In ascolto – Notti di Genova

Maria Teresa MilanoIl consiglio d’ascolto di giovedì scorso era “God is God” di Joan Baez, una sorta di assaggio del concerto a cui avrei assistito poche ore dopo. A dire il vero avevo anche detto che oggi avrei raccontato qualcosa in più su di lei e sulla serata, ma devo dire che non è davvero semplice mettere in poche righe i tanti pensieri che l’evento mi ha suscitato. Ho osservato il pubblico, che applaudiva e cantava insieme a lei, come si fa con un’amica di vecchia data, con qualcuno con cui si ha condiviso qualcosa di davvero importante. Ho osservato lei, una vera signora, vestita in modo semplice, con un taglio di capelli sbarazzino ed eleganti monili d’argento. La voce è un po’ stanca e lei ci scherza su: “Ho solo più le note basse, per cui per quelle alte mi affido a Grace”, dice presentando la sua vocalist, una giovane cantante dalla voce folk-country molto morbida, che le sta accanto in modo discreto, con quella sobrietà che ha sempre distinto lo stile di Joan Baez. Sul palco c’è anche il figlio Gabriel, nato dal matrimonio dell’artista con l’attivista David Harris; suona le percussioni e di tanto in tanto lancia sguardi alla mamma, con affetto, rispetto e qualcos’altro che non sono sicura di riuscire a decifrare.
Il concerto si apre con “Don’t think twice”, una ballata di Bob Dylan di cui ho già parlato in questa rubrica tempo fa, uno dei tanti omaggi che l’artista fa al suo storico compagno e collega durante la serata. Ma non parla di lui, né di sé, né dei “bei tempi andati”; le sue parole sono più che altro funzionali a creare un collegamento tra le vecchie battaglie e i drammi attuali, come nel brano “Deportees”, in cui si racconta la sorte dei braccianti messicani che venivano rimpatriati a forza alla fine della stagione del raccolto e si denuncia il disastroso incidente aereo del ’48 in cui persero la vita 28 persone. La canzone ripete alcuni nomi di quelli che all’epoca “furono definiti ‘solo’ deportati, ma che erano innanzitutto esseri umani”, spiega Joan Baez, che con la sua musica impiegò lo stesso criterio consolidato negli anni da Yad Vashem per le vittime della Shoah: restituire un nome e un volto per restituire dignità umana.
Questo è il suo ultimo tour. L’usignolo di Woodstock, la paladina dei diritti civili, ha deciso di ritirarsi dalle scene e lo sta facendo con eleganza e grande pacatezza. Con un bel sorriso ricorda al pubblico che i concerti si ascoltano e non si guardano attraverso i-pad e smartphone e chiede a tutti di posare i dispositivi elettronici e di “stare con lei”. E quando esce, dopo ben quattro bis tra cui “C’era un ragazzo” di Gianni Morandi, ho la sensazione che un altro pezzo di storia si sia chiuso.
Ho passato la serata con i miei genitori e con un’icona della loro epoca; apparteniamo a generazioni e a società diverse, ma mi rendo conto che stiamo condividendo la stessa nostalgia, forse perché avremmo tutti bisogno in questo momento, che le politiche culturali e i media dessero più spazio alla musica delle “voci forti”, che ci sono, ma vengono troppo spesso soffocate da scelte commerciali e radiofoniche che hanno ben altri intenti. Ma non intendo certo entrare in questa questione e passo al consiglio d’ascolto di oggi.
Mi permetto di uscire dal contesto “Joan Baez” per dedicare una canzone a Genova, ora piegata dal lutto e dalla rabbia. Si tratta di “Notti di Genova”, il ritratto di una città attraverso le immagini poetiche di Cristiano De André, un grande artista di cui avrò modo di parlare nel prossimo numero.

Consiglio d’ascolto:

Maria Teresa Milano

(16 agosto 2018)