melamed – I problemi del sistema scolastico israeliano

Israele - Karnit Flug
Intervenendo a un convegno della Confindustria israeliana, la governatrice della Banca centrale d’Israele Karnit Flug ha lanciato un nuovo campanello d’allarme sulla inadeguatezza del sistema scolastico israeliano. Quali sono le debolezze delle scuole israeliane e quali le conseguenze? Lo spunto è stato offerto da una domanda rivolta alla governatrice dall’uditorio, sul perché la banca centrale e il Ministero del Tesoro non adottano misure di stimolo all’economia, in un contesto in cui il prodotto cresce a ritmi soddisfacenti (3% l’anno) e la disoccupazione è contenuta ma il potere d’acquisto delle famiglie è basso e vi è una percezione diffusa che il benessere è scarso e concentrato in una piccola fetta di popolazione. La governatrice ha esposto la visione che è ormai di consenso tra le autorità di politica economica dei paesi sviluppati, ossia che politiche di stimolo (riduzione dei tassi d’interesse da parte della banca centrale o aumento della spesa pubblica da parte del Governo) hanno dei vincoli oggettivi (il fatto che i tassi sono vicini allo zero e la necessità di evitare deficit dei conti dello Stato) e comunque hanno effetti temporanei sull’occupazione e si traducono in aumenti dell’inflazione. Secondo la Flug, la chiave per aumentare in modo permanente il benessere della popolazione (in termini economici si tratta della produttività, ossia del prodotto annuo di ogni lavoratore) è quella di agire sul sistema scolastico, che rimane un tallone d’Achille dell’economia israeliana.
È un fatto poco noto che il sistema scolastico israeliano (istruzione primaria e secondaria, ossia elementari, medie inferiori e medie superiori) soffre di una duplice debolezza: da un lato un livello generale di preparazione degli studenti, specie nelle materie scientifiche, basso nel confronto internazionale (lo confermano i test PISA) dall’altro lato le forti disparità tra studenti di diversa estrazione socio-economica (Tel Aviv rispetto a Beer Sheva, per intendersi) e di diverse etnie (arabi e ebrei ultraortodossi sono le minoranze svantaggiate). Dalla qualità del sistema scolastico dipendono i percorsi lavorativi e il gradino sociale che gli studenti di oggi raggiungeranno domani e l’istruzione è divenuto uno strumento ancora più importante nell’epoca della globalizzazione e dell’accresciuta concorrenza delle economie emergenti. Sotto questo profilo ci sono alcune analogie tra Israele e l’Italia.
Ma come si concilia, qualcuno obietterà, questa debolezza con il successo e la fama mondiale delle università israeliane nonché con la vivacità del settore delle alte tecnologie, fiore all’occhiello del paese e ad elevata intensità di manodopera qualificata? Come si spiega il paradosso? In primo luogo c’è una cesura tra scuole e università israeliane dovuta al fatto che le università da un lato ricevono ingenti finanziamenti pubblici e privati, dall’altro beneficiano della “fuga di cervelli” stranieri, un po’ come le università americane. In secondo luogo il settore high tech rappresenta una nicchia e una piccolissima percentuale della popolazione e della manodopera israeliana, e purtroppo ha ricadute limitate sul resto del paese.

Aviram Levy, economista
da Pagine Ebraiche, febbraio 2017

(27 gennaio 2017)