…antisemitismo

Innamorarsi del proprio soggetto di ricerca fino a enfatizzare il peso e la dimensione del fenomeno studiato in modo esagerato trascurando il contesto generale è un tipico vizio di analisi anche autorevoli. È bene attento a non cadere in questo errore lo storico francese Michel Dreyfus nel recente studio “L’antisemitismo a sinistra in Francia. Storia di un paradosso (1830-2016)”, di cui Vincenzo Pinto e l’associazione culturale Free Ebrei hanno meritoriamente curato l’edizione italiana.
Il contesto dell’antisemitismo contemporaneo in Francia, sostiene Dreyfus, è di una larga egemonia della destra e dell’estrema destra, e di conseguenza di una “responsabilità infinitamente minore” della sinistra, anche estrema. Di certo non è possibile scrivere una storia dell’antisemitismo negli ultimi due secoli ignorando il ruolo di punta delle destre e, per lungo tempo, di istituzioni e stampa cattolici. La percezione di chi scrive, tuttavia, è di una cautela perfino eccessiva, soprattutto quando Dreyfus si sofferma sulla “cecità dell’estrema sinistra”: non antisemitismo ma soltanto incapacità di vedere, dunque, e soprattutto attribuita alle frange più estreme, quasi sempre extraparlamentari e minoritarie tra le sinistre. Vero è, d’altra parte, che gli storici del socialismo nei decenni scorsi hanno di solito rimosso il problema dell’antisemitismo a sinistra nel modo più semplice, e cioè ignorandolo. Si tratta, finalmente, di affrontarlo.
La domanda centrale a cui Dreyfus cerca di rispondere è se sia esistito o esista, in Francia negli ultimi due secoli, uno specifico antisemitismo di sinistra oppure se, più modestamente, siano da registrare forme di antisemitismo a sinistra. È infatti del tutto ovvio che anche tra le sinistre il discorso antisemita elaborato a destra abbia avuto presa significativa in più di una fase storica. Come Dreyfus sottolinea a più riprese, “la storia dell’antisemitismo a sinistra va sempre considerata alla luce di quella dell’antisemitismo più in generale”, prodotto e diffuso in grande maggioranza dall’estrema destra. Numerosi pionieri del socialismo, Toussenel soprattutto, ma anche Proudhon e i blanqisti, hanno avuto un ruolo di primo piano nell’elaborare il paradigma economico dell’antisemitismo moderno, quello che dagli anni quaranta del secolo XIX assimila gli ebrei ai “Rothschild”.
Negli anni ottanta – anni di crisi economica, instabilità politica e revanchismo in cui nascono movimenti xenofobi di destra e estrema destra – si afferma l’antisemitismo razzista, fondato sulla visione pseudoscientifica di “razze umane” gerarchizzate. È il periodo della “France juive” di Drumont e dell’affaire Dreyfus, che portano a una grande ondata antisemita condotta dalla destra e dal cattolicesimo. Proprio a questa altezza avviene la svolta nella storia dell’antisemitismo a sinistra: quest’ultima, infatti, riconosce negli antisemiti come Drumont gli stessi nemici della democrazia e della repubblica. L’affaire Dreyfus divide il Paese e fa germinare presso socialisti e anarchici una consapevolezza nuova. Per la prima volta l’anti-antisemitismo, cioè la lotta attiva contro il pregiudizio antisemita, diventa una priorità a sinistra. L’antisemitismo rimane egemone nella destra tradizionalista, cattolica ed estrema, mentre a sinistra è confinato in gruppi come i sindacalisti rivoluzionari di Sorel. Chi difende la democrazia combatte l’antisemitismo, almeno in linea di principio.
Negli anni trenta del Novecento il pacifismo denuncia l’ebreo come guerrafondaio, perché sarebbe fautore della linea della fermezza e vorrebbe la guerra contro Hitler. Questa visione, diffusa a sinistra, tende a unirsi al pregiudizio, forgiato a destra nei decenni precedenti, dell’ebreo che tirerebbe le fila degli affari planetari, e porta allo scatenarsi di una massiccia offensiva antisemita tra 1936 e 1939, che prende di mira anche Léon Blum, ebreo e leader del Fronte popolare. Dopo la Shoah l’antisemitismo a sinistra si sviluppa soprattutto sotto forma di delegittimazione di Israele, e indubbiamente la maggioranza dell’estrema sinistra vede surrettiziamente nel sionismo una forma di colonialismo, fino a quando, soprattutto negli anni settanta, in alcuni ambienti si giunge a paragonare gli israeliani ai nazisti. Contemporaneamente si sviluppa il cosiddetto “revisionismo”, che è in realtà fin dall’origine negazionismo. I primi teorici del negazionismo, Rassinier e Guillaume, provengono dall’estrema sinistra anche se – non prima di diversi anni di colpevole ambiguità – da essa sono rifiutati.
A conclusione della ricerca, condotta a partire dall’analisi minuziosa della stampa, secondo lo storico è più corretto parlare di “antisemitismo a sinistra” che di “antisemitismo di sinistra”, almeno dagli anni dell’affaire Dreyfus. “È innegabile la parte di responsabilità della sinistra nella nostra storia, ma il suo sbaglio maggiore non è tanto quello di aver pensato l’antisemitismo, quanto di non averne compreso la pericolosità”. Non basta rinunciare all’antisemitismo, occorre combattere attivamente il pregiudizio e agire, dunque, da anti-antisemiti. La vigilanza dell’estrema sinistra nei confronti dell’antisemitismo, d’altronde, negli ultimi anni è sempre meno elevata, come riconosce lo stesso Dreyfus. Oggi, in Francia e altrove, molti ebrei percepiscono un forte antisemitismo, di solito mascherato da critica unidirezionale e tout court a Israele. È indispensabile analizzare questo fenomeno, che ha a che fare con la situazione presente, lo sviluppo del pregiudizio, imponenti trasformazioni sociali e demografiche non meno che con sensibilità, percezioni e paure. Ma questa è un’altra storia, da narrare in un altro libro.

Giorgio Berruto