…antisemitismo
Chi dobbiamo ringraziare se, senza tregua, ci troviamo costretti a parlare di antisemitismo? La sinistra? La destra? La nostra civilissima civiltà? Le curve sud degli stadi di calcio? I terzomondisti ignoranti che si rifiutano di studiare la complessa storia del Medio Oriente? O magari il senatore grillino Elio Lannutti?
Qualcuno dirà che l’odio (razziale, religioso, antisemita…) ha origine antropologica, che l’uomo primitivo ha bisogno di difendersi per sopravvivere in un mondo feroce e vede nell’altro il nemico. Ma l’evoluzione della civiltà e delle società avrebbe poi dovuto far evolvere anche il comportamento degli uomini, guidandoli verso una convivenza pacifica, più ‘tollerante’, più fiduciosa nell’altro. E invece così non è stato. All’evoluzione del pensiero e della scienza non ha corrisposto una evoluzione dello spirito di convivenza. Anzi, sembra che evoluzione della civiltà ed evoluzione della ‘tolleranza’ si siano sviluppati nel tempo in un rapporto inversamente proporzionale. Con il progresso della civiltà si è sviluppata in modo sempre crescente una malefica coscienza della diversità, percepita come necessità di separazione e contrapposizione. Io sono ciò che lui non è, e in questo non essere io mi distinguo e in ciò riconosco il mio valore – e il suo disvalore.
A contribuire fortemente a questa dinamica della contrapposizione (e dell’odio) ha contribuito pesantemente una certa concezione di Dio, del valore della religione e della sua supremazia. La mia vale più della tua, e la stessa sopravvivenza della tua toglie valore alla mia. Di questa deformazione del pensiero e del rapporto culturale e sociale fra gli uomini ha fatto le spese, nei secoli, l’ebraismo, e quel che è peggio gli ebrei, pagandola nello spirito, e soprattutto nella carne.
Quando, poi, il pensiero ha cominciato a mandare in crisi le religioni, anche prima dell’Illuminismo, la diversità la si è voluta identificare con la ‘purezza del sangue’, con il colore della pelle, con l’appartenenza a un popolo individuabile culturalmente (e religiosamente), ma preferibilmente con asseriti tratti della sua fisicità – il naso adunco, i capelli rossicci, la coda, la sporcizia, e via dicendo.
Quando la modernità ha poi cominciato a consentire l’emancipazione degli ebrei, anche questo non è più bastato, e ai pregiudizi di carattere somatico e caratteriale, l’antisemitismo ha aggiunto l’accusa del complotto: gli ebrei che da sempre vogliono impossessarsi del potere e dominare il mondo. La dimostrazione, e vi si assiste ogni giorno sui social media e non solo con la malefica citazione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, la si vorrebbe trovare citando i nomi dei tre o quattro giornalisti ebrei o dell’unico banchiere al mondo, ormai privo di qualsiasi ascendente finanziario, ma assai famoso per il suo nome ebraico.
A nessuno è mai passato per la mente di fare elenchi di giornalisti, imprenditori e banchieri cristiani o confuciani per dimostrare l’esistenza di un complotto cristiano o confuciano nel mondo.
Non si può non sospettare che anche l’accanimento contro lo stato di Israele e tutta l’attenzione critica rivolta alla sua (anche discutibile) politica non trovino un forte motivo in un atteggiamento pregiudizialmente antisemita, che non ha corrispondente nella critica etico-politica a qualsiasi altro sistema di governo di alcun altro paese al mondo.
Pur con tutti i distinguo, pur con tutte le diverse alternative storiche, logiche e motivazionali, si ha diritto a un fondatissimo, ragionevole dubbio.
Una cosa è certa: più superficiale è la conoscenza della storia, e meno curioso l’approccio alla realtà, più facilmente attecchisce e si radica il sentimento razzista antisemita. Il pensiero pigro aderisce volentieri ai titoli dei giornali piuttosto che verificare sé stesso informandosi alla fonte di un buon libro. È questa superficialità, cui ci sta assuefacendo la politica dei nostri giorni, che dovrebbe essere in cima alle nostre preoccupazioni. E così proliferano i Lannutti, purtroppo anche seduti a occupare gli scranni del nostro Parlamento.
Dario Calimani, Università di Venezia
(29 gennaio 2019)