…Srebrenica

Quattro anni fa David Bidussa dedicava poche righe straordinarie per descrivere il significato del massacro di Srebrenica per noi, uomini e donne ormai assuefatti agli stermini.
Oggi fanno vent’anni da quei terribili giorni, e non è cambiato granché da allora, anzi. Si va verso il peggio. Se il tema di fondo è l’indifferenza, assistiamo a un pericoloso accentuarsi del problema. In questo breve periodo abbiamo fatto in tempo – per rimanere fermi all’Europa e ai suoi immediati dintorni – ad assistere senza colpo ferire al massacro di centinaia di migliaia di civili di varie etnie e credi religiosi in Siria e Iraq, all’esplosione di una guerra civile in Ucraina, anche lì con migliaia di vittime civili uccise su base etnico-linguistica, alla morte per annegamento di decine di migliaia di persone nel Mediterraneo, imbarcate alla ricerca di un asilo e vittime del mercanteggiamento delle mafie locali delle due coste del mare, coperte da autorità politiche talmente immobili da diventare di fatto conniventi. Le soluzioni trovate sono vecchie, poco efficaci e di corto respiro: i muri. Le barriere, siano di cemento o di filo spinato, congelano il problema e non lo risolvono. Ne accettano l’ineluttabilità. Barriere sono oggi in costruzione in Tunisia, in Ungheria, nel Sinai, e si aggiungono ai numerosi altri muri che punteggiano il globo: Ceuta e Melilla, il Marocco separato dal Sahara, il Messico e gli Usa, le due Coree, le due Cipro e chissà quanti altri di cui non so. Sono separazioni artificiali che ci dicono che siamo disposti ad accettare massacri e genocidi, purché avvengano al di là della barriera, che siamo anche disposti a pagare, pur di non vedere o sapere. Ci dicono anche che le istituzioni internazionali nate per ridisegnare il mondo dopo la Seconda guerra mondiale non sono più in grado di assolvere alla loro missione. E questo mi sembra il più grave ed allarmante dei problemi.

Gadi Luzzatto Voghera

(10 luglio 2015)