Qui Milano – Jewish and the City, tradizione e scienza

Dalla Creazione alla Creazione. Evoluzione e tradizione a confronto all’Università statale di Milano nell’ultima giornata di Jewish and the City. Spaziando da Darwin alla lettura della complessità del rapporto che diede nei suoi scritti Primo Levi, ne hanno discusso lo scrittore Domenico Scarpa, consulente del Centro Internazionale di Studi che porta il nome del grande intellettuale torinese, rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico italiano e membro del Consiglio nazionale delle ricerche, Giulio Giorello, professore di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano, moderati dalla giornalista scientifica e membro del comitato promotore Daniela Ovadia. A offrire al pubblico le parole di Primo Levi sul tema, dando lettura di alcuni brani da lui firmati, Miriam Camerini, attrice e regista. Grande successo di pubblico in Università Statale per l’incontro scientifico nell’ambito del Festival Jewish and the City, organizzato n collaborazione con il Centro studi Primo Levi di Torino,, che ha affrontato il tema dei rapporti tra ebraismo ed evoluzione, tra pulsioni creazioniste ed evidenze scientifiche.
A fornire la trama intorno alla quale si è organizzato il dibattito, moderato dalla giornalista scientifica Daniela Ovadia, il racconto di Primo Levi “Il fabbro di se stesso”, contenuto nella raccolta di racconti scientifici “Vizio di forma” e letto in sala dalla regista e performer Miriam Camerini.
“Il Levi scrittore di scienza è anche il Levi testimone della Shoah” ha spiegato Domenico Scarpa, consulente editoriale del Centro Primo Levi. “Nel racconto, infatti, immagina un uomo che narra la propria evoluzione biologica come autodeterminata. Dopo Auschwitz, Levi non riesce più a immaginare un Dio provvidente, ma solo un uomo che fa di sé ciò che desidera e che termina il proprio percorso di mutazione con la creazione delle armi”.
Giulio Giorello, filosofo della scienza e docente dell’Università Statale di Milano ha preso spunto dal testo narrativo per spiegare come la teoria della mutazione delle specie non preveda una direzione, un fine di perfezionamento, bensì un continuo adattamento all’ambiente sostanzialmente cieco e afinalistico.
Rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico italiano e ricercatore presso il CNR ha fornito al pubblico un excursus rapido ma esaustivo delle posizioni assunte dai vari rabbini nei confronti della teoria darwiniana sia nella fase iniziale della sua diffusione sia in tempi più recenti, rimarcando come nella stragrande maggioranza dei casi la discussione verta su aspetti marginali della teoria stessa, piuttosto che sulla sua sostanza, che viene comunemente accettata senza problemi grazie anche a una lettura dell Torah che non è, per tradizione, letterale.
“Tra una visione creazionista e una che vede Dio e la scienza viaggiare tra due binari paralleli che non si incontrano né si toccano, io propendo per una terza via: quella di un Dio che guarda il risultato di ciò che ha creato “a posteriori”, e decide se ciò che vede gli piace o meno. In questo senso non c’è contraddizione tra Dio e l’evoluzione, e nemmeno tra la fede ebraica e il concetto di casualità che la teoria stessa presuppone”. Ricollegandosi al tema del Festival, dedicato alla Shabbat, rav Di Segni ha continuato: “Esiste un’interpretazione del testo della creazione che attribuisce al racconto di Bereshit non tanto il valore di un libro di fisica o biologia, ma quello di costrutto narrativo tutto orientato a rendere possibile la nascita della Shabbat, il giorno in cui Dio si ritira dopo aver creato. La Creazione biblica, quindi, non sarebbe la chiave per comprendere la materia o gli esseri viventi, appannaggio questo della scienza, ma il presupposto che rende possibile il comandamento di osservare e ricordare lo Shabbat”.

(2 ottobre 2013)