, da partigiano, portava con sé i genitori, per i quali cercava e trovava rifugi sicuri; come quando non esitò ad affrontare pericoli inimmaginabili per trarre i genitori in salvo dal rischio della cattura e della deportazione.
Vittorio Emanuele Sacerdoti, nato a Roma nel 1915, medico, fu uomo d’altri tempi: colto, amante della montagna, esploratore di vie alpinistiche, appassionato di archeologia, soprattutto etrusca, di bontà tale da essere amatissimo dai suoi pazienti, ricchissimo di amicizie, sereno nel giudizio, impegnato nella Resistenza per quanto poté, e non fu poco, poeta dilettante, narratore e scrittore provetto di favole e racconti di montagna, orgoglioso della sua laicità anche quando, negli ultimi anni della vita, affacciandosi al balcone della sua casa di via Catalana 1, a Roma, al centro del Ghetto, impartiva la berachà al popolo.  Fu legato alla famiglia in maniera appassionata e mai bacchettona (usavano tutti darsi del tu, dai nonni ai nipoti, in tempi in cui il “voi” era d’obbligo). Fu rifugiato e nascosto sotto falso nome all’Ospedale Fatebenefratelli nei tempi della persecuzione razziale: risultava barelliere, ma faceva il medico a tempo pieno. 
Cesarina Sacerdoti Ottolenghi, nata a Modena nel 1917, mi è stata suocera, quasi madre. Forse la più fragile e introversa dei quattro fratelli; ma anche lei aveva una gran voglia di ridere, perfino nelle situazioni più scabrose. Il suo punto di vista sapeva tingersi di ironia, a volte di incoscienza, per ritrovare forza. Incapace di nascondere sentimenti e turbamenti.
Di belle letture, sorridente, sportiva, avventurosa, amante della musica, estrosa nei colori, appassionata della vita, curiosa, abile bridgista, attenta fotografa della famiglia e dei rapporti amicali, di buon gusto e buone ricette. Vedova precoce, il marito Elio l’aveva lasciata all’improvviso. La sera prima di morire ha voluto salutarci, me e sua figlia Patrizia, e questa è una cosa che non dimenticheremo.

(Nell'immagine: Vittorio con alcuni compagni all'università)

Marco Cavallarin

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Una speranza in meno
Sembra che questa volta lo zar Putin ce la faccia a chiudere l’organizzazione Memorial internazionale, un’iniziativa nata con la caduta del comunismo per far memoria delle vittime dello stalinismo ad opera di importanti personalità fra cui il premio Nobel Andrej Sackarov. Successivamente Memorial allargò il suo campo d’azione alla lotta per i diritti umani e a quella contro l’autoritarismo della Russia di Putin. La sua lotta per i diritti umani è stata importante e ha avuto vasta eco in Occidente, dove Memorial ha creato sezioni nei vari paesi (fra cui l’Italia). 
Anna Foa
Oltremare - Tende
In Israele ci sono due momenti che portano a costruire strutture temporanee in giardino o in cortile, o se necessario nel parcheggio del condominio, previo consenso dei condomini. Il primo è la festa di Sukkot, in occasione della quale notoriamente si costruiscono capanne fatte di tre muri spesso di stoffa e un tetto di frasche, per poter vedere il cielo e lasciare che la pioggia piova dentro, quelle rare volte che piove già in una stagione qui ancora quasi estiva. Mi è sempre piaciuto molto quel sentirsi esposti, ma anche protetti. 
Daniela Fubini
Storie di Libia - Abraham Haiun
Abraham Mimmo Haiun, ebreo di Libia. Nato a Tripoli da genitori ebrei italiani, il padre era un soldato sotto il fascismo. Durante la sua infanzia con la famiglia si era trasferito da un quartiere all’altro a seconda del miglioramento di posizione di suo padre. Di questo periodo conserva anche brutti ricordi, in particolare gli arabi che abitualmente fermavano i ragazzini ebrei in strada per costringerli a dire una frase sull’Islam, a recitare la preghiera islamica, il loro tentativo di convertirli con la forza.
 
David Gerbi
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