Sapori – “Tutte le potenzialità del Made in Italy”

fellusUn marchio di kasherut nazionale realizzato con la collaborazione del ministero dello Sviluppo economico, che rappresenti allo stesso tempo un’opportunità per abbassare i costi dei prodotti kasher sul mercato italiano, un’occasione per promuovere all’estero il Made in Italy con il valore aggiunto della certificazione, un impulso alle industrie italiane, anche le più piccole, a ottenere il timbro per i propri prodotti. Queste le linee guida del progetto esposto dal consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Jacqueline Fellus alla guida della Commissione UCEI per la Kasherut. “L’obiettivo è impiantare quanto prima un ufficio con un responsabile che si occupi non soltanto della diffusione dei prodotti, ma anche del marketing, della promozione del kasher come sinonimo di garanzia di qualità e sicurezza anche nel mercato generale, come già avviene negli Stati Uniti” spiega Fellus di ritorno dall’esperienza del Kasherfest, la grande fiera che ogni anno riunisce in New Jersey gli operatori dell’industria alimentare kasher provenienti da tutto il mondo. “Lo stand italiano ha registrato un altissimo interesse, oltre ogni aspettativa. Per questo possiamo essere davvero fiduciosi nel successo del percorso che vogliamo intraprendere” sottolinea, prima di spiegarne i dettagli. “Il marchio di kasherut italiana, pensiamo a K.it come sigla, sarà realizzato dalla rabbanut italiana con la supervisione del dayan (titolo rabbinico superiore ndr) di Amsterdam Eliezer Wolff. Il progetto verrà portato avanti appunto in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico che ritiene che, attraverso le certificazioni kasher, halal e bio, la diffusione dei prodotti alimentari Made in Italy possa ricevere grande slancio. E questa può essere anche una grande opportunità per tante piccole e medie imprese che vogliono penetrare mercati esteri, come quello americano, che sono molto attenti alla presenza del timbro di kasherut”. Ma quali sono i vantaggi che la realizzazione del marchio in questa prospettiva comporterà per i consumatori dei prodotti kasher sul mercato italiano? “Prima di tutto in termini economici. Abbiamo pensato che gli introiti verranno assegnati per il 40 per cento al rabbino locale che si occuperà dei controlli, per il 20 per cento alla sua Comunità e per il 40 per cento all’UCEI. Di questo 40 per cento, tolte le spese per il funzionamento dell’Ufficio di kasherut nazionale, il resto verrà ancora una volta reinvestito per abbassare i prezzi dei prodotti kasher, per esempio aprendo spacci alimentari nelle Comunità, anche le più piccole, o supportandole nel pagamento degli stipendi degli shochtim (operatori addestrati a praticare la macellazione rituale ndr) e mashgichim (supervisori della kasherut di qualsiasi attività legata alla ristorazione ndr). Infine ricordiamo che il marchio nazionale creerà anche molte opportunità di lavoro per i giovani in queste due attività”. “Speriamo di realizzare presto un’assemblea plenaria con tutti i soggetti coinvolti, in particolare i rabbini delle Comunità locali, di cui sarà fondamentale il coinvolgimento, e con gli operatori del settore – conclude Fellus – Perché una cosa è certa, abbiamo bisogno della collaborazione di tutti. Ricordando sempre che questo progetto nasce dalla presa d’atto che, in questi tempi di crisi, ci sono sempre più famiglie che hanno difficoltà economiche nel mangiare kasher”.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, dicembre 2013

(11 dicembre 2013)