Ariel Toaff fra circo mediatico e autonegazionismo
“Rifiuto l’idea che tutto, da una vignetta a un saggio, possa tradursi in antisemitismo, si possa trasformare in nuova “Notte dei cristalli”. Ragionare così significa creare ebrei virtuali, ignorare quelli reali e banalizzare la stessa Shoah, che nell’ispirazione originaria era ricordata in silenzio e meditazione. E oggi invece viene celebrata come la kermesse di tutti”.
Così Ariel Toaff il 20 maggio, in un’intervista a Titti Marrone sul Mattino, preannunciava il tema al centro del suo ultimo libro “Ebraismo virtuale” (Rizzoli, 144 pag, 12 euro).
La sintesi è esplicita, anche se l’articolo in questione in realtà non allude al pamphlet ma si concentra sull’edizione riveduta e corretta di “Pasque di sangue”, il saggio uscito all’inizio del 2007 che aveva suscitato un vespaio di polemiche. Di “Ebraismo virtuale” i quotidiani inizieranno invece a parlare qualche mese dopo, a settembre, a ridosso dell’uscita con un andamento preciso e attentamente orchestrato, se non altro a fini
promozionali.
Ad aprire le danze è lo stesso Ariel Toaff. Il 10 settembre il Giornale anticipa addirittura in prima pagina, con bella evidenza e tanto di foto dell’autore, uno stralcio dell’introduzione al volume. Il titolo è provocatorio, “Quell’ebraismo virtuale che riscrive la storia con l’aureola”, come il brano riportato in cui nello spazio di pochi paragrafi Toaff mette in discussione l’antisemitismo come elemento fondante dell’identità ebraica contemporanea. “Un ebraismo virtuale e oleografico – scrive – fatto di vittime invertebrate e di martiri innocenti, languido e molliccio, si è sostituito all’immagine vera e reale di un popolo di gente in carne e ossa, che tra mille contraddizioni ed errori, tra eroismi e viltà, ha saputo sopravvivere lasciando traccia indelebile di sé nella storia (…) Oggi sembra che i suoi eredi, soprattutto quelli della diaspora, abbiano deciso di inventarsi un altro ebraismo, con l’aureola della santità incorporata all’origine. Un ebraismo senza macchia, ma con molta paura. Anzi, ossessionato dalla paura, e alla continua ricerca di difensori a buon mercato o di apologeti ignoranti”.
Nello stesso giorno “Ebraismo virtuale” approda sulle pagine culturali della Stampa con un articolo di Mario Baudino. Anche qui il titolo è inquietante, “L’ebraismo ostaggio della Shoah”. Il pamphlet, scrive Baudino, “è un atto d’accusa molto forte, nonostante i toni pacati (…) che si conclude, nei ringraziamenti, con poche righe dedicate al padre, Elio Toaff, il grande simbolo dell’ebraismo”. L’accusa, chiarisce, è “Contro quelli che fanno dell’ebraismo “una mitologica selva di fossili piangenti”. Contro l’atteggiamento dominante fra gli ebrei della diaspora “che cerca i suoi nuovi rabbini nei politici compiacenti, dal passato più o meno riciclato, e negli storici dell’antisemitismo, nominati avvocati d’ufficio delle comunità ebraiche”; contro il modo in cui la memoria della Shoah, “sempre più ingigantita, onnipresente e clamorosa, ha paralizzato il dibattito nel mondo ebraico e di fatto trasformato la sua storia in mito edificante””.
Qualche giorno di silenzio e il 12 è la volta del Riformista dove i toni cambiano del tutto. Senza mezzi termini Luca Mastrantonio (“Ariel Toaff e gli autonegazionisti”) parla
di provocazione strumentale e chiama in causa Norman Finkelstein, contestatissimo politologo americano che nel 2000 aveva parlato della Shoah come di “un’arma ideologica” usata dall’ebraismo mondiale e da Israele a fini strumentali. “Dalla grande industria dell’Olocausto alla piccola industria dell’anti-olocausto – scrive – Dai ricattatori dei sensi di colpa europei, ai professori in cerca di visibilità e scrittori che aspirano a un magistero intellettuale superiore. Norman Finkelstein sosteneva, nel celebre e controverso libro The Holocaust industry, che la retorica sull’unicità della Shoah come male assoluto, incomparabile, fosse stata usata a fini politici e soprattutto economici, per lo stato d’Israele e i risarcimenti delle vittime. Ma cosa succederebbe se applicassimo questo metro a certe provocazioni che vengono da intellettuali della comunità ebraica o israeliani?”.
“Applicando lo schema Finkelstein – afferma Mastrantonio – anch’esse potrebbero essere considerate come finalizzate alla vendita di libri e al clamore mediatico. Un’industria editoriale dell’antimemoria, in nome di un sano oblio. E non potrebbe essere la migliore premessa per un tacito negazionismo di fatto? Non ricordare, in fondo, può avere effetti persino più dissolutivi del negare”.
Il giorno dopo “Ebraismo virtuale” approda finalmente alle pagine culturali del Corriere della sera, dove un anno prima, il 7 febbraio 2007, Sergio Luzzatto aveva inaugurato il tam tam mediatico su “Pasque di sangue” con un lungo articolo elogiativo definendolo senza mezzi termini un “magnifico libro di storia” in cui Toaff muove “con straordinaria perizia sui terreni della storia, della teologia, dell’antropologia”. “Questo – aveva concluso – è uno studio troppo serio e meritorio perché se ne strillino le qualità come a una bancarella del mercato”.
A occuparsi dell’ultima fatica di Toaff questa volta è Dino Messina (“La storia degli ebrei oscurata dalla Shoah. E dalla prudenza”) con una recensione di segno positivo, anche se con qualche distinguo. “La Shoah – scrive Messina – rischia di far velo alle millenarie vicende del popolo ebraico sino alla metà del Novecento. E’ una storia lunga e complessa, con gli ebrei non necessariamente nella parte delle vittime, viene finalizzata a quella dell’antisemitismo. Ecco la tesi politicamente scorretta, a tratti convincente, a tratti sostenuta in maniera troppo veemente e personale, di Ebraismo virtuale (Rizzoli), il pamphlet che Ariel Toaff ha appena pubblicato sull’onda dello scandalo suscitato dal suo Pasque di sangue”. “Lo storico dell’Università Bar-Ilan parte da una domanda – prosegue Messina – perché Pasque di sangue, libro che parla di “omicidi rituali, infanticidi… tutti avvenimenti di oltre cinque secoli fa, ancora prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America”, ha suscitato così aspre reazioni, tanto da essere accusato di favorire l’antisemitismo?”. “La risposta che lo studioso si dà – conclude – è nell’esistenza di “un ebraismo virtuale e oleografico, fatto di vittime invertebrate e di martiri innocenti, un ebraismo senza macchia, ma con molta paura, anzi ossessionato dalla paura e alla continua ricerca di difensori a buon mercato o di apologeti ignoranti”.
Domenica 14 settembre è infine la volta di Giulio Busi sul Sole 24 ore (“Toaff e i mascalzoni”) che stronca il libro senza troppi complimenti. “Purtroppo il titolo del libro è copiato da Virtually Jewish di Ruth Ellen Gruber (2002) e di idee nuove non ce ne sono molte – scrive – In compenso, l’attacco all’abuso della memoria è servito subito a far notizia: “L’ebraismo ostaggio della Shoah” titolava un quotidiano il giorno dell’uscita del volume”.
“Il pamphlet – prosegue – vorrebbe stigmatizzare lo stato attuale del giudaismo e la sua immagine nei media a livello mondiale. In realtà è un’altra puntata della sfortunatissima telenovela sulle Pasque di sangue. Intendiamoci, Toaff ha tutto il diritto di continuare a difendersi dagli attacchi, spesso ingiustificatamente personali, che lo hanno colpito dopo la pubblicazione del suo studio sugli omicidi rituali, ma come in quel saggio l’ambiguità del metodo offuscava il buon mestiere dello storico, così, nel nuovo volume, la strumentalizzazione dell’olocausto viene usata come indebita captatio benevolentiae. A parte ripetere la ben nota accusa contro l’industria della Shoah, e citare a proprio favore numi tutelari dal pedigree un po’ sospetto, come Ernst Nolte, Toaff non propone in realtà nessuna analisi seria di questo complesso e contraddittorio fenomeno”.
“Bei tempi – conclude Busi – quelli in cui Toaff scriveva libri importanti sulla storia degli ebrei italiani, e si accontentava di dieci appassionati lettori”.
Quanto al far notizia cui allude Giulio Busi, la rassegna stampa dei principali quotidiani disegna un effetto mediatico che è difficile ritenere casuale. Il lancio di “Ebraismo virtuale”, che per ora rimane comunque ben lontano dal polverone mediatico che riuscì a sollevare “Pasque di sangue”, è infatti preceduto da una polemica, sollevata il 21 agosto sul Giorno, Il Carlino, La Nazione dal giornalista Achille Scalabrin, che sempre su Giorno, Carlino e Nazione torna con una recensione di “Ebraismo virtuale” (“Toaff ai suoi fratelli d’Israele, non si vive di sola memoria”), sul presunto boicottaggio del saggio sugli omicidi rituali in occasione di una serie di presentazioni del libro da parte di Ariel Toaff. La questione provoca subito numerose reazioni di segno diverso. Tra gli interventi si segnalano quelli dei due principali e favorevoli recensori di “Pasque di sangue”, sulla Stampa, il 29 agosto, Mario Baudino e il 31 sul Corriere della sera Sergio Luzzatto (“Toaff e il libro tabù”).
Ma l’impatto di Pasque di sangue non si esaurisce affatto in questa querelle estiva e può essere fatto risalire ancora indietro nei mesi. Fino a febbraio, quando la nuova edizione riveduta e ripulita dalle più grossolane storture del libro tenta di provocare senza troppo successo ancora una volta reazioni e discussioni a catena. Non a caso il 21 febbraio la stessa Susanna Nirenstein, su Repubblica, evoca per il caso Toaff “l’irresistibile seduzione del rumore mediatico”.
Nella seconda metà di settembre il caso Toaff torna ancora a fare capolino sui quotidiani. Il 19, accanto all’articolo di Scalabrin sul Giorno, Il Carlino e La Nazione, ecco la recensione a “Ebraismo virtuale” su Liberazione (“Ebrei di frontiera, fare a botte con l’identità”) a firma Stefania Podda che sottolinea la ripercussione politica sull’ebraismo italiano, indicata dallo stesso Toaff, dell’irrigidimento dell’identità ebraica sulla Shoah.
“Il risultato di quest’ineludibile identificazione tra Israele e l’ebraismo è, in Italia, il paradossale slittamento a destra della comunità ebraica – scrive Podda – Una comunità, attacca Toaff che si è fitta ostaggio è strumento di riscatto di una destra erede del fascismo e delle leggi razziali, una destra non ancora libera da quel bagaglio ideologico”. “Se la discriminante diventa Israele – o meglio il sostegno acritico al suo governo di qualunque segno esso sia e qualunque scelta faccia – ecco che si arriva all’elezione di Gianni Alemanno a sindaco di Roma”. Sempre il 19 “Ebraismo virtuale” diviene lo spunto per l’ironia di Guido Vitiello (“Ariel Toaff il nuovo libro rivisto, Ebraismo virtuale 2.0 + cd-rom”) sull’inserto di satira e cultura del Riformista.
“Ariel Toaff – scrive – ci ha abituato ai sequel, essendo egli stesso il se quel di un noto rabbino. E così, dopo aver sferrato il micidiale uno-due di Pasque di sangue e Pasque di sangue Reloaded, lo storico israeliano sta già preparando la seconda edizione del suo pamphlet Ebraismo virtuale, appena pubblicato da Rizzoli: si intitolerà Ebraismo virtuale 2.0, e avrà in allegato un cd-rom compatibile con Windows Vista e con tutti i principali sistemi operativi, Mac compreso”. I toni sono amari e per certi versi disturbanti, ma a volte la satira coglie nel segno più di tanti saggi …
Di altro spessore l’intervento, nella stessa giornata, di Franco Cardini su Avvenire (“Toaff, la Shoah e i dissidi dell’ebraismo”). Lo storico che a suo tempo aveva accolto positivamente “Pasque di sangue” fa marcia indietro in maniera esplicita, motivando in maniera circostanziata la sua decisione in un intervento importante, che segna senz’altro uno spartiacque nella comprensione del caso Toaff.
“Ho accolto con qualche apprensione il nuovo libro dell’amico Ariel Toaff (…) – scrive – Siamo stati in molti, alcuni mesi fa, a venire coinvolti dall’accesa, a tratti feroce discussione attorno al suo “Pasque di sangue” (…). Appena quel libro uscì, ammetto, ne rimasi entusiasta: ma, lo ammetto, solo dopo una lettura affrettata e rapsodica. Alcune ragioni, addotte da colleghi più severi di me, ma anche più competenti, mi fecero in qualche misura ricredere”.
Cardini afferma di ritenerlo ancora “un libro molto importante”. “Da Toaff – prosegue – continuo ad aspettarmi ancora quel che “Pasque di sangue” non è riuscito a essere, un grande libro di antropologia storica sul ruolo del sangue nella cultura ashkenazita. Ma per scriverlo Toaff dovrà aver metabolizzato i postumi di quello che per lui è stato senza dubbio un dramma a livello scientifico, professionale e perfino personale”. E’ dunque comprensibile, rimarca Cardini, che Toaff abbia sentito il bisogno di dare voce a questo suo turbamento con uno scritto “breve, serrato e a tratti duro”.
“Eppure – scrive – mi riesce difficile credere che egli, romano di origine livornese, nonostante i lunghi anni trascorsi in Israele, non avesse preveduto il fatto che (…) sull’ebraismo, tra ebrei che vivono nello Stato ebraico sia lecito e possibile dibattere con forza e perfino con accanimento su temi che, tra gli ebrei della diaspora e soprattutto tra noi non-ebrei, sono divenuti inquietanti, allarmanti, perfino tabù”.
Franco Cardini ricorda quindi l’appassionato dibattito che in Israele accompagnò “L’industria dell’Olocausto” di Norman Finkelstein, libro che in Italia venne accolto invece da un gelido silenzio che, nota lo storico, “non credo (…) dipenda solo dall’influenza di quella destra ‘nazionalista e fondamentalista, piagnucolosa’ di cui parla Toaff”. “Il fatto – afferma – è che per la coscienza dell’Occidente c’è un ‘prima’ della Shoah e un ‘dopo’ la Shoah. Le vittime, o i loro eredi, possono anche parlare serenamente ed equamente dei loro carnefici, e perfino trovare loro delle attenuanti. Noi, eredi dei carnefici o dei loro complici o di chi non ha saputo arrestarli o si è voltato dall’altra parte per non vedere, non possiamo. La Shoah è la colpa dalla quale non ci assolveremo mai perché non ne abbiamo il diritto, il Peccato originale dell’era contemporanea (…)”. Il dibattito viene così riportato, per la prima volta, in un orizzonte di valori imprescindibile quando si parla di Shoah e che nulla ha a che fare con pratiche di censura o boicottaggio. Che sul caso Toaff sia giunto il momento di scrivere la parola fine?
Daniela Gross