Casale – Shanghai e le porte aperte

casIl mondo è pieno di storie insolite. Una di queste è sicuramente quella che Roberto Paci Dalò ha scelto di raccontare in modo altrettanto insolito alla sinagoga di Casale. È quella di Shanghai negli anni della seconda guerra mondiale, quando la città arrivò a contenere oltre 23.000 ebrei, in gran parte fuggiti da Germania e Europa dell’Est, ma anche dall’Italia, la maggior parte confinati in un apposito quartiere per apolidi. La città orientale infatti era tra le poche che non richiedeva visto di ingresso.
Daria Carmi, che ha introdotto lo spettacolo sia in rappresentanza della Comunità che come assessore alla Cultura del Comune di Casale, ha messo bene in evidenza curioso gioco di relazioni tra le persone e i luoghi che hanno portato l’opera in un vicolo Salomone Olper già molto avvezzo alle contaminazioni dell’arte moderna, ma è stata Renata Summo – O’Connel che ha fatto un po’ da tramite far arrivare questo artista eclettico a Casale. “Roberto è una figura trasversale – dice a proposito dell’artista. – non poteva non interessarsi a questa storia che vede ebrei rifugiati in una città cinese, occupata dai giapponesi, dove si ricostruisce una Germania ebraica, completa persino negli esercizi commerciali. È un ‘transluogo: uno spazio come uno specchio dove ci vediamo ma dove in realtà non siamo”.
Cosa è dunque questo Ye Shangai una volta che le luci si abbassano è l’artista entra in scena? Come tutte le opere d’arte è fatto di suggestioni con lo scopo di coinvolgere lo spettatore e non necessariamente nelle riflessioni dell’artista. Solo che in questo caso Roberto Paci Dalò utilizza tutti i canali possibili per immergerci nella sua storia. Quello più facile è il video: sullo schermo scorrono vecchie immagini del porto di Shanghai. Alcune hanno per titolo City of chaos e di certo l’impressione è di un vero crogiolo che unisce gli uomini come una palude fangosa unisce terra e acqua. E poi ci suoni: spezzoni radiofonici ci ricordano il contesto storico, fino a che parte un lungo pedale armonico, quasi rintocchi di campana. Su immagini rallentate si staglia allora il profilo di Roberto Paci Dalò: cappello da ebreo askenazita, clarinetto tra le dita. Anzi clarinetti, visto che ne controlla due di diverso taglio, sovrapponendo, grazie all’elettronica, loop di temi anche se tutti dal lamentoso accento kletzmer. Il suo virtuosismo su questo strumento è notevole anche se a volte va a discapito del virtuosismo concettuale con cui le note si accoppiano alle immagini. L’effetto di questo canto, mentre sfilano truppe coloniali, coolies che sembrano usciti da un romanzo di Conrad, risciò, giunche e cannoniere, è angosciante come sa solo essere certa musica contemporanea che si è fatta carico di raccontare le devastazioni del XX secolo. E come se dallo schermo, attraverso i suoni, colasse l’afa opprimente della masse costrette a vivere di giorno in giorno senza certezze. Il che fa della musica di Dalò qualcosa di molto, molto attuale.

Domenica 5 giugno la Comunità ospita un altro doppio appuntamento artistico. Alle ore 11,00 in Sala Carmi si inaugura la mostra “Un unico Cielo” di Carlo Pasini, introduce Carlo Pesce. Alle Ore 21,00, in Sinagoga, secondo appuntamento con la rassegna musicale Suono e Segno in cui si festeggiano i 70 anni di Gilberto Bosco con l’Ensemble Ricercar di Torino. Ascolteremo prime esecuzioni di Gilberto Bosco, Giulio Castagnoli, Giuseppe Elos e Alessandro Ruo Rui .

Alberto Angelino

(31 maggio 2016)