Chi deve rispondere all’odio
Con un tweet il premier Giuseppe Conte ha rivolto ai connazionali di fede ebraica un “sincero augurio di Shanà Tovà”. Un augurio ripetuto anche dal giornalista Enrico Mentana e Roberto Saviano sulle proprie pagine Facebook. Purtroppo, a seguire molti utenti hanno commentato i suddetti post esibendo senza vergogna il proprio odio e la propria ignoranza. “Se sono ebrei non sono nostri connazionali”, “pensi piuttosto agli italiani”, “si inizia così poi si arriva a non poter più dire buon natale ma solo buone feste”, o l’ormai celebre “parlaci di Bibbiano” (?). Altri invece hanno tirato fuori come di consueto il conflitto israelo-palestinese, scrivendo frasi tipo “in Israele staranno festeggiando bombardando Gaza”.
In Italia, ma in fondo ormai dappertutto, queste sono reazioni tipiche ogni qualvolta un personaggio pubblico o meno nomini gli ebrei o Israele anche in contesti “normali”. Dove “normale” significa non in riferimento al conflitto medio-orientale – perché in questo caso i commenti saranno anche peggiori -. Nel mio ottimismo, credo che i commentatori del web non siano lo specchio del paese reale ma semmai la parte peggiore, quella che protetta da uno schermo non ha problema nel mostrare al mondo tutta la propria balordaggine.
Più genericamente, per molti individui sembra che gli ebrei, non solo in quanto connazionali, ma proprio in quanto persone in realtà non esistano. Acquisirebbero una qualche sostanza solo in riferimento alla Shoah o come soggetti politicamente responsabili di ogni azione dello stato di Israele. Si avverte in taluni quasi un certo stupore proprio nel constatare che gli ebrei sono “reali” anche in altri contesti.
Per quanto abbia sempre vissuto in una città per lo più immune dal virus antisemita, non di rado in passato mi sono trovato in luoghi dove qualche conoscente o sconosciuto ha esordito con frasi tra il serio e lo scherzoso come “in qualche modo capisco perché ce l’abbiano con gli ebrei” o usare “ebreo” come parola discriminante. Di ebreo ho solo una parte della mia famiglia, ma tali occasioni mi hanno sempre spinto a intervenire irritato, dichiarandomi per la sola occorrenza parte offesa. Nell’attonimento dei presenti seguono finte scuse e smentite. Reagirei forse ugualmente nel caso venga pronunciato qualcosa di discriminante verso altre minoranze. Perché a reagire di fronte alla violenza verbale dovrebbero essere soltanto soggetti che si sentono chiamati in causa? L’identità, affermò Agnes Heller in un’intervista, è una scelta basata sulla connessione oggettiva o spirituale a un patrimonio storico e soprattutto l’accettazione di un destino comune.
Molti individui pensano di essere liberi in alcune situazioni di sciorinare le cretinate che li passano per la testa perché non si aspetterebbero mai reazioni contrarie da parte di altri, o peggio di avere nel pubblico un raro appartenente della minoranza presa di mira. “Se non sono io per me, chi sarà per me?”, e tutte le volte che allora io non ci sarò? Qualcuno dovrà essere per me, dovrà rispondere per me… su questo c’è ancora molto da lavorare.
Francesco Moises Bassano