…elezioni
Finalmente le elezioni son passate: ci rimettiamo gli occhiali da vista e si torna a guardare la vita come essa realmente è. E possiamo tornare a ragionare su certe cose delicatine. La candidatura di una cittadina italo-israeliana alla competizione elettorale italiana, ha costretto a qualche riflessione, fra le quali quelle già sollevate da Sergio Della Pergola e da Anna Foa. Aggiungiamone qualcuna che possa servirci per l’equilibrio delle nostre rispettive posizioni. Ci lamentiamo spesso e giustamente della confusione che spesso si ingenera, in menti che possono anche essere in buona fede, fra il nostro essere ebrei e il nostro essere italiani; fra il nostro essere ebrei e il nostro non essere necessariamente israeliani. Fra il nostro essere ebrei italiani e il nostro essere sempre vicini a Israele, anche se con i debiti distinguo. Questa confusione, lo sappiamo per vita vissuta, è spesso strumentalizzata per alimentare la convinzione che l’ebreo sia una quinta colonna all’interno dello stato, un cittadino inaffidabile, pronto a tifare per una squadra di calcio israeliana piuttosto che per una italiana – perché è questa, qui da noi, la misura del peggiore ‘tradimento’. È antisemitismo d’accatto, ma fa male lo stesso. Ci sarà da sorprendersi allora se qualcuno si creerà l’idea che un ebreo israeliano che si fa eleggere al parlamento italiano è una quinta colonna all’interno dello stato, i cui soli argomenti di discussione saranno Israele e l’antisemitismo? Il problema, si potrà dire, riguarda tutti gli inutili rappresentanti degli italiani all’estero. Giusto. Ed è per questo che ogni tanto a noi toccherebbe essere un po’ più reali del re, con un goccino di sensibilità etica in più. Un’etica, poi, che non si confondesse con l’etica-a-corrente-alternata del sistema berlusconiano. Noi non ci vergogniamo di sostenere Israele, ma con spirito e coscienza sempre ostinatamente etici.
Dario Calimani, anglista
(26 febbraio 2013)