…partecipazione

Ha suscitato clamore, nel mondo ebraico italiano, l’appello circa le violenze al confine tra Gaza e Israele firmato da alcuni ebrei, tra cui noti accademici, e pubblicato da Avvenire. Non voglio entrare qui nel merito dell’appello, su cui molto è già stato scritto e detto a proposito e, mi permetto di dire, spesso a sproposito. Vorrei anche tralasciare i modi e le forme di molte critiche, un numero considerevole delle quali ha dato la stura ancora una volta a insulti, volgarità e masaniellismo variamente miscelati (triste fenomeno a cui partecipano in prima fila perfino alcuni personaggi che in passato hanno rivestito ruoli significativi nelle comunità), e provare invece a riflettere su uno degli argomenti che ho visto utilizzare con maggiore frequenza da parte dei detrattori dell’appello.
I firmatari dell’appello (“manco ebrei pur spacciandosi come tali” è uno dei modi gentili con cui sono stati indicati), viene detto, non rappresentano la “maggioranza silenziosa” degli ebrei italiani, che invece sarebbe compatta nel giudicare questi “ipocriti intellettuali di fede mosaica” al pari di traditori della patria. Una idea di maggioranza che sembra non lasciare spazio a dubbi, a prima vista, confortata d’altro canto anche dalla storica Anna Foa, incidentalmente tra i firmatari dell’appello, che scrive nel corsivo apparso su Moked lunedì: “Non appartengo a quella parte, sia pur maggioritaria, degli ebrei italiani che considerano ogni critica a Israele, ogni dissenso sulla politica del governo israeliano, come un’espressione di antisemitismo”.
Siamo proprio sicuri che la maggioranza degli ebrei italiani la pensi così? Desideroso di capirne di più, ho aperto “Comunità va cercando ch’è sì cara. Sociologia dell’Italia ebraica”, il volume che presenta e discute i risultati della ricerca voluta alcuni anni fa dall’Ucei e guidata da Enzo Campelli a partire da un campione di indagine molto significativo. Ci credereste? Una lettura appassionante e consigliatissima, l’ho terminata in soli due giorni. Ed è così che ho scoperto una quantità di cose davvero interessanti sull’ebraismo italiano di oggi. Per esempio che gli ebrei con una istruzione più elevata partecipano proporzionalmente meno alla vita comunitaria (vale lo stesso per chi ha una istruzione nettamente inferiore alla media) e che esiste una tendenziale sovrapposizione tra partecipazione e alto grado di osservanza (dato molto accentuato e niente affatto scontato). Inoltre coloro che frequentano con regolarità le attività comunitarie sono inclini in proporzione a maggior tradizionalismo e conservatorismo politico e tra essi è ampiamente sovrarappresentato il giudizio su Israele estremo, ma certamente esistente, indicato da Anna Foa.
Non rimane che stimare la consistenza del gruppo che frequenta con buona regolarità la comunità e che partecipa al dibattito interno: insomma, quella già citata come “maggioranza silenziosa” – molto ironicamente, da parte di individui tutt’altro che silenziosi. La ricerca Campelli risponde anche a questo con buona approssimazione: tra 15 e 20% della popolazione ebraica complessiva, che possiamo assumere per ipotesi (ma rimane tutto da dimostrare: personalmente ho molti dubbi) che in maggioranza concordi con le posizioni succitate dei detrattori dell’appello. In ogni caso, alcune migliaia di persone sui circa 23.000 ebrei iscritti a comunità nel nostro Paese. Una minoranza nella minoranza dunque, altro che maggioranza silenziosa.

Giorgio Berruto, Hatikwà

(31 maggio 2018)