Qui Roma – Nel nome di Ilan Halimi “Contro l’odio, la nostra forza nell’unità”
No all’odio, no all’antisemitismo, no al fondamentalismo. Un triplice monito lanciato nel nome di Ilan Halimi (1982-2006), il giovane ebreo francese torturato e ucciso dalla “banda dei barbari” guidata dall’estremista islamico Youssouf Fofana. Un monito che arriva al cuore del pubblico ritrovatosi numeroso all’Auditorium Conciliazione per la prima di “24 giorni”, il film del regista Alexandre Arcady che ricostruisce quella pagina d’orrore restituendo i drammi e i tormenti quotidiani della famiglia Halimi fino al ritrovamento del corpo agonizzante di Ilan. Basato sulla testimonianza autobiografica di Ruth, la madre-coraggio di Ilan (“24 giorni. La verità sulla morte di Ilan Halimi”, portato in Italia dalla casa editrice Salomone Belforte), il film vuol essere un campanello d’allarme, o meglio un vero e proprio pugno nello stomaco, per chi ancora oggi fatica a prendere consapevolezza di determinate situazioni e problematiche. “Dobbiamo essere tutti vigili contro l’antisemitismo. Una minaccia che non è solo per gli ebrei ma per tutta Europa”, spiega dal palco dell’auditorium Ruth. Il pubblico si alza in piedi e applaude le sue parole. Lei si commuove ed incalza: “Servono pene più severe da parte dei governi, ma serve anche un’azione più intensa sul piano culturale. Dobbiamo prenderci cura dei nostri giovani, non lasciamoli soli”. Concorda il filosofo Bernard-Henry Levy, secondo cui l’uccisione di Ilan “ha costituito un prologo per nuovi drammi: l’agguato alla scuola ebraica di Tolosa, l’azione al museo ebraico di Bruxelles, il terribile gennaio di Parigi”. Tre, secondo l’intellettuale, i pilastri dell’antisemitismo contemporaneo: la saldatura con l’antisionismo, la negazione della Shoah e il fenomeno della “concorrenza delle vittime” i cui ideologi si fanno sostenitori dell’idea che “a piangere troppo la Shoah, si diventerebbe sordi al lamento degli altri martiri dell’umanità”. Per quanto concerne la realtà italiana, Levy ha tracciato un quadro a tinte meno fosche di quella francese sottolineando “la simbiosi tra cultura ebraica e cultura nazionale” e ricordando, tra le molte figure, il contributo universale di Primo Levi, Italo Svevo ed Elia Benamozegh. Ma, ha avvertito il filosofo, guai ad abbassare la guardia. Anche l’Italia ha avuto i suoi fatti di sangue, testimonia tra gli altri Gadiel Taché, sopravvissuto all’attacco alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982 in cui perse la vita suo fratello, il piccolo Stefano.
“Smettiamo di chiudere gli occhi. Diciamo la verità. E ritroviamoci tutti uniti contro i nostri nemici” l’appello dell’imam Hassen Chalghoumi, che paga la ferma denuncia degli estremisti con una vita sotto scorta. Specie per minacce di morte ricevute da quando, dopo gli attacchi a Charlie Hebdo e all’ipermercato casher di Parigi, ha esortato ad essere “in prima fila contro i barbari”. Ospite dello speciale del programma di approfondimento Virus, che oggi sarà trasmesso su Rai Due in prima serata, l’imam invita al dialogo e alla conoscenza reciproca. E soprattutto a un’azione: “Avere coraggio”. Il pubblico, accorso in gran numero alla serata (che è stata organizzata in collaborazione con l’associazione Progetto Dreyfus, per cui prendono la parola il presidente Alex Zarfati, Barbara Pontecorvo e Johanna Arbib), manifesta calorosamente il proprio apprezzamento.
Stimolante anche il dibattito che è seguito con ospiti di Nicola Porro, oltre a Levy,il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, l’imam della Coreis Yahya Pallavicini e monsignor Vincenzo Paglia, presidente del pontificio consiglio per la famiglia. “L’antisemitismo è un torrente sotterraneo, che riaffiora sotto diverse vesti in determinati momenti della nostra storia. È una minaccia per tutti, ma è anche sintomo del malessere di un’intera società”, ammonisce il rav. Mentre l’imam Pallavicini invita la comunità islamica nel suo complesso ad interrogarsi e ad affrontare il problema, “che esiste”, di correnti di odio che si infiltrano, talvolta con successo, al suo interno. “Ultimamente riscontro una maggiore consapevolezza collettiva su quelle che sono le minacce ai nostri valori. Lo sdegno è indispensabile – dice monsignor Paglia – ma serve anche una nuova stagione di solidarietà”. E se da Levy arriva il categorico rifiuto “a identificare l’antisemitismo con l’Islam”, è rav Di Segni a lanciare un nuovo monito contro l’indifferenza. “Il dramma dell’immigrazione e le tragedie del mare che avvengono a ridosso delle nostre coste quasi ogni giorno dovrebbero scuoterci. E invece sento che questo non accade a sufficienza. Ed è terribile”.
No all’odio, no all’antisemitismo, no al fondamentalismo. A diffondere questo messaggio anche alcuni testimonial d’eccezione della serata: da Alessandra Martines a Massimo Ghini, da Beppe Fiorello a Giulio Scarpati, da Giorgio Pasotti a Max Giusti, per arrivare all’ex direttore del Foglio Giuliano Ferrara.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(7 maggio 2015)