I destini lontani di una famiglia europea

nel casoSi presenta domani alle 18, al Centro Bibliografico UCEI, il volume “Nel caso non ci rivedessimo” (ed. Archinto) di Giorgio Sacerdoti. Una commovente testimonianza dal vortice nero della Shoah, ricca di addentellati familiari, che riaffiora grazie all’impegno dell’autore, avvocato, docente universitario, consigliere UCEI e presidente della Fondazione CDEC di Milano. Con l’autore interverranno il giornalista Arrigo Levi e lo storico Lutz Klinkhammer. Introdurrà e modererà l’incontro Gisele Levy.

I destini lontani di una famiglia europea

“Nel caso non ci rivedessimo” sono le parole con cui Siegmund Klein, un ebreo tedesco rifugiatosi in Olanda dopo la Notte dei Cristalli si rivolge alla figlia Ilse in una lettera scritta il 16 ottobre 1943 da Amsterdam. Pochi giorni dopo Siegmund, la cui moglie Helène era morta da pochi mesi, sarà arrestato, portato a Westerbork e poi inviato ad Auschwitz. Aveva 69 anni, e di conseguenza finì direttamente alle camere a gas. La figlia Ilse, cui si rivolgeva la lettera, era in quel momento in Italia con il marito italiano, Piero Sacerdoti, e il figlio di pochi mesi Giorgio. Ilse aveva lasciato la Germania nel 1933, dopo che le prime leggi naziste le avevano reso impossibile proseguire gli studi. Si era stabilita a Parigi dove si era guadagnata da vivere lavorando come dattilografa, poi a Marsiglia dove lavorava Piero, che aveva intanto conosciuto e con cui si era fidanzata. Si erano sposati nel 1940. Nei giorni in cui Siegmund lasciava Westerbork nel trasporto per Auschwitz, il 16 novembre, Ilse con Piero e il piccolo Giorgio avevano già trovato un sicuro rifugio in Svizzera. Sommersi, dunque, e salvati, nella stessa famiglia, a dividere i genitori dai figli, i figli dai genitori. Nel caso della famiglia Klein, un altro sommerso, il fratello di Ilse, Walter, che nel 1942 aveva tentato di raggiungere la sorella a Marsiglia, ma che era stato arrestato e consegnato ai nazisti per la deportazione. Anche lui scomparirà nel vasto abisso della Shoah. Questa storia ci è pervenuta attraverso una corrispondenza: lettere tra i genitori e Ilse, principalmente, ma anche le lettere di Ilse e Piero quando Ilse era internata al campo di Gurs in Francia, prima che si sposassero, e altre lettere ai famigliari. Abbastanza per ricostruire questa vicenda, simile a tante altre non solo negli affetti, paure, ansie, ma anche nelle piccole cose della vita quotidiana, nelle descrizioni delle gite della giovane coppia, nelle ricette di cucina, nei tristi particolari della quotidianità di Siegmund nel suo nascondiglio poco convinto di Amsterdam. Ma anche abbastanza per renderla diversa e individuale. Le lettere sono rimaste decenni in un cassetto, fino a che, dopo la morte di Ilse nel 2001, il figlio Giorgio, lo stesso che aveva vissuto appena nato i rischi delle fughe e della clandestinità, e che è oggi presidente del CDEC, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, non ha deciso di pubblicarle. Ne è nato questo libro, prima pubblicato in tedesco in un’edizione completa delle lettere a cura di Sara Berger, poi in italiano, sotto forma di un racconto di Giorgio inframmezzato da brani delle lettere, con una maggiore attenzione per gli aspetti italiani di questa storia. È una storia commovente e tragica, ma non solo. È anche una storia che apre una finestra dal chiuso delle vicende famigliari alla grande storia, attraverso appunto la comparazione della diversità delle due vicende: gli ebrei tedeschi rifugiati ad Amsterdam, come i Klein ma anche come i Frank, non riusciranno che in pochi a sfuggire alla macchina dello sterminio. Diversa, almeno fino al 1943, la sorte degli ebrei italiani. Piero Sacerdoti, che lavorava dal 1935 alla sede di Parigi delle assicurazioni RAS, non fu colpito dalle leggi del 1938. Nel giugno del 1940, poco prima che i nazisti occupassero Parigi, riuscì a fuggire nel Sud della Francia. Ritrovata Ilse, che era fuggita dal campo di internamento di Gurs dove era stata rinchiusa come nemica allo scoppio della guerra, trovarono rifugio a Marsiglia dove si sposarono nell’agosto del 1940. Fino al 1943, avrebbero vissuto senza eccessivi rischi, nonostante la politica antisemita di Vichy, protetti dalla cittadinanza italiana. Nel 1942, si trasferirono a Nizza, nella zona di occupazione italiana, dove si riversavano da tutta la Francia i profughi ebrei in fuga. L’8 settembre si trovavano a Stresa in visita a dei parenti e cominciarono subito ad organizzare la fuga in Svizzera, dove trovarono rifugio in novembre. Le lettere che Giorgio Sacerdoti ha inserito nel libro sono tutte di grande interesse, sia che tocchino argomenti drammatici, come le condizioni degli ebrei nell’Olanda occupata (con le parole di chi scrive velate dai timori della censura) sia che tocchino vicende più quotidiane, cucina, vacanze, nascite e gravidanze, storie famigliari. Particolarmente accorati i riferimenti alle sorti di Walter, il fratello di Ilse, che non è protetto dalla cittadinanza italiana e che scompare in deportazione. Di lui non si hanno notizie e pian piano la crescente consapevolezza della sua sorte porta alla morte Helène, la madre di Ilse. Ma la morte della madre non viene comunicata per molti mesi alla giovane donna, in attesa di un bambino e poi madre recente. Solo sul punto di essere deportato, Siegmund chiede che le venga detta la verità. Particolarmente straziante la cartolina che Ilse invia a Siegmund e Walter indirizzata ad Auschwitz, e di là ritornata al mittente. Le vicende di Piero e di Ilse Sacerdoti rappresentano un’ulteriore conferma della condizione relativamente privilegiata, fino all’8 settembre 1943, degli ebrei italiani che si trovavano nella Francia del Sud. Sono storie che già si conoscono, di un atteggiamento di salvaguardia delle autorità italiane verso gli ebrei di cittadinanza italiana e di sostegno da parte dei militari italiani verso gli esuli ebrei. Ma sappiamo che Mussolini, prima del 25 luglio, stava accettando le pressioni naziste e aveva già deciso di sospendere ogni protezione nei confronti degli ebrei stranieri. Poi, venne l’8 settembre. Furono tempi molto stretti e ravvicinati, in cui la sorte degli uni fu, del tutto casualmente, la stessa degli ebrei del resto d’Europa, mentre altri riuscirono altrettanto casualmente a salvarsi. I Sacerdoti poterono per un soffio sottrarsi al mostro che stava divorando gli ebrei d’Europa. Con loro, sopravvissero quelle lettere, con le storie che ci raccontano e il loro carico di angosce, affetti e speranze. Tranne due brevi viaggi a Colonia, Ilse non tornò mai più in Germania. Fu solo dopo la sua morte e la decisione di pubblicare in Germania le lettere che, nel 2011, tutta la famiglia andò a Colonia per la pubblicazione del volume. Nel 2012 ci fu un altro emozionante incontro, in occasione della posa delle pietre di inciampo di fronte alla casa dei Klein. Per ricordare e per far inciampare l’oblio.

Anna Foa, storica

(Pagine Ebraiche novembre 2013)