Redazione aperta – “La nostra responsabilità”

“Il lutto di Tishà Be Av deve farci riflettere essenzialmente sulle cause che lo hanno determinato. Come se dovessimo lavorare sulla prevenzione e non solo piangerci addosso per quanto ci è successo” scriveva rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sull’Unione Informa del 25 luglio. Proprio da questa riflessione ha preso spunto il suo incontro con i partecipanti al laboratorio giornalistico di Redazione aperta. “Ricordiamoci che il Talmud affronta quella che fu la Shoah di quei tempi, la distruzione del Beth Hamikdash, non concentrandosi su Babilonesi e Romani, ma sul popolo ebraico stesso” ha spiegato rav Della Rocca. Superare il vittimismo e assumersi le proprie responsabilità verso il mondo dunque. “I Maestri ci insegnano che gli altri ci vedranno come noi vediamo noi stessi – ha proseguito il rav – Oggi abbiamo più che mai bisogno di un ebraismo autoreggente, autorevole, che sappia rappresentarsi al di là dei mostri sacri che ci siamo costruiti e che ci hanno reso sempre più legati a un ebraismo virtuale, ricco di scorciatoie. Perché è più semplice ricordare un nonno che ha subito la persecuzione durante la Shoah, oppure esprimere la propria vicinanza a Israele, piuttosto che impegnarsi a studiare Torah ogni giorno”. E allora la conseguenza rischia di essere quella di sostituire il contenuto al contenitore, un rischio che il popolo ebraico ha corso sin dai tempi di Mosè, che ruppe le Tavole della Legge quando si rese conto che il popolo prestava maggiore attenzione alla pietra che alle parole su essa incise. “Oggi abbiamo in tante città d’Italia sinagoghe monumentali ma vuote – la riflessione di rav della Rocca – E invece, all’epoca dell’assedio romano di Gerusalemme, quando a rabbì Yochanan Ben Zakkay fu concessa una ricompensa per aver predetto a Tito che sarebbe divenuto imperatore, il Maestro non scelse di salvare il Tempio, ma la cittadina di Yavne e la sua yeshivah, la sua scuola, dove si erano rifugiati i Saggi. Segnando così il momento in cui l’ebraismo non sarebbe più stato legato agli edifici, ma allo studio. Di nuovo, non più il contenitore, ma il contenuto”. E allora il rav ha invitato ad essere più consapevoli dei valori ebraici e meno disposti a comprometterli nel confronto con la società, a scuola, all’università, sul posto di lavoro. Ricordando sempre come “essere religiosi non significhi semplicemente rispettare le mitzvot in modo formale, ma guardare la realtà con occhiali ebraici, impregnati cioè di un’etica in cui il rispetto dello straniero, la tzedakah, la modestia, la difesa dei deboli sono pilastri fondamentali. Perché anche dimenticare questi valori, significa assimilarsi” ha sottolineato rav Della Rocca. E se dunque un grosso compito spetta agli ebrei italiani, quello di studiare e di costruire un’identità consapevole, un altrettanto gravoso impegno attende i rabbanìm, quello di accompagnarli in questo percorso, rimanendo in mezzo a loro. “Oggi più che mai – la sua conclusione – abbiamo bisogno di Maestri che siano anche pronti a esporsi e a lasciarsi coinvolgere nelle problematiche quotidiane”.

Rossella Tercatin – twitter @rtercatinmoked