Un anno di Trump presidente
Con il finire del 2017 si conclude il primo anno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Repubblica, secondo cui il gradimento negli Usa per Trump è ai minimi storici (sotto del 35 per cento) ricorda alcune tappe salienti di questi primi 365 giorni tra cui la riforma fiscale (primo vero successo politico interno per l’amministrazione Trump) e il riconoscimento di Gerusalemme come Capitale d’Israele. Su questa decisione – come sulla questione ucraina -, Paolo Mieli (Corriere) denuncia una certa ipocrisia europea e parla di “un non meditato linciaggio”. “Sarebbe stato quantomeno degno di interesse – scrive Mieli – ricostruire come andò nel 1995 quando, presidente Bill Clinton, una legge approvata dal Congresso stabilì che gli Stati Uniti dovessero per l’appunto spostare la propria ambasciata da Tel Aviv alla città delle tre religioni. Certo, successivamente, per ben ventidue anni, la presa d’atto di quel voto era stata sempre rinviata. Ma un rinvio non dovrebbe comportare il venir meno delle ragioni di fondo di una decisione del Congresso”. Intanto, da Israele il ministro dei Trasporti Israel Katz ha annunciato l’intenzione di dedicare a Donald Trump la stazione ferroviaria che progetta di costruire vicino al Muro Occidentale, a Gerusalemme (Corriere). Negli Stati Uniti invece, racconta Repubblica, le contestazioni al presidente Trump hanno assunto diverse forme: Jeff Bergman, 39 anni, mercante d’arte, ad esempio legge pubblicamente libri davanti alla Trump Tower, a New York. “Vengo alla Trump Tower da un anno: sì, anche durante le feste. Non mi ero mai considerato un attivista. – racconta Bergman a Repubblica – Ma quando The Donald è eletto sentii il bisogno di fare qualcosa. Venni qui e iniziai a leggere ad alta voce un libro che, come ebreo, mi è molto caro: Notte di Elie Wiesel. Ricordo che molti si avvicinarono arrabbiati: “Trump farà grandi cose per Israele”. Come se potesse bastare. Da allora di libri ne ho letti almeno duecento. A volte solo. A volte con chi ha scelto di unirsi”.
Stati Uniti polarizzati. L’Fbi prevede che il 2018 sarà segnato da scontri violenti tra i suprematisti bianchi, usciti allo scoperto durante l’ultima campagna elettorale e dopo l’elezione di Trump, e il cosiddetto movimento Antifa. Quest’ultimo, scrive La Stampa, “è pronto ad usare gli stessi metodi violenti degli avversari della destra alternativa, Alt-right, contro cui sta conducendo la sua ‘resistenza’”.
Riad, scacchi senza velo. La scacchista campionessa in carica, l’ucraina Anna Muzychuk, ha annunciato che non parteciperà ai prossimi mondiali di scacchi a Riad perché contraria all’imposizione del velo. “Tra qualche giorno perderò i miei due titoli mondiali, uno a uno. E questo solo perché ho deciso di non andare in Arabia Saudita, di non giocare secondo le regole di altri, di non mettermi l’abaya (la veste tradizionale tipica dei Paesi del Golfo lunga fino ai piedi, ndr)”. Un duro colpo di immagine per l’Arabia Saudita che, riporta il Corriere, “vacilla anche per le ire degli israeliani. E non importa che di recente il capo di Stato maggiore d’Israele, Gadi Eisenkot, abbia lasciato intravedere delle aperture in funzione anti iraniana. Ai sette giocatori israeliani sono stati negati i visti per entrare in Arabia Saudita. Nella spiegazione dei funzionari sauditi, il rifiuto è dovuto all’assenza di legami diplomatici con Israele. Una mossa cui la Federazione israeliana ha risposto con una richiesta di risarcimento danni accusando i sauditi di aver ‘barato’, lasciando intendere prima di essere disposti ad ammettere i giocatori israeliani per ottenere il permesso di ospitare il torneo, salvo poi tirarsi indietro”.
Argentina, l’omicidio di Alberto Nisman. Non è stato suicidio: è stato omicidio. Ma, come raccontava ieri moked.it, non è ancora chiaro chi sia stato a uccidere il procuratore ebreo argentino Alberto Nisman, che indagava sulla strage terroristica del 1994 al centro ebraico di Buenos Aires e ai tentativi di insabbiamento dell’indagine per il coinvolgimento dell’Iran nell’attacco. “Chi avesse un movente per farlo, lo sanno tutti: – scrive il Fatto Quotidiano – l’ex presidente, e ora senatrice, Christina Kirchner e il suo clan. La vicenda giudiziaria, sfruttata dagli avversari della Kirchner, appare politicamente inquinata: la verità è oggi forse più vicina, ma resta lontana. Le conclusioni dell’inchiesta del giudice federale Julián Ercolini, contenute in un documento di 656 pagine, aggravano indubitabilmente la posizione dell’ex presidente, proprio mentre l’Argentina riscopre la protesta dei caceriolazos — i gruppi di manifestanti che usano le pentole come strumento per esprimere il dissenso – e vive un clima da guerriglia urbana contro la riforma delle pensioni promossa dal suo successore Mauricio Macri”.
Segnalibro. Un libro che racconta la storia dei superstiti dei lager nazisti e in particolare il loro rientro in Italia tra solidarietà e indifferenza. A ricostruire queste vicende, il lavoro di Elisa Guida in La strada di casa. II ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah (Viella, 2017) presentato oggi da La Stampa. Il Quotidiano Nazionale invece torna su quella che definisce una bomba nel mondo dell’editoria francese, ovvero la decisione di Lucette Destouches, vedova di Louis-Ferdinand Céline, “di autorizzare la ripubblicazione delle opere antisemite dello scrittore, quei pamphlet che lo stesso autore aveva deciso di chiudere in un cassetto dopo le polemiche esplose a seguito della loro diffusione fra il 1937 e il 1941”. Il quotidiano ne parla con l’avvocato e scrittore François Gibault, 85 anni, biografo ed esecutore testamentario di Céline, che difende la scelta della moglie dello scrittore e definisce assurda la censura sui noti testi antisemiti perché “sono reperibili dappertutto, su Internet, dai bouquinistes, in edizioni straniere, il più delle volte senza apparato critico, senza note, senza spiegazioni”.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked