Ticketless – Badoglieide

Il 25 aprile è passato, sfumano le note di Bella ciao. Vorrei, sommessamente, esprimere un desiderio. Se, come si spera, ci aspetta una nuova Liberazione, vorrei ascoltare meno cori di Bella ciao e più sostanza. L’uso retorico di queste note mi infastidisce fin dai tempi, ormai preistorici, di quando a fini personali per primo se ne servì Michele Santoro. L’esito mediatico che ne deriva, spero di non offendere nessuno, è lo stesso moto di insofferenza che gli appassionati di musica lirica provano davanti all’onda mediatica di Nessun dorma. Meno Bella ciao, più sostanza. Meno Nessun dorma e più concretezza. Più concretezza, più agilità, più stretti legami fra il dire e il fare, il pensare e l’agire. La Resistenza non ha bisogno di inni che rischiano di diventare flatus vocis. I partigiani ci ricordano che le cose si fanno sul serio, che gli errori si pagano, ma per poterli pagare bisogna riconoscerli: mantenere la parola data, restare con coerenza al proprio posto, fare bene il proprio lavoro, senza paura delle avversità, del freddo e della fame. Piccole virtù, piccoli maestri. Anche il melodramma ci riserva lezioni di concretezza e propone ideali di identità nazionale più funzionali degli astratti tremori della principessa nella sua fredda stanza. Più Verdi, meno Puccini. Più rabbia, che so un ‘Ella giammai mi amò’ del Don Carlos indirizzata all’Italia non ci è piaciuta in questi ultimi anni e vorremmo vedere estromessa dall’Italia della rinascita. Un invito soprattutto alla vecchia  classe politica a farsi da parte, sostituita da forze più giovani. La vera canzone dei partigiani, nessuno lo dice mai, non era Bella ciao, ma la Badoglieide di Nuto Revelli. Invito a riascoltarla nell’esecuzione data per questo 25 aprile da un gruppo di giovani cui va tutta la mia ammirazione: la si trova nella pagina facebook del loro sito www.lhibalos.com. Non vorremmo che finita la pandemia ci ritrovassimo di fronte a qualcosa di simile a quello che nel 1943 i partigiani dovettero sopportare. Un Badoglio che aveva condiviso tutte le responsabilità del regime nominato capo del primo governo antifascista: “O Badoglio, o Pietro Badoglio ingrassato dal Fascio Littorio”, con quel che segue: “Noi crepiamo sui monti d’Italia mentre voi ve ne state tranquilli, ma non crederci tanto imbecilli di lasciarci di nuovo fregar”. Ci vorrebbe un nuovo Nuto Revelli, un nuovo Dante Livio Bianco per regalarci una Grilleide, una Salvineide, una Dimaieide e chi più canterà più saremo contenti di cantare con loro.

Alberto Cavaglion