J-Ciak – Il gusto aspro dei documentari

National-Gallery-banner-docNon è un caso che, con parecchie settimane d’anticipo sull’apertura, a dare fuoco alle polveri del Jerusalem Film Festival sia stato un documentario, quel “Beyond the Fear”, dedicato a Yigal Amir, l’uomo che assassinò Rabin. Delle minacce del ministro Miri Regev, che ha ventilato la sospensione dei finanziamenti pubblici al festival abbiamo già parlato. Come della soluzione definita ‘di compromesso’ per cui il film sarà proiettato in una sala privata. Colpisce però che un genere fino a vent’anni fa confinato nei circuiti degli addetti ai lavori sia divenuto oggi così potente da scatenare perfino scontri di questo tipo.
A confermarne l’incisività provvederanno, al festival, i lavori di due maestri del genere: il regista ebreo-americano Frederick Wiseman, di cui si proietterà “National Gallery”, e Albert Maysles, di recente scomparso, che ha dedicato il suo recente lavoro “Iris” alla profetessa della moda americana Iris Apfel.
E molto ci si aspetta dai filmaker israeliani, che hanno dato finora notevoli prove di sé.
Difficile dire quale dei lavori in lizza per i Van Leer Awards riuscirà ad catturare il pubblico (ma i documentari in proiezione sono molti di più, non ultimi quelli dedicati all’esperienza ebraica nel mondo).
I film in concorso entrano di prepotenza nell’attualità, con incursioni nel sociale e nell’arte. Silvina Landsmann in “Hotline” ci conduce nel cuore di una piccola ong che a Tel Aviv lavora con i rifugiati e i migranti, mettendo loro a disposizione una linea telefonica per informazioni e aiuto (la hotline del titolo) e patrocini legali.
“Pennies” di Badran Badran racconta invece la storia di Yichia e Hamam, due fratelli di 14 e otto anni, che ogni giorno dall’area di Tul Karem, nei territori dell’Autorità palestinese, si spingono in Israele dove guadagnano qualche soldo chiedendo l’elemosina. Si rimane sulla strada con “Strung Out” di Nirit Aharoni, che fotografa la cruda realtà di un gruppo di giovani donne, intrappolate nel circuito atroce dell’eroina e della prostituzione. Attraverso le loro vicende, la regista cerca risposta alle domande che la tormentano sin dall’infanzia, quando venne allontanata dalla madre, prostituta, tossicodipendente, una ragazza come quelle narrate nel film.
Atmosfere più lievi per “Mr. Gaga” di Tomer Heymann, già autore di “Paper Dolls” e “I shot my Love”. Il documentario, girato nell’arco di otto anni, entra nel mondo di Ohad Naharin, coreografo e direttore artistico della celebre Batsheva Dance Company e attraverso materiali d’archivio, prove, sequenze spettacolari di danza, ci immerge nel vivo del processo creativo di uno dei grandi innovatori della danza contemporanea.
La musica si intreccia invece alla solitudine e agli strani cortocircuiti tra fama e anonimato in “Thru You Princess”. Il regista Ido Haar ripercorre lo strano filo che lega il musicista israeliano Kutiman a Samantha, trentottenne di New Orleans che si diverte a mettere on line le sue canzoni. Lei ha solo pochi ascoltatori, finché lui la scopre e inizia a inserire la sua musica in sinfonie composte da clip di musiche postate on line.
Con “Vita Activa” di Ada Ushpiz, ci si sposta infine sul terreno più tradizionale della biografia. Il film ricostruisce il percorso spirituale di Hannah Arendt e traccia un legame tra la sua storia personale e il suo pensiero utilizzando rari materiali d’archivio.

Daniela Gross

(2 luglio 2015)