Fede e Scienza – Può uno scienziato essere religioso?
Indubbiamente sì, se è ebreo. Se è cristiano, meno, e i motivi li ha descritti molto bene Donatella Di Cesare nel numero del 27 settembre. Ma la Di Cesare parla di una contraddizione che c’è, ed è da superare o da accettare, e mette giustamente in risalto il ruolo fondamentale che ha la dialettica delle contraddizioni nell’ebraismo, citando “l’elogio della contraddizione” di Adin Steinsalz: questa dialettica degli opposti è elemento indispensabile e formativo della dinamica dell’ “essere ebreo”. E io aggiungo: per l’ebreo l’apparente contraddizione fra fede e scienza, non solo è facilmente superabile, ma non esiste nemmeno. Essa è un prodotto della scolastica tolemaico-cristiana e ultimamente (solo ultimamente) è penetrata in certi ambienti ebraici ortodossi, che hanno smesso di sviluppare un pensiero dinamico e si sono cristallizzati nella loro nostalgia del passato. Ma l’ebraismo può vivere e sopravvivere solo se è in moto, se si ferma degenera e muore, e questo è quello che succede alla corrente che interpreta il libro di Bereshit in senso dogmatico: in fatto di scienza è irrilevante. E mi spiego. In molte Yeshivot si insegna che il mondo esiste da soli 5771 anni e che è il sole a girare intorno alla terra e non il contrario, tanto per fare due esempi, per cui se un alunno domanda quanto tempo impiega la luce ad arrivare a noi da un’altra galassia non riceve una risposta soddisfacente, dato che si tratta di milioni di anni. E questo, detto per inciso, è il motivo per cui in quelle Yeshivot non si insegnano materie scientifiche, pur essendo queste nei programmi ufficiali dello Stato.
Il fatto è che, come dicevo sopra, contraddizione fra fede ebraica e scienza non c’è (e questo è il motivo per cui nelle istituzioni di ricerca israeliane si vedono molte kippot) a patto che il primo capitolo del libro di Bereshit venga interpretato nel modo giusto.
Contraddizione ci può essere solo laddove due argomenti diversi si muovono nello stesso spazio e rischiano quindi di venire a contatto, ma nel caso della fede e della scienza si tratta di attività che operano in due spazi differenti, e quindi non hanno alcuna probabilità di collisione. Quali sono questi due spazi?
La fede opera nell’ambito di una verità assoluta che non può essere sottoposta a verifica sperimentale, mentre la scienza parla di verità relative al loro contesto spazio-temporale, che traggono la loro legittimità dalla verifica sperimentale.
La fede si chiede il perché ultimo dei fenomeni, mentre lo scienziato si chiede solo il come e non si pone la domanda “chi abbia inventato le leggi della natura”.
La fede si rivolge all’interno dell’uomo e si occupa della morale, in essa l’uomo è soggetto, mentre la scienza è tutta rivolta allo studio del mondo esterno all’uomo, e quando la scienza studia l’uomo, questo è oggetto.
I postulati della fede ebraica, che si riassumono nei Dieci Comandamenti, provengono dall’Alto, mentre quelli della scienza sono creazione dell’uomo e come tali soggetti a mutamenti.
La fede ebraica è un atteggiamento “totale” che permea ed esalta tutti gli aspetti e i momenti della vita, mentre la scienza riguarda un solo “luogo” molto particolare dell’anima umana, quello logico cognitivo, e si muove secondo regole precise e convenzionali che furono fissate da Galileo Galilei cinque secoli fa e valide fino ad oggi.
In sintesi si può dire che le diatribe fra creazionismo ed evoluzionismo e fra geocentrismo ed eliocentrismo (tanto per fare solo due esempi) hanno origine da interpretazioni dogmatiche e alla lettera delle Scritture, interpretazioni che in epoca moderna si sono rivelate errate, e così anche i “calcoli” che stabilirono l’età del mondo a 5771 anni. L’errore fondamentale è considerare il libro di Bereshit un trattato di storia e di scienze naturali. Se invece lo si considera nella sua giusta luce e cioè come libro di fede e come parte integrante della Torah, sfuma ogni possibilità di fraintendimento e di contraddizione con le deduzioni che la scienza propone di volta in volta, figlie passeggere della loro epoca. Ma allora qual’è il vero significato delle parole della Genesi? Questa è una sfida ancora aperta che l’ebraismo deve affrontare con coraggio, anche a costo di rinunciare a idee “belle” ma ormai da tempo inadeguate. Ma non è stato già detto che il continuo e instancabile confronto dialettico con le contraddizioni è la linfa vitale dell’ebraismo?
Daniel Haviv, alchimista