La fragilità della democrazia
È un errore considerare la democrazia un risultato stabilmente acquisito. Al contrario è una forma politica fragile, anzi fragilissima, che può scadere, degradarsi, precipitare. I confini con un dominio totalitario sono più labili di quanto non si voglia pensare. Delegare è giusto, finché si mantenga il diritto di ritirare la delega e ci si senta rappresentati, finché insomma si resti cittadini.
Le tempeste devastatrici che investono una democrazia non sono pericolose per quello che creano, dato che, a ben guardare, non creano nulla. A causa dei germi autodistruttivi che contengono, lasciano anzi dietro sé solo devastazione. I peggiori governano infondendo paura e impotenza. Ma paura e impotenza sono principi antipolitici perché impediscono l’azione, la partecipazione, la responsabilità. L’impotenza disorganizzata degli individui isolati, ai quali è stata sottratta la speranza, è l’indice di una democrazia al collasso, è il sintomo di una convivenza umana difficile.
Che antiche parole ebraiche, riprese nella grande testimonianza di Primo Levi, parole che, mentre restituiscono la speranza, chiamano alla risposta responsabile qui e ora, siano comparse nelle piazze italiane rende orgogliosi e fieri. Ha ragione Anna Segre. Decontestualizzate? Ignorate nella fonte? Eppure molte pensavano a Primo Levi. Più importante è che Israele suggerisca la speranza di un nuovo inizio, una ri-nascita democratica avanzata non per caso dalle donne.
Donatella Di Cesare, filosofa