Dossier: Le leggi razziste e le polemiche sui silenzi della Chiesa. Ebrei italiani a confronto

“In quel periodo non ci fu la condanna aperta del nazismo”
«In quel periodo non ci fu una presa di posizione della Chiesa di aperta condanna del nazismo, di opposizione al genocidio degli ebrei. L’intervento di Gianfranco Fini conteneva una frase di constatazione che è difficile contestare». Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, si dice d’accordo con le parole usate dal presidente della Camera nel suo intervento.
Fini ha criticato la società italiana dell’epoca che non ebbe la forza di reagire e ha tirato in ballo anche la Chiesa cattolica. Perché le sue parole sollevano polemiche e fanno discutere?
«Credo che queste polemiche siano inutili, siano il frutto di posizioni aprioristiche. Queste posizioni che non servono. Quello che serve piuttosto è un approfondimento di carattere storico sul molo avuto dalla Chiesa. Devono ancora essere aperti degli archivi da cui possono emergere ulteriori elementi di verità: se si riuscisse a portare avanti gli studi sugli archivi si potrebbe forse arrivare ad avere una memoria condivisa. La ricerca storica deve essere approfondita, senza preconcetti e senza tesi precostituite».
Chi critica le parole del presidente della Camera sostiene che invece ci fu una condanna da parte della Chiesa e una reazione alla promulgazione delle leggi razziali. Quale è la sua opinione?
«La reazione all’antisemitismo avvenne a livello individuale. C’è stata un’opera di salvataggio degli ebrei da parte di singoli cattolici e le iniziative di alcune istituzioni, ma quello che non è mai stato pubblicato finora è un’esplicita e ufficiale condanna del nazismo e del genocidio da parte della Chiesa di allora».
Paola Coppola – La Repubblica – 17 dicembre 2008

Luzzatto: Se vuole provare il contrario il Vaticano tiri fuori le carte
«Invece di contestare le affermazioni, del tutto condivisibili, della terza carica dello Stato, il Vaticano farebbe meglio a rendere pubblici dei documenti che dimostrino il contrario. Ma se non l’hanno fatto fino ad oggi, dubito che lo faranno in futuro». A sostenerlo è una delle figure più autorevoli dell’ebraismo italiano: Amos Luzzatto, già presidente dell’unione delle comunità ebraiche italiane.
Professor Luzzatto, come valuta le affermazioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini. sull’adeguamento della Chiesa alle Leggi razziali?
«Nel merito condivido il giudizio formulato dal presidente della Camera. Quello dei silenzi e delle ambiguità della Chiesa sulle Leggi razziali, è un problema che personalmente ho sollevato più volte, ricordando in particolare che già all’uscita dei provvedimenti razziali emanati dal regime fascista, l’unica sostanziale espressione di condanna del Vaticano è stata rilevare che quei provvedimenti antisemiti erano un vulnus al Concordato, perché contrastavano la validità dei matrimoni religiosi fra ariani e non ariani. Altre proteste ufficiali, tranne la frase di Pio XI “siamo tutti spiritualmente semiti” non ne conosciamo. E questa è li premessa per il più duro e tragico silenzio durante lo sterminio. Mi lasci aggiungere che ritengo molto importante che questo severo e fondato, giudizio sull’atteggiamento reticente della Chiesa verso le Leggi razziali, sia stato formulato dalla terza carica dello Stato».
Resta la contrarietà della Santa Sede.
«Mi ascolti bene: il giorno che il Vaticano potesse o volesse produrre documenti che dimostrino il contrario da quanto ricordato da Fini, quel giorno sarei l’uomo più felice sulla terra. Ma se finora quei documenti non li hanno prodotti, temo proprio che non ce ne siano».
Insisto. Radio vaticana ha contestato come non vere» le considerazioni dei presidente della Camera.
«Lo ribadisco: invece di gridare alle bugie, che tirino fuori documenti contrari. Non basta indignarsi. Si è detto che Pio Xl aveva fatto preparare una enciclica sull’unità del genere umano. Sta di fatto che quella enciclica non è mai stata pubblicata. E a proposito di silenzi, vorrei dire un’ultima cosa…».
Quale, professor Luzzatto?
«In una occasione così solenne come quella di oggi (ieri, ndr.) mi sarei atteso che a parlare fosse qualche personalità di primo piano della Santa Sede. Così non è stato, e di ciò me ne rammarico. Perché dimostra che quel vulnus non è venuto meno, 70 anni dopo».
Umberto De Giovannangeli – L’Unità – 17 dicembre 2008

Quell’enciclica antirazzista che non vide mai la luce
Fini ha detto la verità storica, sostenuta da De Felice, la Chiesa risponde per la sua coda di paglia, e le conseguenze sulla beatificazione di Pio XII. Fini ha parlato del 1938 e la Chiesa restò muta, o meglio si interessò del matrimonio paolino, cioè dei cristiani figli di un solo genitore ebreo; un problema razziale/biologico ma non della carica di antiebraismo insita nella legislazione razzista. Pio XI nel ‘39 si convinse che sul razzismo biologico la Chiesa doveva intervenire e preparò un’enciclica, che non vide mai la luce per la morte del Pontefice, e la riluttanza del suo successore ad emanarla. Chiamare in causa Riccardi e il suo libro sull’occupazione tedesca di Roma, con il corollario di salvataggi nei conventi è fuorviante perché sposta l’attenzione dalla legislazione del ‘38 alla persecuzione fisica dell’epoca nazista-repubblichina di cinque anni successiva. E’ vero che le leggi razziste antiebraiche scivolarono sul popolo italiano come acqua fresca, è vero anche però che i benpensanti cominciarono ad interrogarsi sulle conseguenze dell’alleanza col nazismo, e addirittura sulla sanità mentale del Duce (vedi lo stesso Ciano). Con l’occupazione tedesca di Roma cominciò quel riaffiorare del buonismo italiano che col rifiuto del fascismo porto’ tante persone normali a divenire “giusti” tra questi anche molti religiosi e cattolici praticanti. Non ho letto il libro di Riccardi, ma spero che emerga, accanto alla decisione pontificia di agevolare l’apertura dei conventi agli ebrei, anche la passione personale, la disponibilità al rischio di tante persone normali, comprese tante suore, cioè nulla di politico, solo compassione umana.
La politica vaticana dal ‘33 in poi fu sempre quella di non entrare in contrasto con le forze anticomuniste, e quindi di silenziosa acquiescenza, e anche il salvataggio fu silenzioso.
Che il silenzio fosse una strategia non lo si può sostenere senza documentarlo. Aprite gli archivi hanno giustamente detto Amos Luzzatto e Renzo Gattegna. Aprite gli archivi, così potremo (ri)scrivere la storia se necessario. Fino ad ora però i documenti ci dicono:
a) Che la legislazione del ‘38 passò senza alcun intervento del Pontefice (Pio XI)
b) Che gli attacchi della rivista Civiltà cattolica all’ebraismo furono rinnovati nel’38 anche dal Governo fascista
c) Che l’enciclica contro il razzismo preparata da Pio XI, con Pio XII non vide la luce
d) Che Pio XII non condannò mai pubblicamente Hitler e il nazismo
e) Che Pio XII durante la guerra e lo sterminio s’interessò dei sofferenti, ma non pronunciò mai la parola ebreo
f) Che le istituzioni cattoliche in Italia parteciparono attivamente al salvataggio degli ebrei dalla deportazione (e un poco anche altrove in Europa).
Un bilancio un po’ troppo magro, mi pare.
Anselmo Calò, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – Moked.it

Eludere le responsabilità, un cattivo servizio alla Chiesa
Lungi dal voler entrare in una polemica che vede contrapporre al Presidente della Camera Fini, ad esempio da parte di “Civiltà Cattolica”, il sospetto di “cercare un correo a delle responsabilità che il presidente Fini vuole in parte coprire” e che “fanno parte della sua storia”, non può passare certamente inosservato il ragionamento schiettamente e coraggiosamente esposto dalla terza carica dello Stato nel ricordare il settantesimo delle infami leggi razziste del 1938.
Non appare però un buon servizio alla storia italiana ed alla Chiesa stessa cercare di eludere, come alcuni sembrano ancora voler fare , gli scomodi confronti con le responsabilità del passato, responsabilità che rendono invece ancor più rilevante il coraggioso insorgere, nella società civile come negli ambienti cattolici, di quanti si opposero al regime e rischiarono in prima persona anche per aiutare i perseguitati, meritando poi il riconoscimento di Giusti.
Gadi Polacco, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – Moked.it

Un patrimonio non nostro, ma dell’Italia intera
Alla cerimonia di Montecitorio per la commemorazione dei 70 dalle leggi razziste del 1938 ho avvertito una svolta storica. La possibilità che la Memoria come patrimonio esclusivo e la sua trasmissione come compito e necessità non sia più solo degli Ebrei, ma diventi anche patrimonio dello Stato, costituendo un antidoto alle discriminazioni e alle tentazioni autoritarie per il futuro e in ultima analisi, a mio avviso, uno strumento per la difesa e la valorizzazione della Libertà e della Democrazia.
Riccardo Hofmann, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – Moked.it

La Chiesa assecondò l’allontanamento degli ebrei
Un po’ di chiarezza e uno spunto di riflessione sulla recente ennesima polemica su leggi razziali e Chiesa cattolica. E’ vero che la Chiesa si oppose al razzismo; il razzismo sottolineava le differenze tra i gruppi mentre secondo la dottrina cattolica ogni essere umano, ebrei compresi, ha diritto alla salvezza che la Chiesa annuncia. Ma questo non vuol dire che per la Chiesa fosse ingiusto allontanare gli ebrei dalla società, per “proteggerla”, come veniva fatto dalle leggi razziali; era una cosa che la Chiesa aveva sempre fatto nei secoli e alla quale non si oppose nemmeno nel 1938. In quell’occasione ci fu in realtà un gesto forte da parte del papa (Pio XI) che scrisse di persona al re e a Mussolini chiedendogli di modificare un unico articolo, quello che riguardava i matrimoni misti celebrati da un prete e di cui le leggi razziali negavano la validità. Solo per questo articolo (considerato un “vulnus” del concordato) ci fu la protesta, il resto andava bene. E’ interessante notare che di tutte le norme delle leggi razziali quella sull’abolizione della validità del matrimonio misto forse era l’unica che avrebbero approvato tutti i rabbini italiani, mentre fu l’unica per cui la Chiesa protestò. Anche perché un ebreo che si sposa davanti a un prete è, per dirla con le parole della recente versione dell’oremus pasquale, un cuore che comincia a illuminarsi.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma – Aleftav – l’Unione informa 18 dicembre 2008

Dialogare con chi non ascolta e chiudere la porta a chi vuole ascoltare è solo una manifestazione di pregiudizio
Il Presidente della Camera Gianfranco Fini si è fatto tirare le orecchie dalla Chiesa Cattolica per averne ricordato l’atteggiamento ambiguo (e in taluni casi connivente) con le leggi razziali. Chissà se questo basterà a considerarlo soggetto degno di dialogo oppure resterà irrecuperabile, in quanto le sue affermazioni sono tardive e scontate. C’è chi sostiene che il dialogo va fatto comunque, anche con Hamas o con quel “moderato” negoziatore dell’Autorità Palestinese (Abu Ala) secondo cui a Gerusalemme non c’è mai stato un Tempio e anzi non c’è mai stata alcuna presenza ebraica (la Torah deve essere un falso dei sionisti), ma poi si mostra particolarmente intransigente con altri soggetti. Bisognerebbe ricordare che il dialogo non compromette mai e va fatto con chiunque, purché sia confronto sincero basato sull’ascolto dell’altro. Se da una parte almeno non c’è ascolto e si fanno soltanto asserzioni apodittiche, allora non c’è neppure rispetto e il dialogo è impossibile. Anzi non c’è proprio. Ma dialogare con chi non ascolta e chiudere la porta in faccia a chi vuol ascoltare è soltanto manifestazione di pregiudizio.
Giorgio Israel, storico della scienza – Aleftav – l’Unione informa 18 dicembre 2008

L’infamia del 1938: i silenzi e i ripensamenti della Chiesa
Un’affermazione di Gianfranco Fini alla Camera il 16 dicembre scorso continua a sollevare polemiche. Vediamo cosa ha detto: “Alla legislazione antiebraica […], salvo talune luminose eccezioni, non [si sono] registrate manifestazioni di particolare resistenza. Nemmeno da parte della Chiesa cattolica”. Tali parole quindi concernono le leggi antiebraiche, non il razzismo o l’antisemitismo in quanto tali, nonché una “resistenza particolare”, non una semplice disapprovazione. E la “luminosità” di alcuni non esclude il loro essere fedeli cattolici o esponenti cattolici Ascoltando quelle parole, mi sono tornate in mente delle altre parole, scritte sul fascicolo del 20 settembre 2008 della Civiltà Cattolica da Giovanni Sale: “Per motivi prudenziali la Santa Sede però organizzò il suo attacco contro la nuova legislazione discriminatoria non facendo riferimento a motivazioni di ordine ideale, fondate sul diritto naturale – come, ad esempio, il diritto di tutti gli uomini a non essere discriminati per motivi di razza o di religione, allo stesso modo in cui in diverse occasioni aveva fatto Pio XI –, ma facendo leva sul proprio armamentario giuridico” (pag. 468). Di là da alcune diversità, mi sembra che non vi siano vere e proprie divergenze tra Sale e Fini (né tra loro due e le interpretazioni della maggior parte degli storici): non vi furono terzi impegnati nella difesa dei diritti degli ebrei (conculcati dal fascismo). Quindi perché le polemiche di questi ultimi giorni, condotte anche dallo stesso Sale?
Michele Sarfatti, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Milano – Moked.it

C’è chi pensa di essere al di sopra della Storia
Le reazioni all’intervento del Presidente della Camera on. Gianfranco Fini sono state stizzite. Qualcuno, per esempio, ha detto che ci sono state suore e preti che hanno fatto opera di soccorso e hanno salvato ebrei. Laddove ci fu, fu un atto meritorio, intrapreso a rischio della propria incolumità che va ricordato, con tutto il rispetto che si deve ai “giusti”.
Il 1938, tuttavia, non era eguale al 1943. Nel 1938 all’ordine del giorno c’era la discriminazione e non la persecuzione delle vite. Confonderle significa dare risposte fuori tema. Per due motivi.
1) Il silenzio della Chiesa del 1938-1943 riguarda il fatto che da parte della Chiesa non ci furono obiezioni all’impianto culturale delle leggi razziali. Il soccorso non c’entra.
2) Anche volendo riferirsi all’opera di soccorso, il comportamento di singoli individui “non salva” l’istituzione a cui essi appartengono.
La questione dunque rimane inevasa.
La storia, infatti, non guarda in faccia nessuno e quando pone domande pretende risposte pacate, articolate, documentate e argomentate. In ogni caso la storia si fa con i documenti, non si fa con le affermazioni di principio.
Fare gli offesi, è la risposta di chi pensa di essere al di sopra della storia. A esser pignoli non è nemmeno una risposta. E’ la pretesa, da parte di coloro che pensano di avere sempre ragione e di essere sempre dalla parte della ragione, di ridurre al silenzio tutti gli altri in nome del rispetto dovuto.
Un atteggiamento che esprime la mentalità di chi esclude il diritto di replica agli altri e ritiene di avere sempre il diritto all’ultima parola.
David Bidussa, storico sociale delle idee – Aleftav – l’Unione informa 21 dicembre 2008

“Pio XII tacque. La Storia non si può riscrivere”
«Non abbiamo intenzione di entrare nella vicenda della beatificazione di Pio XII, non è affare del mondo ebraico. Ma se la si vuole fare per descriverlo alla Storia quale non è, questo non lo possiamo accettare». Lo ha dichiarato il Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, in un’intervista televisiva. Pacifici ha ricordato che Pio XI «combatte il nazismo» e «nel 1937 fa un’enciclica in tedesco perché vuole combattere il nazismo, che rappresenta in quel momento un’ideologia pagana che minaccia la Chiesa cattolica. Poi si attiva per condannare i provvedimenti sulla razza ariana», anche se, secondo il presidente della Comunità ebraica romana, non tanto «per la parte della discriminazione degli ebrei». «Sta per realizzare un enciclica in difesa degli ebrei, quando muore – aggiunge – e Pio XII non fa nulla per proseguire nell’opera, rimane in silenzio». Insomma, sostiene, «non ci sono prove» di nessun genere che Papa Pacelli si sia opposto alle leggi razziali, di suo pugno, sottolinea, «non c’è una riga di condanna» su quelle leggi, che, conclude Pacifici, «più che razziali definirei razziste».
Pacifici si è detto d’accordo con le dichiarazioni di Fini, perché il presidente della Camera “ha espresso una verità storica incontrovertibile”. “Non posso permettere che la terza carica dello Stato sia offesa così da un Paese straniero, quale il Vaticano, che deve delle scuse”. “Se vogliamo invece giudicare gli uomini di chiesa, come preti, suore, conventi, abbiamo un elenco infinito di giusti perché a rischio della loro vita salvarono ebrei – ha aggiunto Pacifici – però ci sono stati altri conventi che invece quelle porte le hanno aperte solo dietro pagamento e hanno messo fuori tanta gente che non aveva soldi”.
Il Cdec di Milano presidio insostituibile
Sono giornate intense, queste, per Michele Sarfatti, direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (Cdec), storico e autore di numerose opere sulle vicende degli ebrei durante il Fascismo e sulla Shoà in Italia. Lo studioso (nell’immagine in una delle sale degli archivi della Fondazione) è intervenuto alla Commemorazione del settantesimo anniversario della promulgazione delle Leggi razziste a Montecitorio. Domani, martedì 23 dicembre, sarà protagonista alla Biblioteca Sormani di Milano di un convegno dedicato ai 70 anni dalle leggi del 1938. Dopo la miccia accesa dal Presidente Fini in occasione dell’intervento alla Camera, il telefono sulla sua scrivania dello studioso, ricoperta e circondata da carte e faldoni (più che in un ufficio ci troviamo in un archivio) non smette di squillare.
Sarfatti, che significato ha oggi questo evento storico che col passare del tempo appare sempre più lontano, con la scomparsa dei testimoni diretti?
Innanzitutto vorrei precisare che non ritengo appropriato utilizzare il termine “razziale” quando si discute di queste leggi al di fuori del contesto prettamente storico. È una parola troppo neutrale, che richiama un concetto naturale. Preferisco il termine razziste o antiebraiche.
Le testimonianze su ciò che accadde in quegli anni non mancano in innumerevoli forme, libri, film, documentari… Non siamo noi Ebrei a rischiare di dimenticarlo.
È di tutto il resto della società che dobbiamo preoccuparci. Soprattutto delle giovani generazioni. In Italia si è cominciato a parlare della persecuzione piuttosto tardi, e questo ha ostacolato l’elaborazione di una coscienza collettiva delle atrocità che si perpetrarono che è presente invece in altri paesi.
È dagli anni Ottanta che lavoriamo perché si crei una consapevolezza di tutto questo, e per consapevolezza intendo una combinazione di memoria e conoscenza.
Che cosa ha fatto il Centro di documentazione ebraica contemporanea per raggiungere questo risultato?
Il Cdec svolge tre importanti funzioni: raccoglie tutto il materiale sull’ebraismo in Italia e in particolare sulla Shoà, lo elabora, e lo mette a disposizione della conoscenza di tutti coloro che lo richiedono.
Abbiamo conseguito dei risultati importanti, come la pubblicazione de “Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia 1943-1945” a cura di Liliana Picciotto Fargion (Mursia, Milano 1991 e 2002), in cui sono raccolti i nomi, e soprattutto le storie e le identità di tutti gli ebrei deportati dall’Italia, oppure la creazione del sito www.osservatorioantisemitismo.it strumento di monitoraggio degli accadimenti antisemiti in Italia e in Europa.
Lei ha fatto riferimento alle giovani generazioni. Pensa che si possa spiegare ai ragazzi l’antisemitismo come qualcosa che coinvolge anche loro, al di là della scuola e dei libri?
Penso che questo sia possibile puntando su episodi specifici, vicini a quelle che sono le loro esperienze. Mostrare le circolari scolastiche che discriminavano gli studenti come loro. Raccontare di Arpad Weistz, allenatore ebreo ungherese che portò allo scudetto Inter e Bologna, prima di essere espulso dall’Italia e di morire infine ad Auschwitz. Questa può essere la chiave giusta per catturare la loro attenzione.
Quanto riesce il Cdec a raggiungere il pubblico per trasmettere queste testimonianze?
Siamo senz’altro un punto di riferimento per chi ci conosce e si occupa del settore.
Per quanto riguarda la comunicazione al grande pubblico e agli studenti c’è invece molto da lavorare. Per esempio la mostra sulle leggi antiebraiche che allestiamo nelle scuole è richiesta ogni anno da alcune decine di istituti, troppi rispetto alle nostre capacità, ma in assoluto decisamente troppo pochi.
È necessario un maggiore impegno da parte nostra, ma anche reperire più fondi, specialmente da fonti al di fuori dell’ambiente ebraico. Attualmente, infatti, sono proprio le istituzioni degli ebrei italiani che mettono a disposizione la maggior parte dei contributi.
Torniamo alla cerimonia del 16 dicembre e alle parole dell’on. Fini. Si aspettava un intervento del genere? Cosa pensa delle polemiche scaturite?
Sinceramente no. Pensavo sarebbe stato un discorso di circostanza, invece si è trattato di una rievocazione precisa e storicamente esatta.
È innanzitutto necessario distinguere tra ciò che accadde dal 1938 all’8 settembre 1943 e quello che avvenne dopo. Per salvare la vita degli ebrei in molti casi i conventi si aprirono. Ma davanti alla privazione dei loro diritti e alla persecuzione, che in fondo la Chiesa stessa perpetrava fino a pochi decenni prima (la piena emancipazione degli ebrei di Roma avvenne nel 1870 con la conquista del neonato stato italiano ndr) essa invece non reagì. Gli ebrei si ritrovarono soli. Ed è necessario che tutti ne prendano atto.
Collegandosi a questo discorso, qual è il suo giudizio sulla polemica tra la Santa Sede e il museo dello Yad Vashem in merito alla figura di Pio XII e sulla sua eventuale beatificazione?
Ciò che c’è scritto su quel pannello (in cui si fa riferimento al silenzio del Papa e alla mancanza di linee guida ndr) è esatto. Quello che qui in Italia non capiscono è che il riferimento al Pontefice non riguarda semplicemente il suo operato rispetto a tremila ebrei italiani, ma a tre milioni di ebrei polacchi e agli altri tre milioni provenienti da tutta Europa, che perirono nei lager nazisti. Pio XII non intervenne. Nel 1942 si rifiutò di firmare la dichiarazione degli Alleati che condannava lo sterminio degli ebrei. Tutto questo con i documenti a disposizione oggi è incontrovertibile. Quello che i giornalisti non raccontano è che, sempre allo Yad Vashem, due pannelli più in là, viene narrato come centinaia di Ebrei trovarono scampo presso gli istituti religiosi di Assisi. Non si vuole negare il fatto che tanti ebrei furono salvati grazie a sacerdoti e suore. Ma è necessario fare delle distinzioni. Ritengo che la beatificazione sia una questione interna alla Chiesa, in cui nessun altro possa interferire. Ma allo stesso tempo tutti devono poter esprimere la loro valutazione. E non credo che Pio XII potrà mai essere un “Giusto tra le Nazioni”.
Rossella Tercatin – Moked.it

Chiesa e leggi antiebraiche: i punti fondamentali
Alla luce della dottrina esplicitata nell’Enciclica, mai pubblicata, Humani Generis Unitas antirazzista ma non anti-antisemita, voluta da Pio XI, e degli articoli comparsi sulla stampa cattolica, la Chiesa non era avversa all’idea di una legge di “contenimento” e di segregazione degli ebrei nei paesi cattolici in generale e in Italia in particolare. Il modello era l’Ungheria, paese che aveva emanato il 29 maggio 1938 una legge per ” riequilibrare la vita sociale ed economica del paese”, eufemismo per dire che gli ebrei sarebbero stati messi ai margini della società. Padre Enrico Barbera nel suo lungo articolo su Civiltà Cattolica del luglio del 1938 dal titolo La Questione dei giudei in Ungheria accolse con entusiasmo la legge ungherese tesa a considerare l’ebraismo come un corpo estraneo alla nazione magiara e a preservare l’identità nazionale da una eccessiva influenza ebraica. Si trattava dell’applicazione di un antigiudaismo nazionale “non esagerato” e privo delle connotazioni razziali, auspicate invece dalla dottrina nazista.
Diversamente dall’Ungheria, il regime fascista, nella primavera del 1938 stava maturando un antisemitismo di qualità razzista che non poteva essere gradito alla Chiesa. Le carte vennero allo scoperto con il documento Il fascismo e i problemi della razza, (noto come Manifesto degli scienziati razzisti) del 14 luglio 1938, verso cui Pio XI dimostrò un’avversione profonda, anche se non condivisa del tutto dai suoi collaboratori. Il suo discorso antirazzista e antimussoliniano (“come mai disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare ad imitare la Germania” ) del 28 luglio 1938 agli alunni del Collegio “De Propaganda Fide” fu riportato dall’Osservatore Romano il giorno successivo. Mussolini reagì con un piccato discorso, risuonato con ampiezza su tutta la stampa (”Sappiate, ed ognuno sappia, che anche nella questione della razza noi tireremo diritto. Dire che il Fascismo ha imitato qualcuno o qualcosa è semplicemente assurdo”) e fece ordinare, tramite il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri ai quotidiani e ai periodici cattolici di astenersi “da ora in poi di pubblicare l’allocuzione pontificia del 28 luglio” e di” pubblicare articoli contro il razzismo, anche se tale opposizione sia soltanto contro il razzismo tedesco”.
Ordinò anche al suo Ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, di convocare il Nunzio Borgongini Duca per manifestargli la sua irritazione e per esporgli i motivi della politica razziale, nell’Impero contro i neri, e in Italia contro gli ebrei.
Il 5 settembre, uscì il decreto legge con il quale si sanciva l’espulsione degli ebrei dalle scuole e il 7 settembre il decreto legge per l’espulsione degli ebrei stranieri dal suolo italiano. In ambedue le leggi, il testo diceva che era considerato ebreo chi fosse nato da genitori ebrei, anche se professava religione diversa da quella ebraica.
Le leggi di eccezione, condivisibili dalla Chiesa se formulate alla maniera Ungherese, non lo erano più se, come sembrava dai primi due decreti-legge, erano giustificate dall’idea razzista. La razza ora sembrava prevalere sulla religione professata: se un ebreo si fosse convertito al cattolicesimo, sarebbe stato considerato dallo Stato egualmente ebreo, vanificando la dottrina stessa della Chiesa tesa alla conversione degli ebrei come soluzione ultima della “questione ebraica”.
La Chiesa aveva una sua propria tradizione antiebraica che perseguiva i propri scopi e rispondeva a sue proprie esigenze, non aveva nessuna intenzione di abbracciarne ora un’altra.
In questo spirito si colloca il discorso papale del 6 settembre 1938 ricevendo un gruppo di pellegrini belgi, nel quale Pio XI pronunciò la famosa frase “Spiritualmente, noi siamo dei semiti”. Vediamo meglio di che cosa si tratta. Il passaggio, per intero suona così: “[…] Fate attenzione: Abramo è nostro patriarca, nostro antenato. L’antisemitismo non è compatibile con il pensiero e la forma sublime che si trova in questo testo [preghiera Supra quae propitio, pronunciata durante la Messa]. E’ un movimento antipatico, un movimento col quale noi cristiani non dobbiamo avere niente a che fare. […] No, non è possibile per i cristiani prendere parte all’antisemitismo, noi riconosciamo a chiunque il diritto di difendersi, di procurarsi i mezzi per proteggersi da tutto ciò che minaccia i suoi legittimi interessi. Ma l’antisemitismo è inamissibile. Spiritualmente, noi siamo dei semiti”. Il Papa qui esprime la sua netta condanna all’antisemitismo puramente razzista, non certo all’antigiudaismo, cioè l’ostilità antiebraica tradizionale della Chiesa e, addirittura, pronuncia una frase riferita alle leggi antiebraiche, come un diritto dello stato a difendersi (evidentemente dal pericolo giudaico).
Ciò che il Papa non ammetteva era solo il razzismo e, nel razzismo, anche il razzismo antisemita, operando una netta distinzione tra quello che lui chiamava antisemitismo (non accettabile) e l’antigiudaismo (accettabile e anzi auspicabile, se gestito dalla Chiesa). Ciò che oggi, dopo la shoah, sembra un puro giro di parole, era una ferma idea della Chiesa, idea sulla quale essa era pronta a dare battaglia.
Il 7 settembre, il Papa fece sapere, tramite Padre Tacchi Venturi, di essere preoccupato e due giorni dopo gli dava incarico di farlo sapere a Mussolini (” il Santo Padre come italiano si contrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano, per aprire le porte o le finestre a un’ondata di antisemitismo tedesco”).
Nel frattempo negli ambienti diplomatici vaticani circolavano voci che preannunciavano il proposito di vietare i matrimoni misti tra ariani e non ariani. La cosa, questa volta, allarmò la Santa Sede poiché, secondo l’articolo 34 del Concordato, i matrimoni religiosi venivano trascritti automaticamente nei registri di stato civile, anche se celebrati “con dispensa per disparità di culto” cioè quelli di un cattolico con un ebreo. Se ora lo Stato, in virtù delle leggi razziste, proibiva questi ultimi matrimoni perché interpretati secondo la nuova ottica di matrimoni tra “ariani” e “non ariani”, un contrasto fortissimo si profilava all’orizzonte. Ma c’era ancora di più, un altro caso di matrimonio “misto” , quello di un cattolico con un ex ebreo che si fosse previamente convertito al cattolicesimo, era molto ben visto dalla Chiesa ed era ora a rischio.
Malgrado il disappunto vaticano, il Gran Consiglio del Fascismo riunitosi la sera del 6 ottobre 1938, emanò le Dichiarazioni sulla razza il cui primo enunciato fu proprio il divieto di matrimoni di italiani e italiane con elementi appartenenti alle razze camita, semita e altre razze non ariane.
Le Dichiarazioni del Gran Consiglio erano destinate a essere tradotte in legge e, allora, si sarebbe forzatamente dovuto prendere in considerazione l’art.34 della legge 27 maggio 1929 che regolava il riconoscimento civile del matrimonio religioso. Il Papa decise di farne cenno sull’Osservatore Romano dell’8 ottobre 1938 in attesa che il governo italiano chiedesse di trattare.
Poiché ciò non avveniva, il 19 ottobre 1938, Pio XI chiese al Nunzio in Italia Borgongini Duca di stendere due promemoria, uno circa la questione di trattare gli ebrei sotto il profilo della razza, l’altro, sui matrimoni tra ariani e non ariani.
Si sottolinea come la cosa inquietante per la Chiesa non fosse l’idea di una nuova legislazione che metteva gli ebrei nella condizione di sudditi privi di diritti civili, cosa sulla quale essa non aveva da eccepire. L’oggetto del contendere si limitava alla definizione di ebreo, sulla base dell’inaccettata ideologia razzista e, ancor più, alla regolamentazione dei matrimoni “misti”, che non salvava il principio della conversione.
Mentre la questione della definizione di ebreo, era squisitamente di ordine politico e il malcontento della Chiesa poteva solo essere espresso con forza e nulla più, quello dei matrimoni misti coinvolgeva uno degli accordi siglati tra Stato e Chiesa, accordo che la Chiesa aveva elaborato in base al proprio diritto canonico. La Chiesa non poteva negare ora, per fare piacere a Mussolini, le basi del proprio diritto canonico che accettava per l’appunto: a) il matrimonio tra un ebreo che rimaneva ebreo e una cattolica, in presenza dell’impegno ad educare cattolicamente la prole e dietro speciale dispensa (matrimonio detto comunemente paolino), b) il matrimonio tra un ebreo convertito al cattolicesimo e un cattolico.
La Santa Sede dette battaglia su queste due questioni con particolare forza.
Malgrado le pressanti richieste vaticane di venire informati sul testo della legge, la Santa Sede ebbe modo di esaminarlo soltanto il 2 novembre 1938, quando Padre Tacchi Venturi ricevette dal Ministro dell’Interno Buffarini Guidi la parte del progetto di legge dal titolo Provvedimenti per la tutela della razza italiana riguardante i matrimoni (capo 1). Constava di otto articoli che furono esaminati con attenzione dai competenti organi ecclesiastici lo stesso giorno.
Solo l’articolo 7 conteneva una lieve concessione alle richieste della Chiesa cattolica, mentre il regime si era fissato nella proibizione del matrimonio tra cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza e nel considerare il matrimonio celebrato in contrasto con tale divieto, nullo.
Si era ormai alla rottura, il Pontefice non poté far altro, come extrema ratio, che rivolgersi, con una lettera, direttamente a Mussolini, allegandogli il testo del richiesto emendamento all’art.7
La cosa non sortì nessun effetto, il Capo del Governo non si degnò neppure di una risposta diretta e comunicò seccamente di non poter accogliere la modifica alla legge suggerita.
Il 5 novembre 1938, il Pontefice tornò alla carica con una lettera diretta al Re perché intervenisse. Anch’essa rimase senza risultato. Anzi Mussolini, offeso per la pressione esercitata dal Pontefice sul re, si mostrò ancora più rigido e inviò al re stesso il seguente telegramma: “Vostra maestà può rispondere al Papa dicendogli che copia della di lui lettera mi è stata rimessa e che ne sarà tenuto il massimo conto ai fini di una soluzione conciliativa dei due punti di vista i quali – aggiungo io – sono molto antitetici. Anche noi abbiamo già accettato due delle richieste pontificie; accettando la terza ne verrebbe vulnerata la legge. Tuttavia faremo il possibile per escogitare una soluzione media soddisfacente per tutti. E’ mia impressione che il Vaticano tiri alquanto la corda quando si tratta d’’Italia e molli completamente in altri casi. Desidero giungano alla Maestà vostra miei devoti omaggi”.
La notte tra l’8 e il 9 novembre Tacchi Venturi inviò a Mussolini un ultimo accorato appello. Ma ormai i giochi erano fatti, il 10 novembre il Papa apprese dai giornali della sera, e nemmeno per via diplomatica, della decisione del Consiglio dei Ministri di emanare i Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana che contenevano, tra le altre gravi leggi, il divieto di matrimoni misti, senza eccezione alcuna, cioè nella primitiva stesura, senza aver tenuto in alcun conto i desiderata del Papa.
La Santa Sede preparò allora una nota ufficiale di protesta, consegnata all’Ambasciata d’Italia il 13 novembre 1938 e un articolo per “L’Osservatore Romano” comparso il giorno 14 col titolo su due colonne A proposito di un nuovo decreto legge. La Gazzetta Ufficiale del 19 novembre successivo pubblicò il testo del decreto-legge 17 novembre 1938 senza tenerli in alcun conto.
Un accordo tra Stato e Chiesa non fu mai raggiunto, anzi le note di protesta del Vaticano continuarono ad essere elevate, senza cambiare in niente la sostanza della diatriba. Il 24 dicembre successivo, nell’allocuzione natalizia, Pio XI ringraziò Dio per la pacificazione religiosa, ringraziò anche il Re “e il suo “incomparabile Ministro” ma non mancò di denunciare nel contempo i maltrattamenti subiti dall’Azione Cattolica, “la sua beniamina” e per la ferita inferta al Concordato “proprio in ciò che va a toccare il santo matrimonio che per ogni cattolico è tutto dire”.
La Chiesa cattolica, di fatto, aveva perso la sua battaglia diplomatica e morale sul riconoscimento dei matrimoni misti da parte delle autorità civili.
Altre due questioni, sulle quali però non fu aperta una diatriba diplomatica, ma furono solo fatti fermi richiami, erano sgradite al Vaticano, una era il mancato riconoscimento da parte del governo dello status di cristianità (leggi arianità) per quegli ebrei che avevano fatto domanda di convertirsi al cattolicesimo prima del 1° ottobre 1938 ma che non erano stati ancora battezzati perché la loro educazione cattolica era ancora in corso, cioè erano dei catecumeni. La legge del 17 novembre 1938, n.1728 diceva infatti che non erano riconosciuti ebrei i nati da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, se al 1° ottobre 1938 appartenevano a religione diversa da quella ebraica. Ora la Chiesa chiedeva, ma invano, che i catecumeni fossero considerati appunto di religione diversa da quella ebraica perché cattolici in pectore.
L’altra questione sulla quale c’era disaccordo, era la difficile situazione in cui si trovavano di fatto le famiglie miste a causa di un capofamiglia (o dell’altro coniuge) colpito da leggi antiebraiche, tali famiglie erano 6.820 secondo una statistica del Ministero dell’Interno. La legge, basandosi sui principi razzisti, teneva conto per definire chi era ebreo solo della “qualità” dell’individuo alla sua nascita e non degli eventuali suoi successivi cambiamenti di religione Per la Chiesa invece, come già detto, gli ebrei battezzati erano cattolici a tutti gli effetti. La Santa Sede chiedeva in sostanza di assimilare le famiglie miste alle famiglie ariane. Su questo punto benchè anche il Ministro dell’Interno di Mussolini, Buffarini Guidi concordasse, non ci fu mai revisione. Il 2 settembre e il 4 ottobre 1939 e di nuovo il 26 luglio 1940, Buffarini propose per iscritto al dittatore di arianizzare i misti cattolici e di allontanare gradualmente dal territorio del Regno tutti gli altri.
In conclusione, possiamo dire che Pio XI assunse a) una decisa posizione contraria all’ideologia razzista (comprendendo in questa anche la forma del razzismo antisemita o dell’antisemitismo razzista) propugnata da nazisti e fascisti; b) che questo non significò non riaffermare la vecchia teologia antigiudaica che, anzi, fu riproposta con forza nella sua Enciclica Humani Generis Unitas (cosiddetta nascosta); c) che la principale questione sulla quale fu messo in campo un fiero confronto fu quella dei “matrimoni misti”, per l’evidente vulnus al Concordato che essa comportava; d) che la tutela dei cosiddetti cattolici “non ariani” (cioè degli ebrei convertiti) fu assunta dalla Chiesa fin dall’inizio con grande impegno.
Rimane da parlare, ed è un’altra storia, del vulnus portato agli ebrei con la legislazione d’eccezione emanata dal fascismo sul quale una discussione non fu accesa e degli ebrei rimasti ebrei, che non poterono usufruire della benevola attenzione della Chiesa cattolica.
Liliana Picciotto – Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Milano
Il testo è uno stralcio pubblicato in anteprima di uno studio ancora in corso di realizzazione che vede la collaborazione di Cdec Milano e Yad Vashem) – Moked.it

1938, terremoto in ateneo
Era il 20 dicembre 1938 quando il Senato varò senza batter ciglio le leggi antisemite la cui ricaduta immediata e più atroce fu la messa al bando degli ebrei da ogni posto pubblico. «Anche se specifica Roberto Finzi, professore ordinario di Storia Economica alla nostra Università e studioso appassionato di quel periodo storico la definizione di razza data dai fascisti dimostra una conoscenza molto sommaria della tradizione israelita perché si basa sulla paternità e non sulla trasmissione per via materna com’è invece indicato nei testi di riferimento di quel popolo. Ma siccome sarebbe stato più difficile ricercare le ascendenze femminili, ecco che si rifugiano in una generica giustificazione di tipo spirituale, arrivando al punto di colpire anche un fisiologo come Mario Camis che era addirittura un domenicano e potè prendere i voti senza abiurare». […]
Lorella Bolelli – Il Resto del Carlino Bologna – 20 dicembre 2008

L’offensiva neodogmatica
[…]E non a caso, nell’Italia clericale ma scristianizzata di oggi, abbiamo dovuto assistere a una reazione tanto stizzita dopo le parole di Gianfranco Fini sulla vergogna del 1938. Un’offensiva autoassolutoria che sarebbe stata impensabile solo qualche anno fa. Ho provato disagio di fronte alla raffica di dichiarazioni lanciate all’unisono da storici cattolici che pure avevano scritto pagine tutt’altro che reticenti quando il clima era diverso. A sentirli ora, irriconoscibili, è parso quasi che la vicenda delle leggi razziali non riguardasse la Chiesa, e anzi la Chiesa potesse andare orgogliosa del modo in cui si comportarono allora i suoi principali esponenti. Tale superba rappresentazione di sé medesima, aggravata dall’uso di parole sprezzanti nei confronti di chi osa metterla in dubbio,si scontra con una mole di documenti incontrovertibili e noti da tempo. Basterebbe rileggere la corrispondenza tra il gesuita Pietro Tacchi Venturi e il segretario di Stato della Santa Sede, Luigi Maglione, nelle settimane successive alla caduta dei fascismo. Quando gli alti prelati si adoperarono per evitare che Badoglio cancellasse in toto la normativa sugli ebrei, «la quale secondo i nostri principi e le tradizioni dellaChiesa cattolica ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma». Di fatto nel 1943 il Vaticano chiedeva solo la riabilitazione degli ebrei convertiti. Che gli altri restassero pure discriminati: le leggi razziali andavano corrette ma non soppresse. Del resto sette anni prima, il 14 e il 19 agosto 1938, l’Osservatore romano aveva pubblicato due articoli in cui dopo aver vantato le benemerenze accumulate dai papi in difesa degli ebrei nel corso della storia rivendicava le proibizioni cui essi venivano assoggettati, motivate non da ostracismo di razza , bensì dalla «difesa della religione e dell’ordine sociale, che si vedeva minacciato dall’ebraismo». Questi era il modo in cui la Chiesa pensò di reagire alla svolta razzista del regime. Perché stupirsene, visto che negli stessi giorni il governo Mussolini rassicurava per iscritto padre Tacchi Venturi con le seguenti, beffarde parole: “Gli ebrei non saranno sottoposti a trattamenti peggiori di quello usati loro per secoli e secoli dai papi”. Erano trascorsi meno di settant’anni dalla definitiva chiusura del ghetto di Roma. Oggi che il dialogo ebraico-cristiano è di nuovo ostacolato dalla pretesa teologica di conversione del popolo di Gesù , sarebbe bene che, invece di sbandierare una dura opposizione alle leggi razziali che purtroppo non c’è mai stata, gli uomini di Chiesa ricordassero la dottrina antigiudaica vigente nel 1938 (e sconfessata solo nel 1965): cioè l’accusa di deicidio con cui venivano spiegati diciannove secoli di discriminazioni. Tanto è vero che il Vaticano denunciava come perniciose le posizioni di leadership culturale assunte dagli ebrei nelle democrazie occidentali. Come stupirsi se poi la società italiana tollerò l’infamia delle leggi razziali? Tutto ciò è stato materia dolorosa di riflessione nella Chiesa cattolica da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II. Ma ora di nuovo scatta l’anatema. Contro Gianfranco Fini, inchiodato alle sue origini fasciste.
Gad Lerner – La Repubblica – 19 dicembre 2008

Quella coerenza di Fini
L’atteggiamento antiebraico esistente anche negli ambienti della Chiesa, ha contribuito al fatto che, durante gli anni del Terzo Reich, i cristiani non hanno opposto all’antisemitismo la resistenza necessaria. Vi sono stati tra i cattolici molte défaillances e colpe. Numerosi si sono lasciati sedurre dall’ideologia del nazionalsocialismo e sono restati indifferenti davanti ai crimini perpetrati contro gli ebrei. (…) Altri hanno prestato man forte ai criminali e sono divenuti essi stessi dei criminali. (…) La Chiesa che noi confessiamo come santa è anche una Chiesa peccatrice che ha bisogno di conversione». Queste frasi vengono dalla dichiarazione del sinodo dei vescovi cattolici tedeschi, in occasione del giubileo’ dell’apertura dei cancelli dei lager nazisti nel 1995. Bastano queste parole a confermare l’opportunità di quelle pronunciate da Gianfranco Fini in occasione del 70 anniversario delle leggi razziali fasciste. I circoli vaticani più miopi possono aggredire il Presidente della Camera quanto vogliono, ma non riusciranno a coprire una verità che neppure il più appassionato avvocato della causa di Pio XII potrà smentire: la soverchia maggioranza dei carnefici nazisti furono educati come cattolici e cristiani. Ma il vero merito della questione è un altro: riconoscere le proprie colpe, non cercare di occultarle o barattarle con buone azioni compiute in ambiti analoghi, non sminuisce né umilia, al contrario, migliora e rende più degni individui ed istituzioni. Questa visione della responsabilità morale, non si applica solo alla Chiesa ma ad ogni essere umano e ad ogni organismo ed istituto. Persino coloro che sono stati vittime, non possono per ciò stesso, pretendere assoluzioni d’ufficio se fanno oggetto di oppressione, violenza, vessazioni o indifferenza altri innocenti indifesi..
Moni Ovadia – L’Unità – 20 dicembre 2008

Il silenzio di Pio XII è questione morale della Chiesa, non della Sinagoga
Il silenzio di Pio XII di fronte alle leggi razziste del 1938 è questione morale della Chiesa, non della Sinagoga. Ma la custodia della memoria storica di Yad Vashem guadagnerebbe nell’affiggere accanto alla foto di Papa Pacelli il testo del telegramma di condoglianze di Golda Meir del 9 ottobre 1958 per ringraziarlo dell’aiuto dato agli ebrei.
Vittorio Dan Segre – Aleftav – l’Unione informa 23 dicembre 2008

La storiografia può esserci d’aiuto solo se non ha da piegarsi alle ideologie
Una ventina di anni fa la letteratura sulle legge razziali fasciste era ancora molto modesta. Oggi annoveriamo decine di libri e un gran numero di saggi e articoli. Quasi ogni aspetto della persecuzione degli ebrei da parte del regime fascista è stato sviscerato. Eppure c’è chi continua a sostenere che fu una cosa blanda, quasi umana, e chi sostiene, all’opposto, che le leggi razziali fasciste erano peggiori di quelle naziste. Da un lato c’è chi insiste sullo stereotipo “italiani brava gente” e chi dice che Pende era uguale a Rosenberg. Mussolini era antisemita. Invece no. C’è chi confonde l’antisemitismo con il razzismo. E dopo tanti saggi sull’atteggiamento della Chiesa si ricomincia a discuterne come se i documenti fossero ancora tutti da scoprire. Allora la storiografia non serve a niente? Rischia di non servire a niente quando viene piegata all’ideologia o strumentalizzata a fini politici.
Giorgio Israel, storico della scienza, l’Unione informa 26 dicembre 2008